ATTENTI AI ……… DRAGHI

Nel nostro Paese appare molto diffusa la sensazione (da me condivisa) che alcuni elementi cardine del regime democratico siano (da tempo) oggetto di un sistematico attacco, “dall’alto verso il basso”.

Alludo ai reiterati tentativi operati dalla politica e – attraverso essa – dalla classe dirigente, di ridimensionare le conquiste sociali degli anni ’70 e ’80 e recuperare privilegi, profitti e potere. Effetto di quella politica neoliberista che Luciano Gallino aveva già indicato quale “La lotta di classe dopo la lotta di classe”.

Naturalmente, poiché si tratta di realizzare un disegno di medio-lungo termine, si assiste a una sorta di work in progress che solo con il trascorrere del tempo apparirà – chiaro a tutti – nella sua drammatica realtà.
Per il momento, registriamo la perdita di consensi e credibilità in cui versano le OO.SS. che furono tra le più forti e autorevoli al mondo: Cgil, Cisl e Uil.

E, con essa, la drammatica fase di smantellamento delle tutele e dei diritti – individuali e collettivi – che è ormai alle spalle dei lavoratori italiani.
In questo senso, il famigerato “Libro bianco”, la legge-quadro 14 febbraio 2002, nr. 30 (1) la legge Fornero, il sostanziale “svuotamento” dell’art. 18 dello Statuto – attraverso le controriforme operate dai governi Monti e Renzi – e il Jobs/act (con il superamento, tra l’altro, del vecchio contratto di lavoro a tempo indeterminato), unitamente alle ormai drammatiche condizioni di “flessibilità esasperata”, “precarietà” e “lavoro povero” cui sono stati ridotti milioni di lavoratori italiani, rappresentano solo alcune tappe del piano di attacco già sferrato al diritto del lavoro.

Ciò premesso, ci sono altre importanti questioni già all’O.d.g. degli zelanti “riformatori” liberisti: la sanità pubblica, la riforma della P.A. e il diritto all’istruzione.

Rispetto alla prima, ritengo superfluo ripercorrere le tappe che hanno contrassegnato – nel corso degli ultimi anni – la lenta, silenziosa, metodica e costante opera di vero e proprio “smantellamento” di quella che, alla fine degli anni ’70, rappresentò una straordinaria conquista sociale: l’istituzione del servizio sanitario nazionale (2).

Le vicissitudini che hanno caratterizzato e continuano a condizionare l’opera di contrasto alla pandemia da Covid-19 – particolarmente drammatiche proprio in alcune Regioni che vantavano, addirittura, una sanità d’eccellenza – hanno purtroppo svelato che i tre principi cardine della legge 883/78: l’universalità, l’uguaglianza e l’equità avevano da tempo ceduto il passo a logiche di tutt’altro tenore.

La regionalizzazione della sanità ha, probabilmente, finito con il favorire logiche di potere diffuso, nel quale la politicizzazione legata alla nomina dei dirigenti locali ha prodotto ed ampliati i margini di corruttela; con la conseguenza di marginalizzare la c.d. “medicina di base” e depotenziare le strutture e i presidi territoriali al solo scopo di favorire i sempre più famelici “privati”.

Quando a ciò si aggiungono i ricorrenti disservizi e le martellanti campagne pubblicitarie tese ad accreditare, presso l’opinione pubblica, l’idea secondo la quale, ad esempio, alle lunghe liste di attesa del “pubblico” corrisponde la (falsa) efficienza del “privato”, si arriva alla paradossale condizione di ipotizzare la soluzione attraverso il ricorso al sistema delle polizze sanitarie individuali (3).

Il futuro del settore è denso di presagi negativi (4) anche se ancora tutto da scoprire.

Altrettanto pericolose appaiono alcune recenti “manovre” che riguardano la P.A. e, indirettamente, coinvolgono l’istruzione pubblica.
D’altra parte, da un governo presieduto da Draghi e con un Ministro della P.A. che risponde al nome di Renato Brunetta, non era lecito aspettarsi nulla di diverso.

Relativamente alla P.A. il riferimento è alla parte del decreto legge 1° aprile 2021, nr. 44 che prevede nuove norme in materia di concorsi pubblici.
Infatti, all’art. 10 vengono indicate le fasi attraverso le quali, in futuro, si articoleranno tutti (5) i concorsi per il reclutamento di personale non dirigenziale nella Pubblica amministrazione:
a) espletamento di una sola prova scritta,
b) “ “ “ “ orale,
c) utilizzo di strumenti informatici e digitali,
d) valutazione dei titoli legalmente riconosciuti ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali,
e) i titoli e le eventuali esperienza professionali, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale.

Ebbene, tra quelle che sembrerebbero disposizioni “classiche” per lo svolgimento di concorsi per il reclutamento di personale pubblico, c’è ne qualcuna che ha suscitato molte perplessità.

Non appare, infatti, molto chiaro cosa s’intende per “valutazione titoli ai fini dell’ammissione alle fasi successive”. Si tratta, forse, di una fase pre-selettiva basata esclusivamente sui titoli posseduti dai singoli candidati, tale da determinare la mancata ammissione alle prove successive (scritta e orale) di coloro che dovessero risultare non forniti di adeguati “titoli”?

Al riguardo, il “possono”, riferito ai titoli e alle esperienze professionali, previsto alla lettera e) parrebbe rispondere in senso negativo alla domanda posta.

Se, però, così non fosse, si tratterebbe di una misura assolutamente non condivisibile perché rappresenterebbe, in sostanza, la volontà di consentire l’accesso ai concorsi esclusivamente ai candidati dotati di maggiori disponibilità economiche e in grado, quindi, di sostenere i notevoli costi di un master o di altro titolo post diploma o laurea.

Tra l’altro, poiché le nuove norme – contrariamente all’emergenza richiamata nel decreto – potranno essere applicate anche ai concorsi già banditi ma non ancora svolti, potrebbe verificarsi il caso di soggetti esclusi dalle prove in seguito a un vero e proprio “colpo di spugna”!

Si tratta, comunque, di una questione che merita un serio approfondimento e una costante vigilanza. La conferma, però, di quella che ai più appare come una scelta politica “di classe” e tesa a rendere sempre più difficili le prospettive occupazionali di milioni di giovani – pur bravi e in possesso di titoli di studio con alte votazioni, ma senza la possibilità di pagarsi master, dottorati e relativi (costosissimi) soggiorni all’estero o presso Università private – non ha tardato a manifestarsi.

Risale, infatti, allo scorso 6 aprile un bando pubblico per l’assunzione – con contratto di lavoro a tempo determinato – di 2800 unità di personale per l’attuazione dei progetti di cui al Recovery plan.

Ebbene, per queste assunzioni, in applicazione di quanto previsto all’art. 10, comma 4, del suddetto decreto 44/2021, è già previsto che i “titoli” e le “esperienze professionali” concorrono (non più possono) alla formazione del punteggio finale!

E non solo. E’ altresì previsto che la valutazione dei titoli e delle esperienze professionali conterà anche (6) ai fini dell’ammissione alle successive fasi (prova scritta mediante quesiti a risposta multipla, con esclusione della prova orale).

Non manca, inoltre, quella che – oggettivamente – appare un’aggravante: la particolare valutazione dei titoli.

Al voto di laurea, ad esempio, verrà attribuito un punteggio limite 0,10 (corrispondente a 110/110 e 110/lode) che, insieme ai punteggi relativi ad altri titoli, potrà essere al massimo pari a 1 punto.

La formazione post-laurea (master, diplomi di specializzazione e dottorati di ricerca) potrà, invece, produrre un punteggio massimo pari a ben 3 punti.

Le esperienze professionali già maturate in assistenza tecnica a progetti europei e nazionali produrranno, addirittura, un massimo di 6 punti.

In definitiva, credo si tratti di un’evidente discordanza tra la dichiarata volontà di offrire opportunità di lavoro ai giovani e la contemporanea definizione di norme e procedure che vanno in tutt’altro senso.

Certo, ignorare l’importanza dei “titoli” e delle “esperienze professionali pregresse” equivale ad ignorare quasi il significato della c.d. “meritocrazia”, ma è altrettanto vero che la stessa non è esente da errori e potenziali “manipolazioni”; almeno nel modo in cui è stata sino ad oggi intesa e rilevata.

Sarebbe, quindi, sufficiente stabilire una diversa “pesatura” dei diversi componenti per evitare di escludere – a priori – un considerevole numero di giovani.

Al riguardo, ritengo sarebbe molto interessante conoscere il pensiero dell’ex “rivoluzionario” della gloriosa Fiom, tanto entusiasta di quel “Patto” recentemente sottoscritto con Draghi e Brunetta.

Senza, peraltro dimenticare, che i lavoratori italiani hanno di fronte una controparte padronale che non ha mia nascosto la sua avversione nei confronti del c.d. “valore legale del titolo di studio” e, in realtà, il combinato disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’art. 10 del decreto 44/2021, potrebbe rappresentare “la chiave” per porre le premesse a un sistema in cui il valore assegnato a un qualsiasi altro “titolo” potrebbe rivelarsi superiore a quello espresso dal valore legale del titolo di studio.

Ciò rappresenterebbe, in definitiva, il primo passo concreto per un ulteriore ed irreversibile cedimento.

NOTE

  • 1Cui seguì il decreto legislativo 10 settembre 2003, nr. 276; che inaugurò il vero e proprio “supermarket” delle tipologie contrattuali.
  • 2Il SSN fu istituito con la legge 23 dicembre 1978, nr. 883.
  • 3Non sono pochi coloro i quali prospettano una vera e propri “americanizzazione” della sanità pubblica. Sfugge loro, evidentemente, che il sistema sanitario vigente negli Usa produce il tragico effetto di privare milioni di cittadini di adeguate e spesso indispensabili cure mediche se non forniti di adeguata e costosissima polizza assicurativa.
  • 4Altrettanto disdicevole considero l’ipotesi di incentivare accordi contrattuali che prevedano ampliamento di welfare aziendale attraverso forme di assistenza sanitaria integrativa.
  • 5Nonostante al capo III del decreto legge si parli di “semplificazione delle procedure in ragione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”, il senso letterale della norma pare non lasciare spazio ai dubbi. Quindi le modifiche dovrebbero essere intese quali definitive.
  • 6Questa volta appare chiaro che si tratta di una vera e propria pre-selezione.

di Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

26/4/2021

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