Ancora naufragi. Il rovescio del diritto internazionale.
1.Sembra ormai inutile richiamare le norme internazionali ed il diritto dei rifugiati che impongono agli stati il rispetto degli obblighi di salvataggio in acque internazionali e di sbarco in un luogo sicuro. Una imponente macchina mediatica, diretta dal ministro dell’interno, ha sovvertito il senso comune e trasformato i soccorritori in colpevoli, legittimando chi si rifiuta o ritarda gli interventi di ricerca e salvataggio in acque internazionali. Per chi dissente, il silenzio o la condanna. Si è eclissata la Guardia costiera italiana, che negli anni passati era la protagonista delle attività di soccorso nel Mediterraneo centrale. Per nascondere il numero sempre più elevato di vittime occorreva ridurre al silenzio ed all’inattività la Guardia costiera italiana, ormai relegata ad attività di soccorso sottocosta nelle acque territoriali,. Occorreva soprattutto allontanare i mezzi delle ONG, che continuavano a testimoniare l’allontanamento dei mezzi di soccorso dalle acque del Mediterraneo Centrale.
Anche nel caso dell’ultima immane tragedia che è maturata nella mattina di venerdì 18 gennaio, più di cento vittime, se non fosse stato lanciato l’allarme ( a seguito della intercettazione di una comunicazione radio) da un piccolo velivolo privato (Moonbird) appartenente ad una ONG, altre decine di persone sarebbero annegate senza che nessuno ne sapesse nulla. Per questo motivo le ONG devono essere criminalizzate a tutti i costi perchè testimoniano quello che succede per effetto della creazione di una zona SAR libica, riconosciuta dall’IMO ( organismo delle Nazioni Unite) il 28 giugno 2018. Non si deve mettere in evidenza il ritiro dei mezzi delle missioni europee Frontex ed Eunavfor Med, ed i ritardi da parte delle autorità responsabili delle zone sar italiana e maltese. Contano solo i numeri, la fortissima diminuzione degli arrivi via mare, dunque dei salvataggi in mare, la fine del “business” delle ONG, ed il consenso elettorale è assicurato, sulla pelle di chi rimane intrappolato nei centri di detenzione in Libia, o soccombe in alto mare.
La zona SAR (ricerca e soccorso) libica e’ una invenzione mortale. La guerra alle ong ha cancellato il rispetto delle regole del diritto del mare che in acque internazionali impongono di fare intervenire la nave piu’ vicina e di garantire un porto siicuro di sbarco. Che anche secondo le Nazioni Unite non puo’ essere un porto libico. Secondo il diritto internazionale quando una autorità SAR nazionale non risponde ad una chiamata di soccorso, sono le autorità SAR delle aree confinanti che devono assumere il coordinamento e provvedere all’immediato recupero delle persone ed al loro sbarco in un porto sicuro. Gli stati titolari delle zone sar confinanti sono obbligati a concludere accordi di collaborazione dando prevalenza alla salvaguardia della vita umana in mare.
Ma ormai , con un uso spregiudicato dei media, è facile cancellare il diritto internazionale dietro il mantra della lotta ai trafficanti. Che si possono combattere solo aprendo vie legali sicure di ingresso, ad esempio con il rilascio di visti umanitari. Va comunque salvaguardato il diritto alla vita.
La Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale ed i due Protocolli allegati, contro la tratta e contro il traffico di esseri umani, che pure prevedono accordi con i paesi di origine e transito dei migranti, antepongono la salvaguardia della vita umana in mare alla lotta contro quella che si definisce immigrazione “illegale”. In base all’art.7 del Protocollo contro il traffico, (Cooperazione) “Gli Stati Parte cooperano nella maniera più ampia per prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare, ai sensi del diritto internazionale del mare”. Secondo l’art. 9 dello stesso Protocollo “Qualsiasi misura presa, adottata o applicata conformemente al presente capitolo tiene debitamente conto della necessità di non ostacolare o modificare: a) i diritti e gli obblighi degli Stati costieri e l’esercizio della loro giurisdizione, ai sensi del diritto internazionale del mare. Particolarmente importante l’art. 16 del Protocollo che prevede Misure di tutela e di assistenza: (1) Nell’applicazione del presente Protocollo, ogni Stato Parte prende, compatibilmente con i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale, misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo, come riconosciuti ai sensi del diritto internazionale applicabile, in particolare il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposto a tortura o altri
trattamenti o pene inumani o degradanti. (2) Ogni Stato Parte prende le misure opportune per fornire ai migranti un’adeguata tutela contro la violenza che può essere loro inflitta, sia da singoli individui che da
gruppi, in quanto oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. (3) Ogni Stato Parte fornisce un’assistenza adeguata ai migranti la cui vita, o incolumità, è in pericolo dal fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. (4) Nell’applicare le disposizioni del presente articolo, gli Stati Parte prendono in
considerazione le particolari esigenze delle donne e dei bambini.
Un ulteriore clausola di salvaguardia si ritrova all’art.19 del Protocollo addizionale contro il traffico: (1) Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento”.
Per effetto degli articoli 10 e 117 della Costituzione italiana le Convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto si impongono sulle scelte dell’esecutivo e non possono essere violate da leggi interne o accordi internazionali. Dunque il diritto alla vita ed al soccorso in mare è un diritto fondamentale che non si può ponderare sulla base di altri interessi dello stato pure rilevanti, come la difesa delle frontiere o la lotta alle reti di trafficanti.
Non è dunque possibile che un ministro dell’interno proclami la sua insofferenza per il diritto internazionale, o che lo ritenga un ostacolo alle sue politiche di “chiusura dei porti”. La creazione della zona SAR libica è servita proprio per aggirare i divieti di respingimento e gli obblighi di salvataggio imposti agli stati dal Diritto internazionale. Era tutto chiaro da mesi. Non sono certo le ONG complici dei trafficanti libici, quanto piuttosto quei governi che fanno accordi con le milizie per bloccare e detenere i migranti prima che possano attraversare il Mediterraneo.
2.Il governo italiano, con l’appoggio dell’IMO che il 28 giugno 2018 ha riconosciuto una zona SAR “libica”, e di Malta che ha contribuito a bloccare le navi delle ONG, ha prodotto la situazione che ha portato a queste ultime stragi. Malgrado i tentativi diplomatici italiani, e le inchieste giudiziarie in Italia, la situazione in Libia si deteriora giorno dopo giorno, e questo favorisce le reti di trafficanti che non si fanno certo intimidire dalle minacce lanciate dal Presidente del Consiglio italiano.
Il primo ministro Conte ripropone la solita litania che occorre bloccare i trafficanti di morte, che in Libia continuano ad operare indisturbati sotto l’ombrello degli accordi che i diversi governi italiani hanno concluso con il governo di Tripoli. Il ministro dell’interno sceglie invece il suo bersaglio preferito nelle ONG, accusandole ancora di collusione con gli scafisti, o di costituire comunque un fattore di attrazione e di facilitazione delle partenze dalle coste libiche. Al seguito, una opinione pubblica che schiuma odio e che non prova pietà neppure davanti ai corpi delle vittime ed ai racconti terribili dei sopravvisssuti, che documentano quanto il calo delle partenze dalla Libia abbia in realtà comportato un pegguioramento drastico delle condizioni di internamento delle persone, donne e bambini compresi, intrappolati nei centri di detenzione governanitivi e nei centri informali (holding center) disseminati in Libia e controllati dalle diverse milizie che si contendono il territorio. Per Di Maio, questa enensima strage sarebbe frutto del “colonialismo francese in Africa”. Un buon corso di storia forse gli potrebbe insegnare che in Libia, in Somalia ed in Eritrea i colonialisti erano italiani.
Una situazione che l‘UNHCR e le Nazioni Unite, con l’IMO di Londra, dovrebbero ben conoscere, una situazione che dovrebbe comportare la immediata sospensione della cd. zona sar libica per manifesta incapacità delle autorità di Tripoli e delle altre città a garantire la salvaguardia della vita umana in mare. Prima della strage di ieri, decine di corpi erano affiorati nei giorni scorsi davanti le coste di Sirte, senza che nessuno avesse denunciato un naufragio o avesse potuto lanciare una richiesta di soccorso. Come poteva succedere ancora in questo caso, se non fossero intervenute le ONG.
Scriviamo soltanto per documentare quanto successo venerdì 18 gennaio, un giorno che dovrà esssere ricordato, e per denunciare la viltà di chi forse potrebbe raccontare quello che subisce e tace. I fatti, soltanto i fatti, contro le bordate di odio, le menzogne e le minacce di denuncia lanciate dal ministero dell’interno, che dispone a piacimento dei corpi dello stato e dello stesso ministero delle infrastrutture. Ed sa di potere contare sulla condivisione delle sue scelte da una parte della magistratura, come è emerso in diverse occasioni, da ultimo con la archiviazione del procedimento penale avviato dalla Procura di Agrigento sul caso Diciotti.
Cesare Fermi, responsabile Migration di Intersos, ong a bordo delle navi della Guardia costiera fino a ottobre 2017, ha detto: “Con l’estromissione delle navi umanitarie delle Ong e il progressivo ingaggio della Guardia costiera libica il Mediterraneo si trova ormai sguarnito di soccorsi. Il naufragio di stanotte non è una disgrazia ma un crimine europeo. Ancora dopo anni muoiono bambini e donne nel mare e non esistono giustificazioni per queste immani tragedie”
3.Una tragedia, quella di venerdì 18 gennaio, che è maturata nell’arco di molte ore, se consideriamo che il gommone ha cominciato ad imbarcare acqua nella mattinata a circa 40 miglia dalla costa di Garabuli, dopo essere partito nella nottata tra giovedi e venerdì. Per fare 40 miglia avrà navigato almeno otto-dieci ore, considerando la velocità che possono raggiungere queste imbarcazioni tanto sovraccariche. Nelle prime ore di venerdì 18 gennaio il gommone era ancora a galla con il suo carico di disperati.
Riceviamo da Mediterranean Hope
Migranti: naufragio; libici avevano stimato 50 persone a bordo quandil natante si trovava a circa 40 miglia da Garabulli. Motovedetta #Tripoli partita per soccorsi intorno alle 11.40 poi avuto avaria. Via @Agenzia_Ansa
Alle 12(GMT più un ora) circa di venerdì 18 gennaio, dunque, sembrerebbero risalire i primi avvistamento da parte di assetti militari. del barcone, che ancora galleggiava, parzialmente semiaffondato, Quindi le notizie intercettate un’ora più tardi via radio da parte dell’aereo privato Moonbird, appartenente ad una ONG, poi una serie di avvistamenti da parte di mezzi militari italiani che progressivamente davano in diminuzione il numero delle persone ancora a bordo del gommone semiaffondato. Sempre che si tratti dell’avvistamento del medesimo barcone. ma nella giornata di venerdì non si è avuta notizia di altri soccorsi operati dalla guardia costiera “libica”.
Today, #Moonbird overheard communication about a distress case, boat half sunk already, first people in the water. A merchant vessel is nearby but to our knowledge not helping. A consequence of closed harbours – too afraid to rescue. We tried to follow up on the case. #united4medhttps://t.co/qe38wZMUMQ
Secondo altre fonti, come La Stampa, “ad avvistare il gommone, 50 miglia a nord est di Tripoli, era stato un aereo da pattugliamento marittimo dell’operazione «Mare sicuro» che ha lanciato in mare due zattere di salvataggio prima di far rientri nella base di Sigonella, a sud di Catania, perchè a corto di carburante. Subito dopo dalla nave Caio Duilio, distante 200 chilometri dal luogo in cui si trovavano i migranti, si è alzato l’elicottero il cui equipaggio ha potuto recuperare con il verricello, in due diverse operazioni, i tre naufraghi superstiti: uno in mare e due su uno dei due battelli mentre l’altro era vuoto”.
Alle 13 circa di venerdì i libici erano già avvertiti di un imbarcazione da soccorrere. A 40 miglia dalla costa di Garabouli, poco ad est di Tripoli, un gommone carico di persone stava affondando. Una delle tante motovedette regalate dal governo italiano alla guardia costiera “libica” avrebbe potuto raggiungere in due ore, a venti miglia di media, e forse anche meno, il luogo del soccorso.
Un’ora dopo, attorno alle 14 le autorità italiane dichiaravano che l’evento di soccorso rientrava nella competenza della Guardia costiera “libica” che era stata evidentemente allertata, e che dunque la nave Sea Watch, che si trovava più ad occidente, a circa 60 miglia di distanza dal barcone che stava affondando, doveva mettersi in contatto con le autorità libiche per essere coordinata da loro nelle attività di ricerca e salvataggio
Sea-Watch International @seawatch_intl18 gen
When calling MRCC Italy, they refused to give us information about the case, only informing us that MRCC Tripoli would be responsible. We called there as well – no one spoke EN/FR/IT, not even Arabic. Communication with the authorities over the case so far was not successful.
Nel pomeriggio della stessa giornata i primi dispacci nviati dalla Centrale operativa della guardia costiera(IMRCC) di Roma, e poi il dispaccio NAVTEX di allerta ( reso noto da RadioRadicale) e il messaggio ricevuto da Malta pubblicato dalla ONG Sea Watch riportavano ancora 50 persone a bordo. Un aereo della missione italiana Mare Sicuro, partito dall’aeroproto di Sigonella (Catania) subito dopo il primo allarme, avrebbe sorvolato il gommone semiaffondato, e lanciato in mare due zattere autogonfiabili, dovendo poi fare rientro per carenza di carburante.
Quando poi arrivava sul luogo del naufragio, attorno alle 18, un elicottero inviato da una nave militare italiana ( nave Duilio), non vi era più traccia del gommone, e non restava far salire due naufraghi che erano riusciti a salire sulla zattera lanciata precedentemente dall’aereo della missione Mare Sicuro che li aveva avvistati ed una terza persona che veniva recuperata con un verricello, mentre lottava in acqua contro la morte per ipotermia.
I libici, avvertiti dagli italiani, come accade in questi casi, da quando è stata avviata l’operazione NAURAS, avvano cercato di affidare i primi soccorsi ad una petroliera che attorno alle 14 di venerdì si trovava più vicina al luogo dell’operazione SAR, e ne deviavano la rotta, ma la petroliera giungeva sulla posizione indicata senza avvistare nessun naufrago, e dopo una ricerca superficiale, condotta per alcune ore, quando si era già fatto buio, abbandonava le ricerche e riprendeva la sua rotta verso l’Egitto (Porto Said).
Una petroliera, con le sue fiancate alte sul mare, non è del resto il mezzo più indicato per interventi in attività di ricerca e salvataggio. Il suo equipaggio non poteva vedere neppure i due piccoli mezzi di salvataggio autogonfiabili lanciati dagli elicotteri italiani, invece localizzati e ritrovati poi dalla Sea Watch, che finalmente poteva raggiungere il luogo del naufragio attorno alle 23 di venerdì sera. Troppo tardi per soccorrere eventuali superstiti.
L’allontanamento delle ONG, prodotto dalle campagne di opinione e dalle iniziative giudiziarie, sfruttate dai politici oggi al governo, ha prodotto un vuoto che nessuno è riuscito a colmare. Ed in questa occasione i libici hanno dimostrato, e non è la prima volta, di non potere gestire la vastissima zona SAR che gli è stata riconosciuta. Va anche ricordato che il portavoce della Marina e Guardia costiera libica, Ayoub Qasim, ha recentemente dichiarato che la Libia non e’ pronta a ricevere i migranti non salvati dai suoi assetti.
Salvo le tre persone che si trovavano a bordo del gommone affondato, soccorse dall’elicottero italiano nel pomeriggio di venerdì 18 gennaio, tutti gli altri naufraghi, si è appreso poi dall’OIM che 117 persone, tra cui dieci donne ed almeno due bambini, erano scomparsi in mare.
4.Il comunicato stampa emesso dalla Guardia costiera italiana (IMRCC) conferma la sequenza temporale che abbiamo appena descritto, ed ancora altre conferme potrebbero venire dai tabulati delle comunicazioni radio.
COMUNICATO STAMPA – GUARDIA COSTIERA
In merito a quanto riportato dagli organi di stampa relativamente alle dichiarazioni fatte dalla ONG SEA WATCH sull’evento SAR avvenuto nel pomeriggio di ieri a largo delle coste di Tripoli, si precisa che la Guardia Costiera italiana, acquisita la notizia di un gommone semisommerso con migranti a bordo, come previsto dalla normativa internazionale sul SAR, ha immediatamente verificato che la Guardia Costiera libica fosse a conoscenza dell’evento in corso all’interno della sua area di responsabilità SAR, assicurando alla stessa la massima collaborazione. Alla ONG SEA WATCH, che intercettata la notizia dell’avvistamento, aveva contattato la Centrale operativa della Guardia Costiera italiana dando la propria disponibilità a partecipare alle operazioni di soccorso, è stato comunicato che la loro disponibilità sarebbe stata offerta alla Guardia Costiera libica, quale Autorità coordinatrice dell’evento.
L’operazione, sotto il coordinamento libico (grassetto nostro), si è conclusa nella notte di ieri dopo l’Intervento di un elicottero della Marina Militare italiana, che ha tratto in salvo tre naufraghi; una nave mercantile dirottata dai libici, giunta in zona, ha effettuato un’attività di ricerca non trovando alcuna traccia del gommone.
sab 19 gen 2019, 12:29
Sempre il 18 gennaio, “Medici senza frontiere (Msf) ha lanciato l’allarme per gli oltre 200 migranti e richiedenti asilo intrappolati nel centro di detenzione di Qasr Bin Gashir, a Tripoli, sulla linea del fronte degli scontri ripresi nei giorni scorsi tra milizie rivali, sollecitando il loro trasferimento in un luogo sicuro. Tra i richiedenti asilo ci sono sette bambini con meno di 5 anni. “I 228 profughi, migranti e richiedenti asilo tenuti nel centro di detenzione di Qasr Bin Gashir sono rimasti senza acqua. Msf ha consegnato acqua potabile questo pomeriggio ed è pronto a fornire assistenza medica una volta che i detenuti saranno portati al sicuro”, ha scritto ieri l’organizzazione su Twitter.
Nella giornata di sabato 19 gennaio per due gommoni, avvistati da un velivolo spagnolo della missione Eunavformed-Sophia, è intervenuta la guardia costiera libica riportando indietro le persone che erano a bordo, mentre 13 migranti riuscivano a raggiungere Lampedusa.
Sempre sabato 19 gennaio, un altro soccorso è stato portato a termine dalla Sea Watch, che ha preso a bordo 47 persone che erano su un altro gommone. Malgrado il comandante della nave abbia informato tutte le autorità competenti, non ha ancora ricevuto indicazioni sul porto sicuro. E subito il ministro dell’interno è intervenuto minacciando la chiusura dei porti italiani, e diffidando le ONG dal richiedere altri porti di sbarco sicuro in Italia. Secondo Salvini, “altri morti al largo della Libia. Finchè i porti europei rimarranno aperti, finchè qualcuno continuerà ad aiutare i trafficanti, purtroppo gli scafisti continueranno a fare affari e a uccidere”. Le ONG che salvano vite in mare, dunque, secondo il ministro, e vicepresidente del Consiglio, aiuterebbero i trafficanti. Unico modo per non aiutarli, voltare la testa da un’altra parte, fare annegare ancora centinaia di persone, senza che ne rimanga traccia, e vantare così la riduzione degli arrivi in Italia e la fine della “pacchia” per ONG ed operatori della solidarietà. Ma la solidarietà non si arresta. Il minstro della propaganda se ne faccia una ragione. Le sue minacce non spaventano i cittadini solidali, La resistenza sarà sempre più forte.
+++ 47 people escaping from Zuwarah/Libya call Alarm Phone – rescued by Sea-Watch! +++
This morning, the 19th of January 2019, the Alarm Phone was alerted to a boat in distress off the coast of Libya. The 47 people had left from Zuwarah before reaching out to us. After a while, they were able to send us their GPS position so that we were able to localise them. They also informed us that their engine had stopped working and requested urgent assistance. We alerted the Maritime Rescue Coordination Centre in Rome and the civil reconnaissance aircraft Moonbird and the Sea-Watch 3, the latter patrolling in the vicinity. At that point in time, Sea-Watch 3 was already engaged in a rescue about which we learned later that this was the case of the people who had contacted us.
They are all safe on board of Sea-Watch 3 now, looking for a harbour in Europe to disembark. We are happy and relieved that they were found and rescued on the day we learned about the large-scale shipwreck in the same region of the Mediterranean – presumably leading to the loss of 117 lives.
Secondo recenti notizie diffuse dalle ONG, circa 53 persone sono morte nel Mare di Alborán, nel Mediterraneo occidentale. E’ stato riferito che un sopravvissuto, dopo essere rimasto in balia delle onde per oltre 24 ore, è stato soccorso da un peschereccio di passaggio e sta ricevendo cure mediche in Marocco. Per diversi giorni navi di soccorso marocchine e spagnole hanno effettuato le operazioni di ricerca dell’imbarcazione e dei sopravvissuti, senza risultati.
La Marina Militare italiana ha riportato, inoltre, di un ulteriore naufragio nel Mediterraneo centrale. Tre sopravvissuti, portati a Lampedusa per ricevere assistenza medica, hanno riferito che altre 117 persone, attualmente date per morte o disperse, erano partite con loro dalla Libia.
L’UNHCR non ha potuto verificare in modo indipendente il bilancio delle vittime per entrambi i naufragi.
“Non si può permettere che la tragedia in corso nel Mediterraneo continui”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’elevato numero di persone che stanno perdendo la vita alle porte dell’Europa. Nessuno sforzo deve essere risparmiato, o precluso, per salvare le vite di quanti sono in pericolo in mare”.
Nel 2018, 2.262 persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa lungo le rotte del Mediterraneo. L’UNHCR è preoccupata che le azioni degli Stati dissuadano sempre più le ONG dall’effettuare operazioni di ricerca e soccorso, e lancia un appello affinché siano revocate immediatamente.
Allo stesso tempo, sono necessari sforzi ancora maggiori per impedire che rifugiati e migranti intraprendano viaggi disperati in primo luogo. Sono necessarie più vie sicure e legali di accesso alle procedure d’asilo in Europa per quanti fuggono da guerre e persecuzioni, in modo che nessuno sia costretto a credere che non esista altra possibilità se non quella di affidarsi a trafficanti senza scrupoli.
Fulvio Vassallo Paleologo
Associazione Diritti e Frontiere – ADIF
21/1/2019 www.a-dif.org
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