Attraverso il NO
Riunire i cocci è complicato, specie in un paese diviso per contraddizioni storiche, passivo e distante da ogni crisi d’identità, pronto a distinguersi solo all’ultimo minuto, quando la fine sfiora la certezza o la certezza sfiora la fine: il doppio senso da noi è a senso unico. Il dibattito sull’inglorioso passato accende gli animi e ancora troviamo un modo, un’occasione per dividerci.
Questo è un paese di santi, non un paese di eroi, molti Compagni, me compreso, dovrebbero ripeterselo ogni giorno, magari all’inizio e alla fine di ogni malaugurato giorno. Siamo gli unici a riconoscere il nobile valore della soluzione in extremis, abbiamo anche una locuzione con una figura retorica, quasi funge da copertina della nostra storia: Zona Cesarini, dapprima Caso Cesarini. Si tratta di un giocatore di calcio che, spesso e volentieri, riusciva a far gol negli ultimi minuti della partita. Nella nostra storia, i cambiamenti epocali vanno di pari passo con le tardive prese di coscienza, tardive reazioni, guerre mondiali incluse.
Siamo critici, contrari e, al tempo stesso, legati a origini e tradizioni, legati a una nazione che pare debba scomparire, anzi per qualcuno è già scomparsa.
Io, da perfetto uomo qualunque, allego qui le mie sensazioni, dopo aver partecipato a qualche manifestazione per il NO al referendum costituzionale, referendum in cui si decide se l’Italia debba rimanere nazione semi-libera o l’anfiteatro di una dittatura mondiale.
Le distanze tra noi che rappresentiamo “l’uomo qualunque”, il cittadino, la massa, sono davvero tante e, spesso e volentieri, inconcepibili. Vedo tante isole infelici, ognuno con il suo eroe da difendere, ognuno con i suoi “chiari” ideali da utilizzare per sconfessare le altrui credenze, le altrui convinzioni; in pratica un gioco al massacro, un gioco per darla vinta al padrone a prezzi ridicoli, la tipica guerra tra poveri presenti e poveri futuri.
Distinti e separati, fedelissimi della Carbonara di mammà, la migliore in assoluto, le altre ricette son tutte brutte copie, latrati, imitazioni dell’originale.
Riunire i cocci del dissenso è l’opera da compiere, forse un’opera più grande di noi, ma val la pena tentare per non dirsi un giorno “avrei potuto”. La zona Cesarini è già alle nostre spalle, il tempo di recupero dobbiamo conquistarlo. Il dissesto sociale, la disoccupazione, la miseria che allarga le maglie, il timore di un conflitto mondiale che incombe, la straripante corruzione, i mentecatti al comando, le fratellanze massoniche vincenti a colpi di maggioranza, l’ipocrisia cattolica di fondo, la mania di competere, rendono il nostro paese un luogo indecente, dove la funzione della malvagità rientra in canoni previsti dalla legge.
Non parteggiamo, siamo semplicemente tifosi che, quando la loro squadra perde, maledicono l’arbitro a priori. Siamo tifosi di un passato glorioso/inglorioso: Staliniani o trotskisti, giustizialisti o liberisti, mediatori o presunti rivoltosi, antifascisti o sinistroidi, belli o brutti, radical chic o proletari, un fritto misto senza anima.
Siamo, più o meno, soggetti sporchi di borghesia, perché diventiamo borghesi, dal momento in cui percorriamo strade che portano al conflitto tra poveri, alla famosa guerra tra poveri. Il Borghese è dentro ognuno di noi, dentro noi che cerchiamo appigli per rinunciare, cerchia-mo appigli per puntare il dito, pur di non correre insieme ad altri disperati. Il cammino da fare è lungo, forse qualcuno ancora sopravvive, qualcuno ancora può decidere di denigrare le altre presenze, qualcuno può ancora scegliere di vivere a parte e senza far leva sull’unità di intenti, qualcuno può ancora danzare sotto la pioggia; ma tanti, tantissimi NO.
Da adesso, da subito, da ieri, bisogna abbassar la guardia e imparare ad ascoltare. Chi sa ascoltare deve insegnare il suo segreto e non farsene un vanto, chi sa interpretare i segnali illumini il viale a chi non vede più, chi ha coraggio sostenga chi l’ha consumato per strada, chi coglie la poesia spolveri e faccia risplendere il sentimento comune, chi sa cantare sproni gli altri a seguire il coro dei più deboli, chi ama a prescindere sieda vicino a chi non crede più.
Siamo tutti dentro lo stesso stagno, uscire dalla nostra quotidiana e inessenziale isola deve tornare a essere un bisogno primario. Capisco i rigurgiti personali e impersonali, capisco le varie congetture, ma non concepisco la resa al sistema. L’infelicità è un lusso che non possiamo più permetterci, il NO è il primo passo da compiere. Per arrivare in cima, meglio iniziare dal primo gradino, già troppe volte ci siamo persi in volo. Chi vuole la primavera di Praga, pensi prima alla Rivoluzione d’Ottobre, altrimenti apprestiamoci a voltare le spalle a figli e figliastri.
Antonio Recanatini
Dall’inserto Cultura/e del periodico Lavoro e Salute di novembre 2016
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