Autonomia differenziata. Il silenzio interessato sulla secessione
Del percorso in atto tra Governo e Regioni sulla “Autonomia Differenziata” si parla molto poco nella comunicazione stampata e televisiva. il compito d’informare se lo sono assunti i cittadini dei Comitati presenti in tante Regioni come proiezione territoriale del “Comitato nazionale contro ogni autonomia differenziata” e della sinistra radicale come Rifondazione Comunista.
Il perchè gli ambiti istituzioniali, i grossi giornali e le televisioni non ne parlano accuratamente sta tutto dentro i meccanismi di non rapporto con i cittadini, determinati da questo sistema politico basato sull’assunto del cittadino suddito che deve parlare solo quando è chiamato a votare, ma sempre su predeterminate opzioni che la legge elettorale maggioritaria impone.
Quindi, che l’Autonomia Differenziata sia un pericolo per tutti i cittadini italiani non si deve sapere. La prova sta nel chiedere a una qualsiasi persona (di quelli non impegnati sulla questione) “Sai di che cosa si tratta e che cosa accadrebbe concretamente se si portasse a compimento questo obbiettivo del Governo e delle Regioni Lombardia, Emilia e Romagna e Veneto?”
Questa domanda l’abbiamo fatta, prendendo spunto dal caos nelle Regioni del nord durante la quarantena, nell’arco di oltre tre mesi a 105 persone, tra amici, colleghi e parenti (tutte/i dichiaratamente non leghisti/destra).
Le risposte, tutte con la premessa che hanno seguito poco o niente, si dividono tra chi è favorevole perchè “il nord non può pagare per tutti e va rispettata la differenza produttiva”, chi è contrario perchè “Il sud va comunque aiutato”, chi non è né contrario e né a favore ma proverebbe “per qualche anno e vedere i pro e i contro”, chi preferirebbe dare tutto in capo alle Regioni “meno che la sanità”, chi farebbe “un referendum da ripetere ogni 5 anni”, chi, “è già cosa fatta perché sono tutti d’accordo” e oltre un terzo nettamente contrario “perchè la pandemia ha dimostrato che fare da soli è peggio.
Certamente un piccolo sondaggio statisticamente non valido ma significativo per l’eterogeneità dei pareri espressi dopo la premessa che abbiamo fatto, dichiarando, in estrema sintesi, queste nostre convinzioni sulla questione:
LAVORO Non ci sarebbero più i contratti collettivi nazionali a tutelare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori che verrebbero trascinati in una guerra tra poveri.
SANITA’ Le regioni avrebbero la definitiva possibilità di sostituire la sanità pubblica con quella privata attraverso fondi integrativi e polizze assicurative.
SCUOLA Ogni regione “governerebbe le sue scuole con programmi, titoli di studio e personale regionalizzati.
AMBIENTE La fine della normativa unica porterebbe a conseguenze drammatiche sul territori, sull’ambiente, sull’inquinamento e sulle bonifiche.
Dalle risposte risulta che quando i cittadini sono coinvolti capiscono che avremmo 20 sistemi diversi, però senza vederne gli sbocchi. Ad esempio sulle politiche sanitarie “Nelle regioni del mezzogiorno, già sotto finanziate e penalizzate dal Titolo V, si prospetta il tracollo della sanità pubblica: ridotti o annullati i trasferimenti da parte dello Stato. Il personale più qualificato sarà attratto dalle Regioni più attrezzate, verso cui aumenterà ulteriormente anche la mobilità sanitaria: il Nord, che già ora drena oltre 4.3 miliardi provenienti per la maggior parte da Sud e isole, si arricchirà alle spese di un Sud abbandonato a se stesso.” (Loretta Mussi, medico).
Le conseguenze sarebbero devastanti non solo per il sud, ma anche per il nord a causa dell’abbassamento dei livelli dei servizi, sempre più privatizzati grazie alla cosiddetta “sussidiarietà” che ha imperato da decenni sostituendo il servizio sanitario pubblico, in particolare in Lombardia “Il tanto decantato modello lombardo, senza il quale non saremmo mai divenuti gli appestati del mondo, ha concentrato l’assistenza al Covid-19 in ospedali e RSA, divenuti focolaio del contagio: proprio come nei paesi che non hanno un’assistenza territoriale, dagli Usa al Regno Unito al Brasile di Bolsonaro, che ci hanno da tempo sorpassato nella triste classifica dei contagiati e dei morti.” (Mauro Barberis, giurista).
E’ tragicamente facile dedurre che, in particolare, nel sud, già semi abbandonato alla mala politica, con l’autonomia differenziata si chiuderebbe per sempre la speranza di rinascita e sancirebbe la differenza socio-strutturale e somatica (secondo le teorie di Lombroso, elaborate agli inizi del 1900) fra i cittadini del Nord e quelli del Sud.
Il numero dei poveri al Sud è cinque volte superiori a quello del nord dove invece più marcate sono le differenze sociali, il costo della vita poi andrebbe rivisto anche in relazione alla qualità dei servizi, ad esempio negli ospedali del Nord ne arrivano migliaia dal Sud per ricevere cure e servizi negati nelle loro Regioni.
Si affermerà definitivamente una cittadinanza basata sulla residenza: sarà del tutto normale che una persona del sud valga meno, e che ovunque un ricco valga più di un povero; le diseguaglianze, invece che essere superate, come civiltà impone, saranno protette dalla legge secessionista.
Se tali progetti di autonomia dovessero andare in porto la legislazione certificherebbe, per la prima volta in Italia, che i diritti di cittadinanza possono essere diversi fra cittadini italiani, ovvero maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto e inferiori in contesti più poveri.
Una misura utile solo ai padroni che non aiuterebbe gli stessi lavoratori del nord (compresi quelli dell’Emilia e Romagna, perché secondo i secessionisti il centro Italia non avrebbe più senso geograficamente e socialmente) ancora più divisi dagli altri lavoratori dalle nuove “gabbie” (salariali e non solo) che si andranno costruendo.
Quindi, dare l’avvio a questo percorso porterà a svuotare la legislazione fondata sulla pari dignità delle persone in qualsiasi Regione e territorio esse vivano. Ciò lederà non solo i residenti del Sud, ma anche quelli del Nord: tutti sarebbero colpiti attraverso l’abbassamento dei livelli dei servizi, sempre più privatizzati, dalla frammentazione del diritto del lavoro con la rimessa in causa dei contratti nazionali, all’accesso ai servizi di utilità sociale come asili, trasporti, sanità.
Redazione Lavoro e Salute
Pubblicato sul numero di luglio del mensile www.lavoroesalute.org
ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!