Applicazione della legge 194: esposto dell’Udi.
La tendenza istituzionale ad applicare la legge 194 secondo libere interpretazioni, e anche le palesi distrazioni dei responsabili, spesso e in molte regioni, fanno sì che la libertà e il diritto alla salute delle donne vengano sacrificate in favore di una malintesa “libertà di coscienza” di politici e dirigenti sanitari,. La legge più che mai attuale e attuabile, si scontra con ideologie che per puro arbitrio entrano in collisione con i suoi principi e dettati legali.
Sotto e in allegato la lettera/esposto alla ministra della Sanità e, per oggi, ai responsabili della Regione Calabria, per l’operato dei quali si è avuto riscontro di frequenti omissioni e vessazioni ai danni delle cittadine.
Alla Ministra della Salute On. Beatrice Lorenzin
e p.c. al Presidente della Regione Calabria On. Mario Oliverio
al Commissario ad acta per la Sanità Regione Calabria Ing. Massimo Scura
Venute a conoscenza di esplicite omissioni di soccorso a pazienti bisognose di interrompere la gravidanza secondo l’art. 6 della legge 194 (aborto terapeutico) provenienti da diverse regioni, particolarmente la Calabria, con l’aggravante di immediato pericolo per la vita stessa delle donne, esponiamo che:
• In più casi si è riscontrato il rifiuto di fornire diagnosi prenatali
• In più casi è stato comunicato dai sanitari alla paziente che l’eventuale presentazione di certificato psichiatrico, attestante il grave pericolo per la salute mentale della madre in caso di gravi malattie o malformazioni del feto, avrebbe pregiudicato la tutela legale sui figli nati precedentemente all’evento. Fatto questo privo di alcun fondamento.
• L’obiezione di coscienza, in numerose strutture pubbliche, è stata sollevata come pretesto all’omissione di atti dovuti da parte dell’ospedale e da parte di personale non implicato nell’intervento abortivo.
• Si è profilato in più casi un comportamento vessatorio per costringere la donna a portare avanti una gravidanza rischiosa e dall’esito incerto. Il tutto fino a proporre, in caso di gravidanza gemellare, la mummificazione di un feto nel ventre materno.
Riteniamo pertanto che il controllo burocratico riguardo solo al numero degli interventi e ai dettagli farmacologici, su cui si basano le relazioni annuali richieste dal Ministero alle regioni, non debba e non possa essere esaustivo per una valutazione responsabile della legge 194, che indiscutibilmente va applicata, in quanto legge dello Stato, a tutela dei diritti delle cittadine in tutta la penisola.
La legge 194 in Italia è applicata, dove lo è, grazie al controllo delle donne e alla professionalità del personale medico non obiettore. Si calcola che la percentuale degli obiettori/trici, cioè coloro che si astengono dall’applicazione della legge a parità retributiva con coloro che invece la applicano, in tutte le regioni non sia meno del 50%, fino a raggiungere punte dell’80% nell’Italia Meridionale e insulare. Posto che la responsabilità dell’applicazione della legge fa capo alle direzioni sanitarie degli ospedali, va detto che queste, in caso di limitazione se non addirittura del rifiuto di accogliere la donna che chiede di interrompere volontariamente la gravidanza nei primi tre mesi, sono passibili di formale denuncia a carattere penale per “interruzione di pubblico servizio” e induzione all’aborto clandestino. L’accesso oneroso a questa possibilità di far valere il diritto da parte delle donne, tuttavia, in un momento di particolare fragilità psicologica, è sporadica anche grazie alla disinformazione operata dalle stesse strutture ospedaliere, che tra l’altro hanno l’obbligo comunque di seguire diligentemente un iter di prenotazione presso altra struttura, pubblica o abilitata, nel caso non abbiano possibilità effettiva di prenotare l’intervento in sede. Del resto pare assai poco rispettabile che una legge dello stato, la 194, per essere applicata implichi la necessità di un controllo poliziesco sulle strutture deputate.
Il ricorso all’obiezione di coscienza agisce sicuramente sul numero di addetti per reparto, tuttavia questo non costituisce né un alibi per le direzioni sanitarie, tenute al funzionamento del servizio, né può essere invocata dal personale non sanitario o sanitario non impegnato direttamente negli interventi.
Tanto meno l’obiezione può essere invocata, come invece accade, per quanto riguarda la somministrazione di farmaci per la contraccezione d’emergenza (pillola del giorno dopo). Considerato tutto questo riteniamo che le responsabilità, nella crescente protesta delle utenti, di fronte alle difficoltà opposte da parte istituzionale all’applicazione legge 194, debbano essere finalmente assunte dal Ministero della Salute, pesantemente disattento e disinteressato ai palesi arbitrii perpetrati nel sistema sanitario nazionale ai danni di cittadine nell’esercizio del diritto alla salute e alla libertà di scelta. Per questo chiediamo alla Signora Ministra quali provvedimenti intenda assumere di fronte a strutture che impunemente omettono atti dovuti e perpetrano omissioni di soccorso.
Il Coordinamento Nazionale dell’UDI
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