ANCORA MORTI SUL LAVORO
Un tema, peraltro tragico, è rimasto fuori dalla recente campagna elettorale nazionale, anche da parte di forze politiche tradizionalmente legate al mondo del lavoro: quello degli infortuni e delle morti dei lavoratori in attività.
Il nostro paese, tra i primi nel mondo industrializzato, risulta purtroppo essere il primo assoluto quanto a vittime di infortuni sul lavoro. E se i decessi, che una volta scuotevano l’opinione pubblica, adesso sono semplice oggetto di cronaca quotidiana, spesso limitata a quella locale, gli infortuni, peraltro anch’essi numerosissimi, sono pressoché ignorati.
Così, nel nostro paese, chiunque lavora con macchine, ferme o semoventi, o in cantieri di costruzione, non può essere certo di tornare a casa, integro o vivo, la sera dopo il lavoro.
E ciò, nonostante una precisa disposizione della nostra carta costituzionale che, all’art. 41, recita testualmente che l’iniziativa economica (leggi, impresa) pur essendo libera “Non può svolgersi in ……… modo da recare danno alla sicurezza ………umana”.
Cioè l’attività di impresa deve rispettare la sicurezza di chi vi è addetto per precetto costituzionale!
Il contrasto con la realtà di fatto è però agghiacciante.
Tra i due e i tre morti per ogni giorno lavorativo, senza contare gli infortuni (quelli dichiarati).
Eppure, come quasi sempre succede nel nostro paese, le norme per la tutela e sicurezza del lavoro ci sono. Dagli anni ’50 ad oggi abbiamo visto emanare normative puntuali e dettagliate su come proteggere coloro che operano in fabbricati e cantieri, oppure in campi agricoli. Esiste perfino l’obbligo, allorché si avvia un’impresa, di stilare un documento sui rischi presenti in azienda e su come prevenirli. Vi è perfino l’obbligo, per alcune imprese, di nominare, tra i dipendenti, un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Ma gli incidenti, nel migliore dei casi, non diminuiscono, e quelli mortali talvolta aumentano pure.
L’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia dice che l’imprenditore deve prevenire anche i possibili errori degli addetti.
Ma, quello che lascia perplessi, e perfino demoralizzati, è la mancanza di un’efficace risposta a tale situazione.
Per la gran totalità dei partiti politici presenti in Parlamento andare al lavoro sembra un rischio pari a quello che corre chi scala una montagna di ottomila metri, ignorando così la differenza che corre tra un obbligo e un atto volontario. E tale sembra essere anche l’orientamento dei media, sempre attenti a intravedere la causa del sinistro in un “errore umano”, cioè del lavoratore.
Con l’accettazione generale del libero mercato, l’obbligo di provvedere alla sicurezza di chi lavora sembra essersi dissolto perché nella cattiva coscienza collettiva è divenuta più importante l’attività della persona.
Ma, specialmente, ciò che colpisce è la mancanza di iniziativa politica e legislativa sul tema.
Al di là di qualche scontata e routinaria, ma fiacca, protesta sindacale, e di qualche dichiarazione di rassegnato cordoglio, non si intravede una proposta che possa incidere sulla situazione.
Eppure gli strumenti ci sarebbero, e non occorre neppure un grande sforzo per inventarli.
– La sospensione dell’attività, con collocamento automatico in cassa integrazione per i dipendenti, sino alla eliminazione del rischio.
– Il ripristino dell’inchiesta amministrativa da parte della magistratura, con le relative sanzioni.
– L’istituzione del reato di omicidio sul lavoro, in analogia al già istituito omicidio stradale.
– Il pegno sul capitale sociale o sui beni personali dell’imprenditore a garanzia del risarcimento, effettivo e non transigibile.
– Illicenziabilità del responsabile della sicurezza tra i lavoratori e di chi altro abbia denunziato una situazione di rischio non immeditatamente rimossa.
Le proposte, insomma ci sono, come anche gli strumenti giuridici per attuarle.
Va recuperata quella consapevolezza, in particolare da parte degli ambienti politici che provengono dalla storia dal movimento dei lavoratori, che la vita e la dignità umana sono valori assoluti e non negoziabili in nome dell’economia.
Pietro Garbarino
22/10/2022 http://www.rifondazione.it
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