Atef Abu Saif: “A Gaza Israele uccide anche la storia”

Atef Abu Saif

Testimone senza volerlo. La mattina del 7 ottobre 2023, lo scrittore e politico palestinese Atef Abu Saif si trovava a Gaza per quella che avrebbe dovuto esse una visita di qualche giorno. Ministro della Cultura dell’Autorità nazionale palestinese fino allo scorso aprile, nato a Jabalia, nel nord della Striscia, ma residente a Ramallah, era arrivato nell’enclave per celebrare la Giornata del patrimonio palestinese e visitare alcuni familiari. “Stavo nuotando in mare quando ho sentito il rumore dei primi razzi”, ricorda. Da lì è iniziata una fuga lunga quasi tre mesi con il figlio e la suocera in sedia a rotelle tra macerie e campi profughi, fino all’evacuazione in Egitto. Atef Abu Saif la racconta in Diario di un genocidio – 60 giorni sotto le bombe a Gaza, edito da Fuoriscena. L’abbiamo intervistato durante una breve trasferta in Italia.

È passato più di un anno dagli attacchi del 7 ottobre e dall’inizio dell’offensiva israeliana. Cosa resta di Gaza oggi?

Oggi Gaza non esiste più. Io ci sono nato e cresciuto, ma se dovessi tornarci adesso non la riconoscerei. Le strade, gli edifici, i giardini di cui ho memoria sono stati spazzati via. Tutto quello che rimane è un’enorme distesa di montagne di detriti e rottami. Non è da ricostruire, è da ricominciare da zero. Ma è importante ricordare che la guerra non è iniziata quel giorno, ma continua da 76 anni. Non si può imputare a tutti i palestinesi quanto è successo il 7 ottobre, come non si può giustificare l’attacco di Israele come una reazione al 7 ottobre. Dico spesso che la Nakba (“catastrofe” in arabo, termine usato per indicare l’esodo dei palestinesi del 1948, ndr) è come un mosaico. Un mosaico orribile intendo, non un’opera d’arte, composto da tanti piccoli pezzi. Ecco, Israele sta continuando ciò che ha iniziato nel 1948, ma in modo più intenso, violento e evidente.

Con quale obiettivo?

L’obiettivo è chiaro: cacciare i palestinesi da Gaza per occupare quel territorio. Alcuni esponenti politici israeliani lo dichiarano apertamente, hanno già presentato progetti per costruire case, parchi, spiagge. Ma non possiamo permettere che i palestinesi vivano ancora da rifugiati. Hanno dovuto lasciare le loro case per vivere nelle tende, ma non sono disposti ad andarsene dalla loro terra.

Molte persone, soprattutto in Occidente, sono estremamente caute e sensibili quando si usa il termine genocidio. Lei invece ne parla apertamente: capisce questa reticenza?

Andiamo a prendere la definizione giuridica, quella sulla base della quale sta indagando la Corte internazionale di giustizia: genocidio non è uccidere tutti, ma compiere atti con l’intenzione di uccidere. Questo significa anche impedire l’accesso di cibo e medicinali, come Israele ha fatto e sta facendo. Mio padre è morto di fame a Jabalia per questo. E dire che lo si fa per colpire i terroristi non ha senso: è come incendiare un pagliaio per recuperare un ago.

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Nel suo libro, Diario di un genocidio, descrive la confusione dei primi giorni. Immaginava allora che a distanza di un anno saremmo al punto in cui ci troviamo oggi, con la guerra che continua a Gaza e si espande al Libano?

No, nessuno lo immaginava. Sa, chi vive a Gaza è abituato alle guerre, quindi quando abbiamo iniziato a vedere i missili ci siamo detti “Ok, è un’altra escalation, non durerà a lungo”. Poi abbiamo iniziato a contare i giorni, ma sicuri che non avremmo superato i 51 dell’offensiva del 2014. Speravamo che la comunità internazionale riuscisse a fermare l’invasione, invece si è rivelata incapace. Così siamo arrivati a cento giorni, poi duecento, poi 365. Ma ciò che dico spesso è che la vera guerra è quella che inizia dopo la guerra, quando le persone si ritrovano senza case, scuole, ospedali. Quando i bambini si scoprono orfani, senza famiglia e senza futuro. Allora inizia la battaglia per una vita il più possibile stabile e sicura. E durerà molto tempo: ci vorranno anni per ricostruire ciò che è stato distrutto, e ancora di più per dimenticare quanto è accaduto.

Secondo l’Unesco, 69 siti di grande valore culturale sono stati danneggiati dal 7 ottobre ad oggi. Alcuni parlano di “culturicidio”, altri di “danni collaterali” inevitabili. Lei cosa pensa?

Oltre ai siti recensiti dall’Unesco sono state distrutte decine di biblioteche, musei, teatri, cinema, statue, monumenti. Anche l’Italian Complex, uno dei quartieri più belli di Gaza che era stato distrutto nel 2014 e poi ricostruito, è stato nuovamente raso al suolo. Per non parlare delle decine di scrittori, fotografi, registi, attori e intellettuali uccisi

Questa non è solo una guerra contro le persone, prende di mira anche i luoghi e la storia. L’uomo, lo spazio e il tempo. Oltre ai siti recensiti dall’Unesco sono state distrutte decine di biblioteche, musei, teatri, cinema, statue, monumenti. Anche l’Italian Complex, uno dei quartieri più belli di Gaza che era stato distrutto nel 2014 e poi ricostruito (con il sostegno dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, ndr) è stato nuovamente raso al suolo. Per non parlare delle decine di scrittori, fotografi, registi, attori e intellettuali uccisi. E se uccidi l’uomo, lo spazio e il tempo, uccidi il futuro di un popolo.

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I bambini e ragazzi di Gaza hanno iniziato il secondo anno senza accesso all’istruzione, mentre scuole e università sono ridotte a macerie o trasformate in rifugi per gli sfollati. Che impatto avrà questo?

Significa che vedremo tornare l’analfabetismo, che era praticamente scomparso da trent’anni. Prima della guerra, il tasso di alfabetizzazione a Gaza era tra i più alti del mondo arabo. Ora, non soltanto i bambini non possono andare a scuola, ma chi è nato sotto le bombe non ha avuto modo di conoscere tutta una parte del vocabolario che per le generazioni precedenti era di uso quotidiano: cos’è una televisione? Un frigorifero? L’elettricità? Nascere e vivere la prima infanzia da sfollato in una tenda limita il tuo sguardo sul mondo.

Si dice che la guerra fa emergere il meglio e il peggio dell’uomo. Cosa ha visto durante quei 60 giorni sotto le bombe?

Io ho visto tanta solidarietà e collaborazione. Ricordo che un giorno, nel campo profughi, abbiamo speso ore per costruire un forno in argilla e cuocere pane per tutte le persone che stavano nelle tende. La gente di Gaza ha capito che la sopravvivenza è una questione collettiva, non individuale. Quando si è a bordo di una barca in mezzo alla tempesta, non ci si salva da soli: o si va tutti a fondo, o si uniscono le forze per portare la barca in acque sicure.

Lei ha perso diversi familiari e amici a causa della guerra. È in contatto con quelli che sono sopravvissuti? Cosa le raccontano della situazione oggi?

Parte della mia famiglia si trova ad Al Mawasi (l’area costiera vicino a Khan Younis, nel sud della Striscia, che Israele aveva dichiarato “zona umanitaria” al sicuro dai bombardamenti e che invece è stata colpita più volte, ndr). Mia sorella prega che non siano costretti a mettersi di nuovo in viaggio perché le loro tende, che avevano già dovuto riparare lo scorso inverno, sono di nuovo rotte dopo tutti gli spostamenti che hanno dovuto affrontare. Quando piove molto, i teli che sono stati danneggiati dal sole durante l’estate non riescono a trattenere l’acqua e si rompono. E con l’arrivo dell’inverno la situazione peggiorerà ulteriormente. La tenda di mia sorella dista cento metri dalla spiaggia, quindi probabilmente dovrà spostarsi per non essere raggiunta dall’acqua. Dopo mesi spesi a tentare di costruire una quotidianità, per quanto primitiva, dovrà ricominciare da zero.

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Qual è la via d’uscita?

L’unica soluzione sostenibile è arrivare il prima possibile a un cessate il fuoco, riattivare il processo di pace e dare ai palestinesi uno Stato. E questo sarà possibile solo se la comunità internazionale spingerà Israele in questa direzione. Altrimenti, possiamo già essere sicuri che questa non sarà l’ultima guerra.

Esiste una leadership palestinese in grado di portare avanti questo processo? La stessa Autorità nazionale di cui è stato ministro è contestata in Cisgiordania e non organizza elezioni dal 2006.

Se le elezioni sono state sospese è perché Israele non permette che si voti a Gerusalemme Est. E se accettassimo di votare senza Gerusalemme Est, la prossima volta sarà senza l’area C (la parte della Cisgiordania su cui Israele esercita controllo civile e militare totale, ndr), quella dopo senza Gaza. Se la comunità internazionale avesse davvero a cuore la democrazia, allora chiederebbe a Israele di consentire le elezioni a Gerusalemme Est. Invece sta perdendo una grande occasione.

L’impressione è che israeliani e palestinesi siano più lontani che mai dall’idea di una coesistenza pacifica.

Sa, prima della fondazione di Israele in Palestina convivevano ebrei, musulmani e cristiani e non c’erano ghetti. Ma questo è possibile se le persone credono davvero nella pace, se credono davvero che siamo parte della stessa umanità, figli dello stesso Dio, qualsiasi nome gli si voglia dare. Il problema nasce invece quando si pretende di trascinare Dio nella mischia e di farlo combattere al proprio fianco.

Storicamente l’Italia è sempre stata vicina all’Autorità e impegnata per la soluzione a due Stati. Come giudica la scelta di astenersi dalla risoluzione con cui, lo scorso 17 settembre, l’Assemblea generale Onu ha chiesto la fine dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi?

“Non chiediamo al mondo di lottare per noi, semplicemente di non essere contro di noi. Astenersi in questo caso non significa essere neutrali, ma schierarsi a favore dell’occupazione”

È una vergogna e non capisco il perché. Votare a favore non costa nulla e non significa dire “sono contro Israele”. Non chiediamo al mondo di lottare per noi, semplicemente di non essere contro di noi. Astenersi in questo caso non significa essere neutrali, ma schierarsi a favore dell’occupazione.

Se stacca la mente dall’oggi, che futuro sogna per Gaza?

Sogno una Gaza aperta al mondo, come lo era in passato. In epoca antica le nostre coste ospitavano uno dei porti più attivi del Mediterraneo, punto di incontro tra popoli e culture. Oggi nessuna nave può arrivare e partire, e lo stesso vale per gli aerei. Ecco, sogno che Gaza torni a essere questo: un ponte tra Oriente e Occidente.

Paolo Valenti 

14/11/2024 https://www.ilmanifestoinrete.it/

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