Armamenti e fame nel mondo
La rivista americana di geopolitica Foreign Policy fornisce i numeri di un mercato “particolare”. Quello delle armi, che ammazzano molti e fanno ingrassare pochi. Lasciamo per ultime le nostre riflessioni e andiamo ai fatti. Sotto il titolo “Il grande riarmo globale. L’Ucraina e il pericoloso aumento delle spese militari”, tre analisti di FP (Man Tian, Diego Lopes da Silva e Alexandra Marksteiner) ci spiegano come, dopo un periodo di relativa tranquillità, sia ripresa una frenetica corsa agli armamenti.
Due trilioni e mezzo. 2,5 con 17 zeri dopo
Sembrava che, con la fine della Guerra fredda, fosse scemata la propensione al bellicismo. La globalizzazione economica e il conseguente miglioramento delle relazioni internazionali, avevano creato un clima di “cointeressenza”. Cioè, di mutua cooperazione. E conflitti che proprio dovevano divampare, lo facevano solo su scala regionale. Naturalmente, con le dovute eccezioni, dato che il pianeta si porta appresso aree di crisi cronicamente aperte da decenni.
Fine della unipolarità Usa
È stata la fine della “unipolarità” statunitense, all’inizio del 2000, a decretare la svolta. Da quella data, dicono i ricercatori di FP, le grandi nazioni hanno ripreso a riarmarsi. Prima Russia e Cina e poi, in special modo dopo l’11 settembre, gli Usa. “Le spese militari europee – invece – sono rimaste stagnanti, almeno fino al 2014. Fino a quando, cioè, Mosca non si è annessa la Crimea”. Da quel momento le strategie sono cambiate anche nel Vecchio continente, anche se non in misura così marcata, come avvenuto dopo l’invasione dell’Ucraina.
Più armi più sicurezza?
Secondo FP, finora, a parte le altre nazioni occidentali, 29 Paesi europei hanno stanziato 209 miliardi di dollari di fondi per nuovi acquisti militari. L’Alto rappresentante UE per la Politica estera e la difesa, Josep Borrell, ha chiesto a tutti i membri dell’Unione “di spendere di più e meglio”. Ma la sicurezza globale dipende dalle armi? Secondo Foreign Policy, in minima parte e nel breve periodo. Il concetto di “sicurezza” è molto ampio e non può essere solo limitato ai casi estremi di conflitto tra nazioni, cioè alle guerre. Esistono emergenze diverse, più pressanti e “certe”: quella climatica, quella sanitaria, quella alimentare, quella per l’acqua.
Sicurezze di vita e rischio ‘miscalculation’
Combattere una guerra preventiva, riempiendo i nostri arsenali di armi costosissime, significa sottrarre risorse indispensabili per le altre battaglie che l’umanità deve sicuramente affrontare. L’altra valutazione che viene fatta dagli specialisti, è che il possesso di armi sofisticate crea un pericoloso clima di incertezza. In situazioni di questo tipo, una reciproca “miscalculation” (incomprensione) può risultare fatale, dando vita a un’escalation incontrollabile.
Defense investment pledge Nato
Come detto, in Europa la svolta è arrivata con l’annessione russa della Crimea nel 2014. In quell’anno, la Nato ha elaborato un documento, il Defense investment pledge, che invita gli Stati membri a portare la spesa militare al 2% del Pil. Una raccomandazione che era andata a rilento, ma che dopo l’invasione dell’Ucraina hanno raccolto tutti. La Germania ha fatto molto di più, varando un piano extra per acquisto di armamenti di ultima generazione, fino a 104 miliardi di dollari.
Super armi americane
Nel budget sono anche compresi i costosissimi caccia americani “da superiorità aerea” F-35. Stesso discorso per la Polonia (3% di budget) e per la Romania (2,5% di budget). Naturalmente, entrambi i Paesi, compreranno armi americane. Armi, di ultima generazione, che sono trasferite a ciclo continuo e in quantità massicce in Ucraina, che così diventa un’eccezionale vetrina per tutta l’industria Usa del settore. Foreign Policy calcola che, solo per quest’anno, Biden abbia chiesto stanziamenti straordinari per la Difesa per ben 90 miliardi di dollari. Un’enormità. L’Ucraina, direttamente o indirettamente, ne dovrebbe avere una quarantina, oltre a quelli già ricevuti in passato.
L’industria bellica Usa
Gli Stati Uniti spendono per le armi dieci volte più della Russia e tre volte più della Cina. Quest’ultima, in termini di potenza militare, se si escludono le forze nucleari, è ben più potente di Mosca. Negli ultimi tempi, Pechino ha progressivamente incrementato il bilancio della difesa del 10% all’anno, arrivando quasi a 300 miliardi di dollari. Ma i cinesi sono ancora ben lontani dagli Stati Uniti.
Valori democratici e anche meno
Certo, i valori democratici e i diritti della persona vanno difesi. Certo anche che dietro ogni grande partita politica internazionale possono nascondersi anche obiettivi molto meno nobili e confessabili. E quella del business più o meno mascherato delle armi, è una di quelle trappole della comunicazione che richiederebbe l’intervento di specialisti di psicologia sociale. Di massa.
Nobel inventò la dinamite
Barack Obama, premio Nobel per la pace, ha elaborato un programma di difesa e risposta nucleare del costo di 1,2 trilioni di dollari. Il piano, in corso di realizzazione, sarà terminato nel 2045. Bene, un rapporto dell’Onu e del Programma alimentare mondiale ha stimato che ci vorrebbero 265 miliardi di dollari all’anno, da qui al 2030, per sconfiggere la fame nel mondo. Qualcuno si faccia l’esame di coscienza.
Piero Orteca
Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale
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