Anni ’70: la NATO dietro le bombe fasciste
Il 20 dicembre scorso la Procura dei minori e quella ordinaria del Tribunale di Brescia, guidata da Francesco Prete, hanno congiuntamente con uno stringato comunicato ufficiale notificato l’avvenuta chiusura delle indagini relative all’ultima inchiesta sulla strage di piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974, quando una bomba occultata in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista. Otto furono i morti e oltre cento i feriti. L’attentato ha già due colpevoli, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, quest’ultimo l’unico rimasto in vita, ambedue appartenenti al gruppo nazifascista di Ordine nuovo (Maggi in posizione di vertice), condannati all’ergastolo con sentenza definitiva da parte della Cassazione il 22 giugno 2017.
L’inchiesta appena conclusasi della Procura minorile riguarda Marco Toffaloni che nel 1974 non aveva ancora 17 anni, attualmente residente in Svizzera, mentre la Procura ordinaria ha indagato Roberto Zorzi, 68enne residente negli Stati Uniti. «L’impianto accusatorio che emerge» – hanno sottolineato gli inquirenti – «inserirebbe la posizione degli odierni indagati, senza fratture, nel quadro già tracciato dal precedente processo». Si confermerebbe ulteriormente, anche con questa nuova indagine, che la strage fu eseguita da Ordine nuovo, l’organizzazione fondata da Pino Rauti.
Le carte raccolte constano di circa 280mila pagine, a partire dai primi atti che ormai risalgono al novembre 2010. Si è ora in attesa della richiesta finale di rinvio a giudizio.
I VIVI E I MORTI
Marco Toffaloni ha ora 64 anni. Veronese di nascita, soprannominato in quegli anni alla tedesca “Tomaten” (“Pomodoro”), perché arrossiva spesso, è oggi cittadino svizzero. Muller è il suo nuovo cognome. Secondo Giampaolo Stimamiglio, collaboratore di giustizia, classe 1951, un tempo in On con una posizione di rilievo, Toffaloni, alludendo alla strage di Brescia, si confidò con lui dicendogli in dialetto veronese «Son sta mi». (Deposizione del 6 aprile 2011). A conferma anche una fotografia che lo ritrae in piazza della Loggia, la mattina del 28 maggio 1974, nell’immediatezza della strage, mentre osserva i corpi straziati sul selciato. Che fosse proprio lui lo ha stabilito nell’ottobre 2014 una perizia antropometrica con un giudizio di «identità piena».
Roberto Zorzi è stato invece accusato, tra il febbraio e il marzo 2015, da alcuni suoi ex camerati. Uno di loro parlando della «partecipazione dei veronesi», ha esplicitamente asserito che era stato proprio «Roberto» ad avere «fatto il botto». Cosa «nota» nell’ambiente ordinovista dove veniva chiamato “Il Pirata”.
Ora vive negli Stati Uniti, a Seattle, dove addestra dobermann in un allevamento intestato al “Fascio littorio”.
Ma le indagini non hanno riguardato solo Toffaloni e Zorzi, con la ricostruzione del loro passato politico, dai legami con il gruppo cattolico integralista dei Guerriglieri di Cristo Re ad Anno Zero, dietro ai quali in realtà manovrava Ordine nuovo. Zorzi nel 1980 si candidò anche per l’Msi al consiglio comunale di Verona, non venendo eletto. Anche altri sono entrati nel mirino dell’inchiesta. Una figura in particolare è stata a lungo indagata, Roberto Besutti, classe 1942, ex sergente dei parà, tra i dirigenti massimi del Movimento politico Ordine nuovo, originario di Mantova, ma gravitante su Verona dove insieme ad Elio Massagrande costituiva il perno dell’organizzazione. Giampaolo Stimamiglio ha anche riferito che fu proprio Toffaloni a rivelargli come Besutti lo avesse «supportato» nella strage di Brescia consegnandogli «l’ordigno».
Besutti è deceduto nel 2012 e Massagrande, ancor prima, nel 1999.
UN “SUPERTESTIMONE”
Nell’inchiesta compare anche un “Supertestimone”, il cui nome al momento, per evidenti ragioni di tutela, non è stato fatto trapelare. I suoi numerosi verbali hanno disvelato l’intreccio tra neofascisti, sull’asse Verona-Brescia, apparati statali, servizi segreti e ufficiali Nato, che ha fatto da sfondo non solo alla strage di piazza della Loggia ma all’intero periodo della Strategia della tensione. Dalle deposizioni emergerebbero, con tanto di riscontri, come Ordine nuovo fosse stata protetta da figure apicali dell’Arma dei Carabinieri (prodiga nel fornire anche esplosivi) e della Questura di Brescia. Ma anche che si fossero tenute più volte riunioni tutti insieme per preparare attentati e progettare soluzioni golpiste, in una caserma dei Carabinieri a Parona Valpolicella (periferia Nord di Verona), nella sede segreta del Sid (Servizio informazioni difesa) in via Montanari, sempre nella città scaligera, e a palazzo Carli (presente Marco Toffaloni), dal 1951 al 2004 sede del Comando Fatse (Comando forze terrestri alleate per il Sud Europa), in via Roma, ancora a Verona. Stiamo parlando del comando Nato più importante dopo Napoli. Da queste ricostruzioni Verona si rivelerebbe essere stata la città cardine per molti avvenimenti eversivi, certamente la “capitale” di Ordine nuovo che qui aveva il proprio baricentro.
LA STRAGE MANCATA AL BLUE NOTE
Il “Supertestimone”, interno all’ambiente nazifascista bresciano, ha anche consentito di ricostruire la figura di Silvio Ferrari, classe 1953, con un ruolo centrale, per quanto giovanissimo, nell’ambito dei rapporti con i Carabinieri (pagato anche come informatore), con il Sid e gli ufficiali della base Nato di Verona. Morì il 19 maggio 1974, nove giorni prima della strage di piazza della Loggia, alle 3.05 di notte, nei pressi di piazza del Mercato a Brescia in seguito all’esplosione della bomba che portava sulla pedana della sua Vespa. Secondo i rilievi la causa dello scoppio non fu accidentale ma dovuta a un errore di regolazione della sveglia.
Nelle intenzioni iniziali di Ordine nuovo c’era l’idea di compiere una strage al Blue Note, uno dei primi locali gay a Brescia sito in corso Milano, particolarmente frequentato il sabato. Ad attuarlo doveva essere lo stesso Ferrari. «Seppi dallo stesso Silvio» – a parlare è il “Supertestimone” – «che al “Blue Note” sarebbe stata messa una bomba e che proprio lui avrebbe dovuto collocare l’ordigno. […] Non posso ricordare i discorsi di 40 anni fa, ma lui mi dava una spiegazione politica: questo attentato avrebbe aiutato la destra, o meglio avrebbe aiutato a far venire in Italia un regime militare. Più volte avemmo occasione di parlare di questo attentato nei mesi che precedettero la sua morte. Egli mi precisò che agiva per i carabinieri ed erano i carabinieri che volevano questo attentato». (Deposizione del 16 Dicembre 2015)
L’attentato fu evitato da Ermanno Buzzi e dal suo gruppo con alcune telefonate anonime la sera di sabato 18 maggio, verso le 22.30, che segnalavano l’esistenza di una bomba nella discoteca. Da qui un cambio di programma e il girovagare di Silvio Ferrari a notte fonda in Vespa con un ordigno. Forse verso la sede del «Corriere della Sera». Buzzi, indicato per anni come un semplice delinquente comune, in realtà intratteneva stretti rapporti con tutta l’area del terrorismo neofascista. Condannato all’ergastolo nel primo processo per la strage di piazza della Loggia, venne poi assassinato nell’aprile del 1981 dai terroristi neri Pier Luigi Concutelli e Mario Tuti alla vigilia dell’appello, nel carcere di Novara, per il timore che parlasse.
LUDWIG: UNA FILIAZIONE DI ORDINE NUOVO
Nelle carte viene anche riscritta la storia di Ludwig, la setta neonazista che tra il 1977 e il 1984 si attribuì la responsabilità di 15 omicidi, tra loro, nomadi, omosessuali, tossicodipendenti, sbandati e prostitute, tutti esseri considerati non degni di vivere, da «punire» senza pietà, come scrisse nei suoi messaggi di rivendicazione. Proseguì con frati e sacerdoti, ritenuti non in “linea” con una certa condotta religiosa, con il «vero Dio», per finire con i frequentatori di locali notturni e a luci rosse.
Grazie alla documentazione emersa ora sappiamo che fu Ordine nuovo a figliare Ludwig, a Verona, con ben più di due persone al suo interno, non solo Wolfgang Abel e Marco Furlan. Una di queste, secondo le testimonianze era proprio Marco Toffaloni. Con buona pace delle perizie psichiatriche e delle sentenze che ridussero il caso a una questione di follia individuale. Niente di tutto ciò. L’azione di Ludwig viene dunque, in sede storica, ricollocata a pieno titolo nel contesto della Strategia della tensione segnata da bombe e manovre eversive, certamente attive fino agli anni Ottanta.
UN PATRIMONIO STORICO
La strage di piazza della Loggia, come l’eccidio di piazza Fontana, non furono solo “Stragi di Stato” ma anche “Atlantiche”. I neofascisti vi svolsero il ruolo di manovali.
Non sappiamo se questa inchiesta sfocerà in un nuovo processo. Quel che è certo il fatto che le testimonianze, la documentazione e i riscontri raccolti costituiscono un contributo fondamentale per rivedere la storia di quegli anni. Una storia di eversione dell’ordine democratico con una regia di apparati d’intelligence, statali e della Nato attraverso le sue basi in Italia.
Saverio Ferrari
(*) ripreso dalla rivista «Sinistra Sindacale»
1/3/2022 https://www.sinistrasindacale.it
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