Autonomia Differenziata, il 7 ottobre fermiamola

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L’Autonomia differenziata va fermata perchè attacca i contratti nazionali, liquida definitivamente la Sanità e la Scuola della Repubblica! Difendiamo il nostro futuro, quello delle giovani generazioni. Mobilitiamoci uniti contro questo rovinoso progetto!

di Monica Grilli

Cgil-flc – Comitato nazionale contro ogni Autonomia Differenziata

La battaglia contro l’Autonomia differenziata continua. Il Governo procede a piè sospinto verso la realizzazione di questo scellerato progetto di divisione del Paese con il DDl Calderoli e si moltiplicano le iniziative di mobilitazione per fermarlo.

A Torino, il 16 settembre, il Comitato No Ad Torino ha organizzato la terza manifestazione cittadina contro l’Autonomia Differenziata con la partecipazione di sindacati e associazioni e il 7 ottobre, a Roma, ci sarà la grande manifestazione nazionale della Cgil contro la politica del Governo Meloni alla quale si prevede possano partecipare fino a centomila persone e che ha tra i temi di rivendicazione proprio la battaglia contro l’AD.
Ma costruire iniziative di mobilitazione è un compito arduo perchè, ancora oggi, moltissimi sanno poco o nulla sull’Autonomia differenziata e sulle sue gravissime conseguenze. La propaganda politica strizza l’occhio ai cittadini del Nord veicolando l’idea che con l’Ad le condizioni dei cittadini settentrionali migliorerebbero, mettendo una parte contro l’altra, ma tutto ciò è pura propaganda perché le conseguenze dell’Autonomia differenziata determinerebbero delle ricadute peggiorative molto gravi su tutte e tutti, dal Nord al Sud del Paese.

L’Ad è un progetto di frantumazione del Paese, di divisione, che colpisce tutti perchè attacca i diritti e le conquiste che la classe operaia ha strappato con le lotte nei decenni passati.
Una delle difficoltà maggiori in questa battaglia è, e lo è stata fin dalle origini, la complessità del tema in oggetto. Questa complessità si riflette nel Paese poiché, nonostante negli ultimi mesi, grazie anche alle azioni di mobilitazione, presidi, seminari, assemblee nazionali e territoriali, questo tema abbia iniziato ad avere un certo spazio nell’opinione pubblica, resta il fatto che la maggior parte delle cittadine e dei cittadini, come la maggior parte di lavoratrici e lavoratori, siano all’oscuro di ciò che potrebbe accadere se il progetto andasse in porto.

E’ un tema che resta lontano da chi si confronta ogni giorno con le difficoltà di un salario o di una pensione che non bastano mai per far fronte a tutte le spese, da chi si confronta con un lavoro che non c’è o di chi un lavoro ce l’ha, ma che si trova in una condizione di lavoro povero, precario ed è sottoposto allo sfruttamento.
Invece, potrebbe essere molto semplice spiegare concretamente alla cittadina o al cittadino qualunque, così come alla lavoratrice e al lavoratore che le loro condizioni, già oggi difficilissime, non potrebbero che peggiorare con l’AD.
Tutto ciò appare quanto mai necessario, tanto più in un questo momento storico così difficile nel quale da una parte c’è una minoranza che vede aumentare i propri profitti a dismisura a discapito della restante parte che sprofonda sempre di più verso la povertà. L’aumento dei divario tra ricchi e poveri, tra capitalisti e classe, l’aumento delle diseguaglianze non potrà che ampliarsi con l’Autonomia differenziata.
L’Autonomia differenziata permetterà di aumentare le privatizzazioni, attraverso la frammentazione e l’assoggettamento al potere politico locale.

I dati Istat restituiscono una fotografia impietosa della realtà: nel 2021, 5,6 milioni di individui e 1,9 milioni di famiglie sono risultati in una condizione di povertà assoluta, mentre 3 milioni di lavoratrici e di lavoratori sono poveri, pur lavorando; contemporaneamente le aziende italiane hanno realizzato i profitti più alti degli ultimi tredici anni, così come le banche, chiudendo i bilanci del 2022 con percentuali record di ricavi per gli azionisti.

In questa situazione, dove la crisi morde da una parte sola, pensiamo che sia necessario e doveroso poter raccontare fino in fondo alla popolazione a quali pericoli concreti si troverebbe confrontata con la regionalizzazione dei diritti.
L’intento di questo scritto va proprio in quella direzione. Vogliamo provare a declinare ciò che succerebbe, con degli esempi concreti, su 3 delle 23 materie che con l’Autonomia differenziata potrebbero diventare di competenza legislativa esclusiva delle Regioni.

Lavoro, tutela e sicurezza sul lavoro

L’AD rimette in causa i contratti collettivi nazionali che rappresentano lo strumento di difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Nonostante gli attacchi subiti, pensiamo al Jobs Act, nonostante i contratti pirata …, i contatti nazionali restano in piedi e oggi garantiscono le medesime condizioni per ogni lavoratore, su tutto il territorio nazionale. Il contratto collettivo nazionale garantisce condizioni uguali a parità di inquadramento. Grazie ai contratti collettivi nazionali, nel rapporto di lavoro, i due attori, il datore di lavoro e il lavoratore, hanno rapporti di forza bilanciati. Il datore di lavoro è il soggetto “forte” e se non ci fosse la tutela del CCNL avrebbe il pieno potere decisionale sull’inquadramento, sulla retribuzione, sulle ferie … Per il lavoratore, se non ci fosse il CCNL, sarebbe molto difficile far valere i propri diritti a fronte di un datore di lavoro che ha un potere discrezionale e che può agire il ricatto del licenziamento.
Ma nel momento in cui i contratti collettivi nazionali perdessero di importanza, a fronte di quelli regionali, si determinerebbe una frammentazione che non farebbe che aumentare il potere del datore di lavoro a discapito del lavoratore, determinando, in questo modo, un ulteriore possibilità di sfruttamento di lavoratrici e lavoratori.

I lavoratori sarebbero, ancor più di ciò che accade oggi, ricattabili. Potrebbe determinarsi una concorrenza tra Regioni e all’interno degli stessi territori. Pensiamo alla questione salariale. Le aziende potrebbero decidere di delocalizzare in una regione dove il costo del lavoro è minore, mettendo lavoratori di diversi territori, gli uni contro gli altri.
Pensiamo alla tutela e alla sicurezza e facciamolo alla luce dell’ecatombe dei morti sul lavoro: dall’inizio del 2023 sono già 559 i lavoratori che hanno perso la vita lavorando e il Piemonte è la regione nella quale il numero dei decessi è il più alto. L’ultimo tragico evento è la morte di cinque lavoratori a Brandizzo, falciati da un treno in corsa mentre svolgevano il loro lavoro di manutentori.
L’Autonomia differenziata peggiorerà ulteriormente le condizioni di tutela e di sicurezza sui luoghi di lavoro perchè permetterà alle Regioni di legiferare in modo autonomo e il livello di rispetto delle normative sulla sicurezza potrebbe essere diverso da un territorio all’altro, determinando una situazione di ulteriore pericolosità per il lavoratore. La salute e la sicurezza sul lavoro non possono essere a geometria variabile.

Da ultimo, ma non in ordine di importanza, l’Ad indebolirà le lotte dei lavoratori che saranno ancor più frammentate e non potranno, con questo progetto, avere carattere nazionale a partire dal fatto che le condizioni potrebbero essere diverse. E così quella frammentazione regionale, quella frammentazione tra i territori, farà si che l’unione tra lavoratori possa essere messa sotto attacco.
Il principio del dividi et impera è il cuore del progetto dell’Autonomia differenziata. Ecco la conseguenza più tremenda che il progetto di Autonomia differenziata: dividere i lavoratori tra territori, abbattere la loro unità come classe.

Sanità

Abbiamo già visto il disastro provocato dalla regionalizzazione della Sanità. Sono passati più di vent’anni, durante i quali il sistema ha subito tagli mai visti. Nel decennio 2010-2019 tra tagli e definanziamenti al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi (Report Gimbe 2019). Il conto di questi tagli è arrivato con la pandemia, quando in regioni come la Lombardia, che avevano nel frattempo privatizzato tutto ciò che era possibile, il sistema sanitario non ha retto e l’impietosa conta dei morti è racchiusa nelle immagini delle bare che sfilano sui camion dell’esercito per le vie di Bergamo. L’Ad permetterà la liquidazione definitiva del Sistema Sanitario Nazionale, perchè se è pur vero che molto è stato distrutto in Sanità in questi ultimi anni, il sistema esiste ancora e va difeso.
Esistono ancora gli ospedali, i Pronto Soccorso, seppur con tutte le difficoltà che i tagli hanno prodotto, ma sono ancora in piedi. Oggi un malato, un ferito, possono accedere alle cure del Pronto Soccorso. Gli ospedali praticano ancora interventi chirurgici altamente specializzati grazie ai quali vengono salate vite umane.

L’Autonomia differenziata, invece, propone una strada pericolosamente indirizzata verso ulteriori tagli e privatizzazioni. Propone un modello di sanità all’americana basata sulla stipula dei prodotti assicurativi per avere accesso alle cure. Il salto è paradigmatico: dalla salute come diritto universale, sancito dalla Costituzione, ad una merce che si compra come qualunque prodotto del mercato e che aumenterà a dismisura i profitti delle banche e delle assicurazioni. Il salto successivo sarà che chi potrà permetterselo potrà curarsi, mentre chi non avrà i mezzi sarà abbandonato a se stesso, come se la povertà fosse una colpa e non il frutto di uno sfruttamento sistematico degli strati più deboli della società ad opera del Capitale.
L’Ad, inoltre, determinerebbe la regionalizzazione del sistema di formazione del personale sanitario. In questo modo la formazione dei medici, del personale infermieristico, del personale ausiliario potrebbe essere diversificata a seconda del territorio e sarà fortemente condizionata dal potere politico locale.
Un decentramento davvero pericoloso perchè i centri di pressione, i gruppi di potere, avrebbero mano sicuramente più libera per fare i loro interessi.

Scuola

L’Ad prevede l’istituzione di 21 sistemi di istruzione, portando un attacco alla Scuola della Repubblica che tiene insieme l’identità culturale di un intero Paese.
Certo, anche il sistema scolastico è in sofferenza, grazie alle controriforme degli ultimi 30 anni, ma ciò di cui ha bisogno non sono di certo la frammentazione e la differenziazione.
La Scuola ha la necessità di restare un sistema coeso per garantire l’esigibilità dell’art 3 della Costituzione a tutte le cittadine e a tutti i cittadini.

Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La Scuola ha altre necessità. Ha necessità di risorse per il personale, per i salari, per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture.
Anche per ciò che concerne la Scuola abbiamo già degli esempi concreti di ciò che accadrebbe al sistema scolastico con l’Autonomia differenziata.
Nelle Province autonome di Trento e Bolzano, il sistema è stato provincializzato nel 1996 da un governo locale di centro-sinistra e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Una delle prime misure prese è stato l’aumento degli stipendi dei dirigenti scolastici di circa 1000 euro mensili, i quali, si sono trovati, poiché gli stessi vengono nominati direttamente dalle giunte provinciali e regionali, che sono le stesse che li valutano, sotto il controllo del politico di turno.
Per quanto riguarda il personale ATA, è stato esternalizzato all’indomani della provincializzazione del sistema.
I docenti, invece, hanno visto i loro stipendi aumentare, ma in modo fittizio perchè sono aumentate anche le ore e i carichi di lavoro. Per dare un’idea in termini di cifre, gli stipendi dei docenti sono aumentati di circa 300 euro lordi, di cui una parte non fa parte

del computo ai fini pensionistici, a fronte di un aumento di più di 100 ore di lavoro mensili. Guardando ai fatti, si tratta di una prestazione di lavoro aggiuntiva con una paga da fame!
L’aggiornamento è gestito dall’ente provinciale che indica le materie sulle quali il personale farà la formazione, mettendolo, così, nelle mani del potere politico locale.
Allo stesso modo i programmi di studio vengono definiti direttamente dalle Province e così può accadere che, ad esempio, la Storia insegnata sia solo quella locale, determinando una liquidazione della cultura universale a favore dei localismi territoriali.
Tutto ciò, evidentemente attacca e rimette in causa la libertà di insegnamento, il cuore pulsante del diritto all’istruzione.

Un secondo esempio che può aiutare a mettere in luce i disastri che l’AD porterebbe con sé può essere fatto prendendo in considerazione la formazione professionale che è di competenza regionale e che con la revisione del Titolo V della Costituzione è diventata materia di potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Il sistema è frammentato in 20 sistemi formativi, con diversificazioni nette tra un territorio e l’altro inaccettabili. Le condizioni del personale che vi lavora sono caratterizzate da basse retribuzioni e un alto indice di precarietà lavorativa. Infine occorre ricordare che i lavoratori e le lavoratrici del sistema di FP sono senza contratto da più di dieci anni, in quanto l’ultimo è stato firmato nel 2013.

Questi esempi delineano uno scenario pericoloso di deriva localistica del sistema scolastico che si verrebbe a prefigurare se il progetto dell’Autonomia differenziata diventasse realtà.
Preservare la scuola, difenderla dall’Ad, significa difendere, da una parte, i diritti di chi lavora nella scuola e dall’altra significa difendere il futuro delle giovani generazioni dall’abisso di ulteriore precarietà e di un’ignoranza che non potrà che essere funzionale ad un sistema di sfruttamento tremenda.

Questi sono soltanto alcuni esempi dei disastri che l’Autonomia differenziata porterebbe con sé, ma sono esempi emblematici dell’attacco che è in corso ai diritti fondamentali e universali che sono propri di una democrazia compiuta e sana: il diritto al lavoro, alla salute e all’istruzione.
L’Autonomia differenziata rimette in causa proprio il carattere universalistico di questi diritti ed è per questo che va fermata.
Occorre continuare con le mobilitazioni, a partire dalla manifestazione cittadina del 16 settembre a Torino e da quella nazionale della Cgil a Roma, il 7 ottobre e continuare ad informare la popolazione sui pericoli che questo progetto porta con sé.

Monica Grilli

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