Aspettando l’alba
Notizia dell’ultima, o penultima ora: un contadino viene ucciso da un altro sorpreso a varcare la “zona rossa”, in quel di Fondi, presso Latina. Al centro operativo della Questura di Torino ieri sono giunte 600 (dicasi seicento) segnalazioni da parte di privati cittadini, che denunciano altri cittadini per violazioni delle restrizioni alla libera circolazione delle persone: la metà si sono rivelate violazioni insussistenti. Qualcuno opportunamente lancia un appello: non trasformiamoci tutti in sbirri. I quali sbirri non vanno tanto per il sottile: segnala un amico su Facebook, Salvatore Prinzi, una scena in una via del centro di Napoli, deserta, zona degradata, dove mai si vede polizia, e la legalità è soltanto una parola, perdipiù sconosciuta alla gran parte dei residenti. Ebbene, ieri pomeriggio era percorsa da quattro carabinieri su rombanti motociclette che si fermano a una panchina dove è seduta una coppia, debitamente fornita di mascherine: i due vengono avvicinati, documenti e tutta la trafila. Abitano a pochi metri, vogliono prendere una boccata d’aria, dato che la loro casa è piccola e umida. Mostrano il portone d’ingresso alle loro spalle. Niente da fare: la legge è legge. Sanzione d i 206 euro (e una denuncia), e gli è andata bene, perché da domani le sanzioni sono schizzate verso l’alto, da un minimo di 400 a un massimo di 3000. Intanto, i bus napoletani sono stipati all’inverosimile di persone, quelle costrette a muoversi, con tanto di autocertificazione, e siccome sono state ridotte le corse dei mezzi pubblici, ne consegue che devono stare l’una a ridosso dell’altra in un mezzo…
Forse è già troppo tardi. La caccia all’untore è già scattata? La sindrome della peste finirà per ammazzarci prima della peste?
Domande come queste, che troviamo o no la forza di porle, sono depositate dentro di noi, agitano le nostre menti, ci tolgono il sonno, generano ansia, e ci mettono a nudo nella nostra impotenza. Non abbiamo risposte, specialmente alla domanda delle domande, che ci preme nel cervello, e non osiamo neppure confessare: che fare? Non possediamo specifiche competenze in campo medico, epidemiologico, e soprattutto virologico; dunque non abbiamo soluzioni, al di là della protesta appartata e silenziosa, sempre più appartata e sempre più silenziosa, e al massimo, appunto, firmiamo o lanciamo qualche appello, caritatevole o di protesta: chiediamo risorse per il sistema sanitario nazionale, esortiamo il governo a chiudere le fabbriche, i più attenti tra noi denunciano – giustamente – il rischio autoritario insito nelle misure (spesso anticostituzionali, o al limite della legittimità) dei governanti, e incitano i concittadini a non farsi travolgere dalla paranoia.
Altri reagiscono cantando e suonando dai balconi, altri dando libero sfogo alla loro inventiva elettronica creando o rilanciando dei “meme”, che, come sappiamo, si diffondono come un fenomeno “virale” (che paradosso, a rifletterci! Resistiamo alla diffusione di un virus biologico diffondendo virus elettronici). Altri ancora, molti di più, fanno ricorso all’orgoglio nazionale, improvvisamente riscoprendo che l’Italia “è un Grande Paese”, che è pure “il Bel Paese”; e snocciolano i nostri pezzi forti, Raffaello e la Ferrari, Dante e Giorgio Armani, la Pizza e Giuseppe Verdi, Marconi e la Gioconda, la Torre Pendente e il Barolo… Ed è una profluvie di “Fratelli d’Italia”, di “Va’ pensiero”, nello sventolio del tricolore.
Non mancano coloro che, all’opposto, si chiudono in un mondo di paure, e nei loro discorsi si dilettano, quasi, a disegnare scenari distopici, certo sollecitati dallo sconsiderato allarmismo dei media, e accarezzati da foto (o fotomontaggi), che anche quando non provengano dalle innumerevoli fabbriche del falso, le famigerate, infinite fake news, invece che documentare sembra abbiano il solo scopo di allarmare, angosciare, e metterci alla mercé del primo che prometta salute privata e pubblica. Altri ancora, coscienziosamente, ma con un crescente tasso di nevrosi, vanno in caccia di informazioni, che non mancano, ma non sono (non siamo) in grado di sceverare il grano dal loglio, le notizie vere da quelle false, e le informazioni corrette spesso risultano superflue, tanto più per chi non appartiene al mondo della medicina.
Insomma, noi semplici cittadini, i “non esperti” e i “non governanti”, ci siamo scoperti inermi, privi di armi teoriche, conoscitive, e di armi pratiche, mediche e sanitarie, davanti alla tragedia. I governanti, locali e centrali, non sono che lo specchio della nostra impreparazione. Ma non spetterebbe proprio ai responsabili dei pubblici poteri, a Roma, come a Milano, a Torino, a Venezia, a Bologna, a Bari, a Palermo…, gestire, accanto all’ordinaria amministrazione, anche quella straordinaria? Tanto più che da molto tempo, gli esperti (quelli veri) annunciavano il rischio di pandemie? Tanto più che questo virus (il SARS-CoV-2, che procura la malattia Covid19) era sotto osservazione (addirittura dal 1997) e la sua pericolosità era nota.
Abbiamo invece subìto (e stiamo subendo) le conseguenze delle gravi incertezze e dei colpevoli ritardi del governo, delle assurde contraddizioni e delle illeceità giuridiche delle azioni dei poteri centrali e periferici, e abbiamo subito e stiamo subendo il ridicolo protagonismo del presidente del Consiglio che si atteggia a “capo del governo”, così come i presidenti delle Giunte regionali si atteggiano a “governatori”, figure, l’una e l’altra, che nel nostro ordinamento non esistono, si badi bene, ma che un sistema mediatico corrivo e pigro finisce per avallare, tra dolo e insipienza.
E intanto, ci è toccato altresì assistere al penoso balbettio di ministri, a odiose speculazioni politiche di chi non è in questo momento al potere, a conflitti, spesso grotteschi, tra centro (governo di Roma) e periferia (amministrazioni regionali) e, a cascata, persino a penose baruffe tra presidenti di Regioni e sindaci, tra Protezione civile e Aziende Sanitarie Locali, tra Giunte regionali e Prefetture…
Ancor più deprimente è il continuo scontro fra “tecnici”, in particolare tra virologi ed epidemiologi, e tra infettivologi e pneumologi, tra medici olistici e medici specialistici, per non parlare delle contese in seno alla stessa piccola comunità degli esperti di virus, la virologia, appunto: e agli scambi sconcertanti di accuse, insinuazioni, persino volgarità. Il tutto amplificato e deformato, iperrealisticamente, dalla televisione che non smette di “rilanciare”, e di fornirci una rappresentazione della realtà sensazionalistica, e in definitiva peggiore di quanto essa non sia, purché faccia audience (ah, quanta ragione aveva Pier Paolo Pasolini al proposito!). Siamo stati tutti sommersi da un maremoto di dati, spesso contraddittori, imprecisi, approssimativi, nei quali i catastrofisti litigavano con i rassicuranti, ma non sono mancati e tuttora sono in azione i negazionisti: coloro che dicono, ripetono, e sovente urlano scompostamente (vedasi quel figuro di Vittorio Sgarbi) che non esiste alcuna pandemia, e neppure una epidemia, trattandosi di una “banale influenza come un’altra”, supportati magari da figure di “saggi” come Giorgio Agamben che ha avuto l’ardire di sostenere (filosoficamente, s’intende!) che la vera malattia è la paura, non il virus. Impudenza e imprudenza degli uni e degli altri.
Certo, si può e credo si debba gioire delle manifestazioni spontanee o sollecitate, di solidarietà orizzontale, fra cittadini, con i ragazzi che si offrono per la spesa e l’assistenza agli anziani soli, con le collette di fondi per la Protezione civile, con i tanti, vari e spesso fantasiosi modi di stare vicino a chi ha bisogno. Ma è difficile frenare la rabbia pensando al fatto che il comune cittadino, dopo essere stato schiacciato, vessato o comunque non adeguatamente protetto da chi avrebbe dovuto istituzionalmente farlo, deve ora sobbarcarsi l’onere di dare la propria opera, il proprio sangue, il proprio tempo e il proprio denaro, per supplire alle carenze del potere. È difficile frenare la rabbia davanti alla obbligatorietà del lavoro in troppi casi, senza che venga garantita alcuna protezione a chi quel lavoro presta, negli uffici, nelle fabbriche, nei servizi, in tutte quelle situazioni che non possono essere gestite a distanza, con il cosiddetto smart working.
Intanto accanto ai cittadini ricoverati, e ai deceduti, per Covid 19 (anziani, ma non soltanto), l’elenco dei morti veniva e viene tuttora, giorno dopo giorno, ora dopo ora, paurosamente allungato da medici, paramedici, infermieri, e così via: morti che pesano doppiamente, questi ultimi, sulla coscienza civile di questo Paese. Un personale gettato allo sbaraglio dalla inettitudine e incompetenza dei loro dirigenti, dalla vigliaccheria governativa, e soprattutto da una lunga, sistematica devastazione del Servizio Sanitario Nazionale, a cui con particolare zelo, persino con accanimento, si sono dedicati nel corso degli ultimi tre decenni almeno, politici di “centrosinistra” e di “centrodestra”, o se si vuole esponenti delle due destre che si alternano al potere, locale o centrale, senza alcuna forza politica e sindacale capace di opporsi allo sfacelo, le cui conseguenze erano facilmente prevedibili. E ora, con sfacciata noncuranza, si gettano allo sbaraglio i neolaureati, e si fa appello ai medici in pensione: andate tutti a morire per la patria, e la patria ve ne sarà grata…
Sì, la Patria. La situazione ha fatto “riscoprire” nell’orgoglio di chi vuole resistere, l’amor patrio, e la metafora guerresca è divenuta corrente; o meglio, diciamo che la costruzione dell’auto-apologetica assolutoria della nazione è stata parte integrante del lessico del potere, per cancellare o minimizzare le proprie responsabilità e nascondere le proprie incapacità. Il lessico bellico finirà, forse, per sostituire stabilmente quello sportivo inaugurato e imposto da Silvio Berlusconi (scendere in campo, fare squadra, portare a casa il risultato…). “Siamo in guerra”, “la guerra che stiamo combattendo”, “il nemico da sconfiggere”, “i medici in prima linea”, “gli eroi delle corsie” con la variante “gli angeli delle corsie”, “i caduti sul campo”, e via seguitando…; e intanto se ci affacciamo alle finestre, vediamo in azione blindati, camion dell’esercito, divise verdi accanto a quelle blu con strisce rosse dei Carabinieri e quelle azzurro-grigio della polizia. Se si alzano gli occhi al cielo elicotteri e droni a sorvegliare la “zona di guerra”. E finiamo per convincerci che davvero è una guerra, se allunghiamo lo sguardo verso strade deserte, piazze vuote, e dalla radio e dalla tv non riusciamo a sottrarci ai “bollettini di guerra” (espressione ormai codificata). E la guerra richiede misure eccezionali, comprese la sospensione dei più elementari diritti degli individui, in un crescendo di limitazioni, alcune ovvie e giustificate, altre cervellotiche e controproducenti (vedi la passeggiata di singoli in un giardino, o godere uno spicchio di sole su di una spiaggia).
Siamo tutti, ormai, dentro la logica pericolosa e sovente illogica dell’emergenza, spinta oltre i limiti dell’intelligenza e della decenza, e applicata con rigidità, spesso con cattiveria, dai tutori dell’ordine, spesso quasi con un certo gusto; per loro l’emergenza significa licenza? Ci fosse almeno a corrispettivo un’autorità politica, amministrativa, scientifica a darci fiducia. Purtroppo non c’è. E noi staremo qui, stancandoci a un certo punto anche di seguire la stampa, la radio, la televisione. Subiremo, semplicemente, aspettando che questa lunga notte passi, esercitandoci, nel contempo, nella nobile scienza della resilienza, e attivando ogni nostra risorsa nella difficile arte della speranza. Ma intanto, attrezzandoci, sul piano culturale, compreso quello specificamente scientifico, e lavorando, sul piano squisitamente politico, per essere in grado di rilanciare la lotta, la più dura possibile, domani, con alcuni obiettivi di fondo, primo fra tutti, la difesa e il rilancio di tutto ciò che è da considerare bene comune, non privatizzabile, non “regionalizzabile”, non commercializzabile: l’ambiente, la salute, l’istruzione, il patrimonio culturale, il paesaggio. Ricordiamocene appena sorgerà l’alba.
Angelo d’Orsi
25/3/2020 da MicroMega
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