Autonomia Differenziata. L’eversione dei satrapi

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Il nuovo ministro degli “Affari regionali” Calderoli è un fanatico della secessione e nemico dell’Unità d’Italia repubblicana con una Costituzione nata dalla Resistenza antifascista. Questo governo di estrema destra finirià il lavoro iniziato dai governi precedenti. Come è loro costume mistificherranno le loro intenzioni secessioniste e di definitivo abbandono del sud e dell’aumento delle disuguagliaze sociali che ricadranno anche sulle fasce povere delle regioni del nord.

L’allarme viene lanciato da anni dai Comitati contro qualunque autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti

Ai cittadini e alle cittadine va detto chiaramente che l’AD è uno strumento di divisione, di diseguaglianza, ma anche di attacco ai diritti sociali e democratici all’interno delle Regioni, comprese quelle più ricche. Va detto chiaramente che l’AD porta all’esplosione della scuola della Repubblica, alla privatizzazione selvaggia, alla dislocazione dei contratti nazionali, ad una politica ambientale e di infrastrutture con conseguenze potenzialmente tragiche. Va detto chiaramente che, come dimostrano le vicende internazionali, questi processi possono innescare derive gravissime.

L’autonomia differenziata, conseguente alla modifica del Titolo V approvata dal Centro-Sinistra nel 2001, è l’esito di un processo iniziato, lontano nel tempo, con i trattati di Maastricht e di Lisbona, all’inizio degli anni ‘90 allorché l’Europa imboccò la strada del liberismo spinto: da quel momento i valori del socialismo e della solidarietà, presenti nella nostra e in altre Costituzioni, furono lasciati cadere, nella convinzione illusoria, da parte delle socialdemocrazie, di poter governare il capitalismo.
In base a tale scelta l’integrazione europea si sarebbe fatta tra regioni forti, in grado di reggere i livelli di competitività presenti a livello internazionale. Anche ora, l’obiettivo per niente recondito di buona parte delle classi dirigenti delle regioni settentrionali, è di dar vita ad una macroregione in grado di agganciarsi ai centri europei trainanti sul piano economico, a partire da quelli tedeschi. Ma in tal modo esse sottovalutano l’effettiva interdipendenza tra il Sud e il Nord del nostro Paese e sopravalutano la propria forza e solidità, come si è visto con la pandemia.

Con la deforma del Titolo V veniva ridotta la potestà legislativa dello Stato a favore di quella concorrente delle regioni, che tenderanno ad interpretarla come esclusiva. Nel nuovo testo spariscono il concetto di interesse nazionale e il richiamo a Mezzogiorno e Isole che erano presenti nel testo originario del 1948.
L’art. 116, 3 c. introduce la possibilità di poter accedere a forme particolari e ulteriori di autonomia. Se ne faranno ben presto interpreti Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, che svolgeranno in segreto trattative con il governo di centro-sinistra presieduto da Paolo Gentiloni, che firmerà le pre-intese, sebbene in carica solo per gli affari correnti, quattro giorni prima delle elezioni del 4 marzo 2018.

Quindi, accordi fondamentali per il paese, che vanno ad intaccare la stessa Costituzione, sono stati volutamente occultati e resi indisponibili al dibattito e alla conoscenza per un anno e mezzo, quasi un “golpe”.
Le pre-intese chiedono di far passare alle Regioni quasi tutte le materie previste dall’art. 117, 3 c. precisamente 23 per Veneto e Lombardia, 15, ma consistenti, per Emilia Romagna: si tratta di materie strategiche ed importanti che coinvolgono profondamente la vita dei cittadini: scuola, università, ricerca, sanità, sicurezza sul lavoro, previdenza integrativa, ambiente, lavoro e contratti, professioni, infrastrutture, trasporti, energia, beni culturali etc.
Poi si sono aggiunte altre regioni per cui, se le richieste fossero approvate, si avrebbero 20 sistemi regionali completamente diversi, alcuni ricchi, altri poveri, ed uno Stato svuotato delle funzioni di indirizzo e governo: di fatto una frantumazione irreversibile delle strutture materiali ed immateriali alla base della collettività e dell’identità nazionale.

Le regioni, si finanzieranno trattenendo la maggior parte dei tributi erariali maturati nel proprio territorio, privando così lo Stato del fondo di solidarietà e perequazione, tratto dalle regioni più capienti, per compensare i territori meno ricchi e poveri, soprattutto al Sud. La spesa cioè non potrà cambiare stante l’obbligo dell’invarianza di spesa ai sensi dell’art. 81 della Costituzione.

Di fatto l’Autonomia Differenziata porta allo smantellamento dello Stato sociale e dei principi di uguaglianza e solidarietà, politica, economica e sociale previsti dall’art.2 della Costituzione, peraltro mai applicato. E si viola anche l’art. 5 della Costituzione per il quale i diritti devono essere universali su tutto il territorio nazionale, senza alcuna differenza di residenza, giacché la Repubblica è “una e indivisibile”.
Si sostituisce al centralismo dello stato il centralismo delle regioni, si frantuma il paese, si annullano e mortificano le autonomie dei Comuni e degli Enti di area vasta, inficiandone la possibilità e capacità di definire le politiche più adeguate alla specificità dei loro territori. Questo processo, che rivela il miope egoismo di alcune fasce sociali e territoriali del Paese, è reso possibile dalla subalternità di una classe politica che non dimostra ormai più alcun rispetto della Costituzione ed osservanza delle regole parlamentari, dal diffuso individualismo e dalla mancanza di solidarietà nel corpo sociale.

In questo quadro Sud e Isole rischiano una deriva irreversibile, perché partono da una situazione di svantaggio per il minor gettito fiscale e perché, soprattutto negli ultimi venti anni, a questi territori sono stati scientemente sottratti finanziamenti, si parla di 62 miliardi almeno, attraverso un iniquo calcolo della spesa storica pro-capite, calcolata sull’età media, che al Sud è più bassa, e sui servizi esistenti o zero esistenti anziché su quelli necessari.

In verità, l’art. 117 del Titolo V, prevedeva la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, i cosiddetti LEP, come ribadito dalla legge 42/2009 attuativa del federalismo fiscale. Ma tale determinazione non è mai avvenuta, dal 2001 ad oggi, per ragioni politiche e di convenienza: se fossero stati stabiliti, infatti, vi sarebbe stato un riequilibrio della spesa a favore del mezzogiorno e a scapito del Nord.

Continuando a calcolare il fabbisogno secondo la spesa storica, si ha l’esito paradossale che i comuni che non spendono, per scarsità di risorse o perché del tutto privi di alcuni servizi, in base alla spesa storica registrano fabbisogni standard inferiori, o addirittura nulli, rispetto ai territori del centro-nord e delle grandi città, dove l’offerta di servizi è ampia e diffusa sul territorio, hanno livelli di spesa più alti e quindi maggiori fabbisogni standard.
Di fatto, i finanziamenti continuano ad essere distribuiti in base alla regola “tanto hai speso, tanto ti sarà dato”, generando il paradosso che chi meno ha, meno riceve, mentre chi più ha, più riceve. Ciò ha penalizzato soprattutto il sud e quindi, soprattutto negli ultimi 10 anni, quando la crisi era più forte, si è verificato un enorme travaso dal Sud al Nord di risorse finanziarie, ma anche di risorse umane qualificate.

Un esempio lampante è dato dalla sanità, il cui definanziamento, ancora maggiore al Sud, ha prodotto un progressivo aumento della mobilità sanitaria, che ha comportato per un milione di ricoveri il drenaggio verso il Nord di quasi 5 miliardi: utili a ripianare i bilanci e i debiti delle aziende ospedaliere del Nord. Altri dati che confermano il grande furto al Sud sono a piè pagina.

In sintesi, già ora i Comuni poveri ricevono solo il 43% del fabbisogno reale, perché i ricchi non partecipano alla perequazione e quindi lo stato riesce a coprire solo il 22.5% del fabbisogno.
Ciò significa che funzioni fondamentali e diritti costituzionali, come istruzione, servizi sociali, trasporto pubblico locale, asili nido, polizia locale, rifiuti, nel 50% dei 6700 comuni delle 15 regioni a statuto ordinario, non sono stati svolti o lo sono stati solo molto parzialmente.
Questa, in estrema sintesi, la situazione di spesa per il Sud: se passerà l’Autonomia Differenziata Sud e isole non saranno in grado di reggere.

Sulle materie trasferite: il non aver posto alcun limite al trasferimento delle materie nella bozza costituisce un elemento di forte criticità. Sono ormai numerose le sentenze della Corte Costituzionale che hanno prodotto la ri-centralizzazione di molte materie, es. le cc.dd. “materie trasversali” che investono una pluralità di materie anche di competenza regionale, come la tutela dell’ambiente, il governo del territorio, la tutela della salute (Corte cost. sent. 407/2002). Il non aver introdotto un limite nell’attribuzione alle Regioni richiedenti delle materie previste dall’art. 117, 3 c. rappresenta una modifica implicita dell’art. 117, c. 3 come se si abrogasse la categoria della legislazione concorrente con la legge di intesa, rischiando un giudizio di incostituzionalità.

Con un Parlamento succube dei governi fotocopia basta un “parere motivato” del Consiglio dei Ministri per approvare l’intesa a suo tempo sottoscritta da Gentiloni un attimo prima di alzarsi dalla poltrona dell’ennesimo governo a guida PD, sorgenti di acqua sporca incanalata fino al governo Meloni.

Redazione Lavoro e Salute

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