Autonomia Differenziata. Loro vanno avanti, e anche noi

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Aprile. È l’ultimo drammatico scorcio d’aprile. In questi giorni, sia il 25 aprile sia tutte le volte che abbiamo deposto corone di fiori primaverili sui cippi in memoria delle giovani vite partigiane stroncate, abbiamo rinnovato i nostri voti che ci impegnano a difendere ed attuare la Costituzione del 1948 nata dalla Lotta partigiana, fondata sul lavoro, basata sulla pace ed antifascista. In questo scorcio d’aprile 2024 si sta consumando uno scempio: il ddl 1665 Calderoli sull’autonomia differenziata è entrato in Aula alla Camera il 29 aprile, promettendo un futuro di distruzione dei diritti e della stessa democrazia. E lo fa mostrando nella crudezza dei fatti e nella indicibilità delle azioni ciò di cui la maggioranza che oggi ci governa è capace: far ripetere, con un atto di prevaricazione che ci ricorda altri tempi, una votazione in Commissione nel momento in cui il Governo era andato sotto, con l’imbroglio del non dichiarare chiusa la votazione.

Il 24 aprile viene approvato 10 contro 7 l’emendamento 1.19 al ddl 1665 a firma Carmela Auriemma (M5s). Nazario Pagano (FI), Presidente della Commissione, ritiene però di non accogliere l’esito della votazione e di riproporla per il 26 aprile. Dice Marina Boscaino, Portavoce del Tavolo e dei Comitati No autonomia differenziata: “Non è una buccia di banana su cui è scivolata la maggioranza. Il Presidente non vuole accettare il risultato, anzi vuole ribaltarlo, costringendo ad un nuovo voto, addirittura con un cambio dei membri della Commissione, in sfregio al Regolamento ed alla democrazia stessa.” Un gioco sporco, la maggioranza non vuole che il Testo torni al Senato, dove era stato già approvato a gennaio. L’ordine di scuderia è quello di procedere con una tabella di marcia strettissima per arrivare in breve al voto.

La posta in gioco. Chiariamolo ancora una volta: sono in gioco le nostre vite, attraverso un’operazione di bandiera che questa bandiera conficcherà dritta e profonda nei nostri corpi. L’autonomia differenziata si accanirà contro le persone più deboli, in qualsiasi parte del Paese si trovino a risiedere. Colpirà lavoratori e lavoratrici peggiorando le condizioni di lavoro attraverso la regionalizzazione di Tutele e sicurezza che aprirà ad una competizione al ribasso che ucciderà di più. Delocalizzazioni, contratti di lavoro regionalizzati, lotte sindacali indebolite dalla frammentazione. Nella Sanità via libera a privatizzazioni sempre più estese: potrà curarsi solo chi avrà i soldi per farlo, profitto al posto di Servizio. La scuola abdicherà al compito di rimuovere le disuguaglianze (art. 3 della Carta) e di tenerci uniti e unite: studenti e studentesse perderanno ancor più la loro dovuta centralità. E così per tutte le 23 materie cruciali coinvolte, energia, ambiente…La lotta. È per questo che il 29 aprile, giorno dell’ingresso del ddl Calderoli in Aula alla Camera, si sono tenuti in tutta Italia (trenta città) Presìdi davanti alle Prefetture, per esprimere il più energico dissenso verso questo provvedimento, di cui si è chiesto l’immediato ritiro. Ad aver organizzato i Presidi sono i Comitati (attivi in questa lotta dal 2018) ed il Tavolo NO autonomia differenziata, che operano senza sosta con iniziative quotidiane in tutto il Paese, creando mobilitazioni, attività di formazione, informazione, costruzione di una rete sempre più ampia che ha costretto i media, fino a un anno fa in larga misura ancora quasi silenti, ad occuparsi di autonomia differenziata, portando alla luce la gravità inaudita di quanto sta per accaderci.Sindaci e Sindache. Altri e altre devono entrare più intensamente in questo campo di battaglia. Sono i Consiglieri e le Consigliere Regionali e Comunali, sono i Sindaci e le Sindache soprattutto delle regioni del Nord (al Sud già sono ampiamente mobilitati/e). Possono farlo con dichiarazioni, votazione di ordini del giorno, o convocando la cittadinanza per informare e spiegare, rendendo le persone consapevoli delle conseguenze del provvedimento: tutelare la popolazione è un loro compito preciso. I Comuni saranno colpiti in modo diretto dai nuovi poteri assoluti regionali, come si vengono configurando: da poveri, i Comuni diverranno mendicanti. E i diritti sociali precipiteranno assieme a loro. Cosa si frappone alla mobilitazione dei Comuni?

La non conoscenza dell’autonomia differenziata da parte di chi amministra, la difesa di equilibri che immobilizzano? Nella piccola schiera dei Sindaci/e del Nord capaci di prendere una posizione esplicita sull’autonomia differenziata vi è Matteo Lepore (PD), Sindaco di una città dalla forte tradizione democratica quale è Bologna, che non solo definisce il progetto di differenziazione come “ la nostra Brexit” ma, già il 27 marzo 2023, vota assieme al proprio Consiglio Comunale un ordine del giorno in cui si richiede sia al Governo di sospendere ogni decisione in merito all’autonomia differenziata, riaffermando la natura una e indivisibile della Repubblica (articolo 5 della Costituzione), e sia alla Regione di non avanzare richieste di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (la Regione Emilia Romagna è una delle tre che hanno già firmato le pre-intese in cui si richiedono nuove attribuzioni.

Ricordiamo anche che il Comitato NO AD Emilia Romagna ha avanzato una LIP che chiede alla Regione di recedere dalle intese). Immaginiamo che cosa sarebbe potuto accadere se una grossa fetta di Sindaci Sindache d’Italia avesse votato col proprio Consiglio un ordine del giorno simile, come i Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata stanno chiedendo da tempo! Il Governo non avrebbe potuto procedere con cotanta sicurezza e sicumera. .

L’informazione. Vanno rese di dominio pubblico – visto che la sovranità appartiene al popolo (articolo 1 della nostra Carta) – le obiezioni, le criticità e le contrarietà che soggetti di rilievo come l’Ufficio

Parlamentare di Bilancio, la Conferenza Episcopale Italiana, Confindustria, Bankitalia, Enti di ricerca come SVIMEZ e GIMBE, la stessa Commissione Europea hanno espresso. E allo stesso modo andrebbero diffusi i contenuti delle audizioni, in larga misura contrarie al provvedimento ora in discussione in Aula..

Franco Russo, nella sua audizione del 28 marzo a nome dell’Osservatorio UE ricorda che, nella Relazione per l’Italia del 2023 contenuta nel Documento di lavoro dei servizi della Commissione Europea, viene esplicitamente detto che “La legge impone che tale riforma sia neutra dal punto di vista del bilancio delle amministrazioni pubbliche. Senza risorse aggiuntive potrebbe tuttavia risultare difficile garantire i medesimi livelli essenziali dei servizi nelle regioni con una spesa storica bassa […]. La riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di compromettere la capacità delle amministrazioni pubbliche di gestire la spesa pubblica”.

Ci ricorda sempre Russo nella sua audizione che l’art. 53 della Carta è molto chiaro sul sistema fiscale (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”): il rapporto fiscale è quindi tra il singolo cittadino/a e lo Stato, non si parla di territori. I singoli cittadini stabiliscono un rapporto con lo Stato a cui versano le imposte, ricevendone dei servizi che devono essere uguali per tutti. Russo chiede che l’iter venga interrotto e che si proceda prima alla revisione del Titolo V: mette così il dito nella piaga, nella matrice in cui tutta questa procedura si inscrive, la Riforma del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001.

Il Titolo V. E’ necessaria una drastica revisione del Titolo V: “Un manifesto di insipienza politica”, così definì la riforma del titolo V il prof. Gianni Ferrara. Ce lo ricorda Marina Boscaino nell’incipit della sua audizione alla Camera in questo mese di aprile, continuando con le citazioni: “Il prof. Gian Maria Flick ha parlato – in merito all’autonomia differenziata – di “riforma frettolosa e disorganica, destinata ad aumentare le disuguaglianze nel Paese”; il prof. Ugo De Siervo l’ha definita “una riforma para-costituzionale, una riforma parziale e impugnabile davanti alla Corte, in cui a perdere sono soltanto gli italiani”. […] Un governo, dei governi che avessero davvero a cuore il Paese, avrebbero pensato non all’ad ma a una rivisitazione dell’intero Titolo V”. Durante la precedente Legislatura una serie di Parlamentari di Manifesta aveva lavorato, inascoltata, sulla cancellazione del comma 3 dell’art.116. E’ stata inoltre presentata una Legge di iniziativa popolare per riformare il Titolo, forte di 106.000 firme e dell’autorevolezza del prof. Massimo Villone, ma rigettata sdegnosamente nell’arco di pochi minuti dalla maggioranza del Senato il 24 gennaio di quest’anno.

La memoria della Banca d’Italia. La Banca d’Italia viene audita il 27 marzo 2024. Gravi i rilievi. La lista delle materie ne comprende alcune per le quali non sono evidenti i vantaggi di una gestione decentrata: perché dunque chiederle? Per alcune è evidente la necessità di un coordinamento nazionale e sovranazionale (ambiente ed energia, ad esempio): perché regionalizzarle? “Una cornice normativa disomogenea potrebbe rendere difficoltosa l’attività di imprese operanti su scale sovraregionale […] e incidere sulla distribuzione geografica delle attività produttive e sulla mobilità dei lavoratori”. Non è un Sindacato ad esprimersi, è la Banca d’Italia, in questo coerente con quanto la stessa Confindustria rileva. Perché non si è fatta “un’istruttoria accurata dei vantaggi della differenziazione di ciascuna funzione”? E ancora: per preservare l’equilibrio di bilancio, “il governo potrebbe ricorrere a tagli alle prestazioni o a inasprimenti nel prelievo sui tributi erariali”. E infine, dopo questa mitragliata di obiezioni condivise da tempo da tutti i soggetti che si oppongono al progetto Calderoli, l’affondo sui LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni): la definizione non implica che le prestazioni individuate come essenziali siano adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate. “Data la clausola di invarianza della spesa, la convergenza a un livello uniforme di servizi può avvenire solo attraverso una rimodulazione della spesa statale a favore delle Regioni in cui l’offerta di prestazioni è inferiore ai LEP. Se, in alternativa, si assumesse la spesa storica […] si determinerebbe la cristallizzazione degli attuali divari”.

I Vescovi. Voci “catastrofiste” (Calderoli): così l’arroganza dell’attuale governo chiama tutte le voci che si oppongono al suo progetto. Tra queste, ribadiamolo, la voce della CEI. Perché i Vescovi ce l’hanno con l’autonomia differenziata? I Vescovi siciliani hanno di recente firmato un documento che lancia l’allarme sulle spinte secessioniste istituzionalizzate, con cui si crea disparità di trattamento a danno della solidarietà nazionale. Solidarietà, la parola chiave, d’altronde di rilievo fondamentale nella Costituzione, che ne enuncia l’obbligo per la Repubblica e per ogni cittadino e cittadina nell’articolo 2, tra i princìpi non eludibili. Dalla Calabria la voce di mons. Giovanni Checchinato, Arcivescovo di Cosenza, ammonisce riconoscendo nella proposta di legge un’idea opposta a quella “di una comunità che cammini insieme. Anziché preoccuparci della casa comune, ci preoccupiamo della cassa comune.” Il 6 marzo 2024 Repubblica pubblica una lettera di mons. Antonio Di Donna, Vescovo di Acerra e Presidente della Conferenza Episcopale Campana, in cui, nel ricordare il documento della CEI del 2010 – intitolato Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno – rivolge un appello ai politici che si ispirano alla Dottrina sociale della Chiesa: “al di là degli schieramenti cui appartengono, sostengano un cattolicesimo solidaristico, che non si concilia con la proposta di legge in questione.” Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, denuncia i rischi per la sanità e ricorda su Avvenire il grande divario già esistente tra territori, che verrà aggravato; e poi il cardinale Matteo Zuppi, il Vescovo di Cassano all’Ionio mons. Francesco Savino, l’Arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia (“L’egoismo si codifica in scelte politiche nette”), l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe

Baturi, segretario generale della CEI. Nemmeno loro ascoltati dal ministro Calderoli nella forte denuncia di un Paese non più solidale, spaccato, profondamente ingiusto: ma almeno i e le Parlamentari, presteranno orecchio?

La Via Maestra. Avrà effetto sulla classe politica in generale, sui cittadini e sulle cittadine, e di conseguenza su questo governo, la grande mobilitazione posta in essere da La Via Maestra? Lavoriamo perché lo abbia. La Via Maestra è la via della Costituzione nata dalla Resistenza: i Comitati ed il Tavolo NO AD ne fanno parte, come grandi associazioni quali Libertà e Giustizia e l’ANPI. La CGIL ne ha fatto, assieme a tutti i soggetti che vi aderiscono, uno strumento centrale della lotta di questo ultimo anno. Ha promosso la grande manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma (dopo un’estate passata dai Comitati a diffondere ovunque i contenuti della AD), sta lavorando sia per costruire i Comitati territoriali sia per una manifestazione nazionale a Napoli il 25 maggio, subito prima del voto europeo ma molto (troppo) dopo l’ingresso del ddl Calderoli alla Camera il 29 aprile. Se qualcosa dovrebbe fare la Via Maestra di urgente secondo i Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata, questa cosa è volere e saper irraggiare a passo di marcia tutti i contributi contro il progetto Calderoli, perché l’autonomia differenziata è il contenitore da cui si dipartono tutti gli attacchi ai diritti, alla partecipazione, alla democrazia. La madre di tutte le battaglie non è quella contro il premierato, ma è una madre doppia, da considerare con energia equivalente: autonomia differenziata e premierato.

Il lavoro dei Comitati e del Tavolo. La marcia dei Comitati NO AD si è fatta negli anni sempre più intensa, accompagnata da una conoscenza sempre più profonda del tema. In questo primo scorcio dell’anno Comitati e Tavolo hanno organizzato i Presìdi del 16 gennaioche hanno coinvolto decine di Piazze italiane nel giorno in cui il ddl Calderoli entrava in Aula al Senato. Il 24 gennaio si è svolto a Milano il Convegno Nazionale No all’autonomia differenziata, seguito poco dopo dalla riuscita Manifestazione Nazionale NO AD che si è svolta a Napoli il 16 marzo con la partecipazione di diverse migliaia di persone, Sindaci/e in testa dietro lo striscione principale. Nel frattempo Comitati e Tavolo hanno dato vita a diversi webinar tematici di formazione e informazione tra cui il molto condiviso Donne e Autonomia differenziata. Hanno scritto lettere aperte, praticato mail bombing, insomma hanno tessuto e intessuto.

Prospettive. La lotta perché il ddl non venga approvato continua, nelle Aule, nelle Piazze, nei luoghi dell’informazione. Se il voto arriverà a termine, Zaia avanzerà richieste immediate di materie non LEP. Che fare quindi? Le Regioni (e ne basta una) potranno proporre Ricorso in via principale alla Corte Costituzionale per violazione dell’art.5 e dell’art. 117, quest’ultimo violato proprio perché i LEP si dovranno garantire, secondo il ddl, a bilancio invariato. Insomma un imbroglio. Resta ancora dubbia la possibilità del Referendum, proprio per il collegamento artificioso alla Legge di Bilancio. Ma, non sarà che proprio questo collegamento sia impugnabile? Se un governo potesse arbitrariamente collegare una legge alla legge di bilancio, potrebbe sottrarre qualsiasi disposizione alla consultazione popolare: è questo un punto fondamentale da valutare. Si potrebbe poi agire contro le future intese Stato-Regione. Tuttavia non è utile fantasticare troppo: la lotta è adesso, il ddl non deve passare.

4 maggio 2024

Dianella Pez

Comitato Comitato contro Ogni Autonomia Differenziata. Udine

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