Arte tra designer e consumismo. Il pensiero di Enzo Mari e di Franck Lepage

Per anni ho faticato a considerare l’arte contemporanea come un esempio di arte, soprattutto il design. Quando a maggio 2021, l’artista sardo Salvatore Garau aveva proposto la “statua invisibile” intitolata “Io sono”, venduta per 15mila euro (dopo una valutazione iniziale che si attestava tra i 6mila e i 7mila euro), la mia mente spontaneamente faceva paragoni con il passato, con l’arte del Rinascimento, con i Donatello, Michelangelo, Tintoretto e Giotto: quell’arte che puntava alla bellezza, al sublime, all’incanto, alla rappresentazione di un qualcosa che vive o che rappresenta emozioni e sentimenti. La mia mente inevitabilmente paragonava questa “trovata di marketing” contemporanea con l’arte specchio dell’anima del passato, vedendo nella prima il nulla mentre nella seconda l’espressione che riesca a livello immaginifico a raffigurare qualcosa che appartiene alla sfera dell’umano.

A ottobre 2021, Salvatore Garau ha riproposto un’altra scultura invisibile dal titolo “Davanti a te” che è stata venduta per 27mila euro durante un’asta curata da 4-U news, a Milano. Si tratta di un’opera immateriale, inesistente, che non c’è, ma che comunque ha un nome, un certificato di esistenza e di vendita. Nonostante non sia stata nemmeno realizzata si dice che è stata “realizzata dall’artista sardo Salvatore Garau”. Di fronte a tutto questo mi sono chiesto come queste operazioni di marketing potessero essere coerenti con il concetto di “arte”.

Finalmente, dopo anni, ho trovato la chiave di lettura: il sistema di valori. L’arte del passato e quella contemporanea si rifanno a due sistemi di valori diversi e per capirle bisogna addentrarsi in quel sistema di valori. La risposta mi è arrivata, in modo sorprendente, leggendo una vecchia intervista ad Enzo Mari, uno dei padri del design italiano che, una volta conclusa l’epoca d’oro degli anni Sessanta e Settanta del design, ha iniziato a criticarlo attribuendo al marketing la colpa di aver trasformato il designer da filosofo creativo in semplice “interprete di tendenze” e, ancor peggio, creatore di mode standardizzate e cose inutili. Nell’intervista fatta da Vittorio Zincone su Sette qualche anno fa, Enzo Mari, vincitore di 4 Compassi d’Oro (uno dei premi più prestigiosi) affermava come attualmente il consumismo è diventato il sistema di valori del designer, riempiendoci di oggetti totalmente inutili. Per amare il design di oggi, bisogna condividere il sistema di valori che lo produce, ovvero il mercato e il profitto. Non riconoscerlo come arte significa in realtà aderire ad un altro sistema di valori che non vede l’arte come una diretta discendente del mercato, ma bensì dell’espressione emotiva, sentimentale, immaginifica dell’essere umano.

Spostando l’asse del sistema di valori, si inizia a comprendere il design: l’arte di oggi dipendente dal suo tempo (società della Tecnica), dal suo contesto (società del mercato) e dal suo ethos (il profitto). Nella sua autobiografia 25 modi per piantare un chiodo, Mari spiega come il consumismo sia in mano alle industrie che comandano i designer e come il profitto abbia corrotto da dentro lo spirito del design, rendendolo brutto e superfluo. Il design è la base della progettazione degli oggetti che comunemente usiamo e se gli oggetti sono progettati per durare nel tempo, per essere riciclabili e per non essere sprecati lo dobbiamo ai loro progettisti, ossia ai designer: oggi non è così perché il design è fine a se stesso. Come sosteneva Mari:
“I designer sono i primi tra i miei nemici. Il 95% è totalmente ignorante. Sono dei piccoli robot che accettano come valore solo il mercato. Poi c’è un 5% che capisce, ma cinicamente accetta le distorsioni dello stesso mercato: oggetti costruiti solo per durare qualche mese… Non servono a chi li acquista ma a chi li produce per fare profitto. E’ legittimo, ma non si riempiano riviste e volumi per dire che questi lavori contengono qualcosa di cui la società ha bisogno. Da trent’anni si producono oggetti di design che hanno l’unico scopo/caratteristica di sembrare diversi uno dall’altro. Nulla di nuovo. Il problema è che oggi tutti i grandi imprenditori realizzano oggetti solo per produrre denaro. Io con questi non ci posso lavorare. Cerco di lavorare solo con chi dimostra un po’ di passione per il progetto. Con chi si metterebbe in casa l’oggetto che produce.”

I valori per riconoscere in questa “arte” sono mercato e profitto. Ovviamente Mari critica il design contemporaneo, ma in realtà anche il suo stesso design è in parte espressione di questi valori. Pensiamo alla “Putrella”, considerato il paradigma della ricerca e del lavoro di Enzo Mari, è un portaoggetti o centrotavola realizzato partendo da un semilavorato industriale, ovvero un pezzo di travetto di profilato metallico sagomato a doppio T in ferro verniciato trasparente. Una sua putrella, un pezzo di ferro, può costare fino a 724 euro. Stiamo parlando di un pezzo di ferro che solitamente, in quelle dimensioni, costa sui 2 euro. Quando Mari ci dice che “I designer producono oggetti di cui la società non ha bisogno” è assolutamente consapevole che la sua Putrella è inutile, anche se molto bella come centrotavola su un tavolo in arte povera. Quindi ci sta fottendo? No, ci sta in primis dando un’idea che, per quanto possa sembrare scontata, in realtà nessuno l’aveva pensata; ci sta dicendo che un oggetto semplice e quasi assurdo può essere in realtà molto elegante all’interno di un certo ambiente; ma soprattutto ci sta dando ciò che vogliamo, rispondendo a bisogno di futilità della nostra società, sta semplicemente alimentando quel nuovo sistema di valori che riconosce “arte” in questo design. Mari è un designer vero, di quelli che ammettono senza problemi che vi è una degenerazione del nostro sistema di valori dato dalla società dei consumi e che intacca tutti gli ambiti della realtà. Mari è un artista che ha la grande intelligenza, come Bruno Munari (famoso per le sue forchette), di criticare il mondo che viviamo semplicemente mostrandocelo. Nonostante ciò, Munari e Mari concepivano il design in un altro modo rispetto alla sua naturale degenerazione, ovvero lo scopo educativo e culturale umanistico, aspetti che con il design consumistico spariscono totalmente: “I computer non fanno bene al processo creativi. I nostri neuroni sono più potenti di un software. Certo, se uno ha già una cultura umanistica, la macchina può dargli una mano a sbrigare certe faccende. Ma su uno studente ventenne e demente che frequenta Architettura, l’effetto del pc può essere devastante” – affermava Mari. In un periodo storico in cui si parla di collasso climatico, bisogna interrogarsi sul sistema che produce cose inutili, anche in termini di costi ecologici e ambientali. A tal proposito ricordo una frase di Tiziano Terzani: “L’economia con la sua pretesa scientificità si sta mangiando la civiltà creando intorno a noi un deserto dal quale nessuno sa come uscire. Meno di tutti gli economisti. L’idea che consumando si progredisca è pura follia. È così che si consuma il mondo, perché alla fine consumare vuol dire consumare le risorse della Terra”. 

C’è chi infatti si è sempre rifiutato di considerare l’arte contemporanea (concettuale o design) come una forma di arte. È il caso dell’attivista politico, educatore popolare ed artista francese Franck Lepage, il quale da anni denuncia l’arte contemporanea come una “truffa”, che lui chiama arte che non conta nulla. Nella migliore delle ipotesi, sarebbe un paradiso fiscale che realizza tutti i sogni del capitalismo creando “valore senza lavoro”. Nel peggiore dei casi, l’arte contemporanea sarebbe un’arma della propaganda capitalista che vuole generare trasgressione per far ignorare meglio la sovversione. Secondo Lepage, molte opere d’arte concettuale possono essere riprodotte a piacere, indipendentemente dal luogo. Lepage prende l’esempio delle opere di Damien Hirstconsistente nel riempire più volte al giorno dei medicinali con capsule che possono così facilmente fornire un mercato e fondi speculativi (dove le opere di pittori o scultori classici sono troppo rari per questo) e a cui le autorità come il Ministero della Cultura francese danno valore acquistandoli. Lapage crede che la promozione dell’arte contemporanea trovi sostegno nello Stato, il quale trova così un modo per domare il suo popolo propinandogli un’arte non-arte volendo creare una “cultura istituzionale”. L’arte contemporanea viene così promossa perché è un’arte innocua e depoliticizzata che vanifica la trasgressione nella trasgressione fine a se stessa, togliendo all’arte la capacità scomoda e potenzialmente rivoluzionaria. Lepage collega questo argomento alle pressioni che la CIA avrebbe esercitato in Europa per promuovere l’espressionismo astratto di Jackson Pollock come strumento di propaganda in un contesto di guerra fredda, promuovendolo come esempio di creatività artistica di fronte alla rigidità dei regimi comunisti. Ad oggi è difficile captare l’arte nel design della società dei consumi ed è difficile definire il concetto di arte, ma ciò che rimane è la possibilità di aderire ad altri sistemi di valore differenti dal mercato e dal profitto per una nuova creatività.


Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

13/3/2023

Foto Hompage: Opera invisibile – Salvatore Garau

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