Autonomia Differenziata. La secessione va fermata nelle piazze
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E’ diciamola tutta la verità nella sinistra variegata e diffusa: il pericolo più infido nella lotta contro la secessione programmata dall’autonomia Differenziata non viene dalla destra al governo e dal suo battage pubblicitario – tramite gli obesi giornali e delle televisioni tutte berlusconizzate – ma dal mestare nel torbito da parte del PD, sia nel delegare alle Regioni da loro amministate a depontenziare, di fronte alla Corte Costituzionale, con proposte di parziali modifiche il milione e trecentomila firme per il Referendum abrogativo totale della Legge della Legge Calderoli, mentre ha fatto le comparsate nel Comitato Nazionale NO AD e in qualche banchetto per le firme organizzate dalla Cgil.
Ora, sia chiaro che anche senza l’ipocrisia del PD non è detto che le firrme raccolte vengano validate e indicendo di fatto il Referendum. Potrebbe succedere anche che i giudici costituzionali – divisi da note posizioni sugli schieramenti politici, con la maggioranza a destra e minoranza col centrosinistra – non convalidano le firme di loro inziativa, nonostante esimi giuristi e costituzionalisti si siano già espressi contro ogni motivazione contraria alla convalida.
E ancora, nel caso di Referendum non è detto che si raggiunga il quorum – che lo convalidi e che faccia vincere il SI all’abrogazione totale – si deve mettere in conto lo sbarramento mistificatorio mediatico che verrà messo in atto sulle reali conseguenze della secessione per il sud, ma anche per i settori poveri residenti al nord.
Domanda lecita di chi legge: allora è tutto in forse, anzi le probabilità di fermare la secessione è minima?
No, le probabilità di vittoria sono tante quante le negatività, intanto si spera che qualche giudice costituzionale tenga fede al’estica giuridica a prescindere dalla sua collocazione politica (possibile anche perchè anche nella destra politica esistono alcuni pareri discordanti col governo), per esiste quella potente medicina sociale che ridurrebbe al 90 per cento tutti i pericoli, quella che a cui abbiamo fatto spesso ricorso, con grandi risultati sociali, politici e sindacali, nei decenni precedenti ma meno spesso inn questi ultimi anni, quella medicina si chiama MOBILITAZIONE DI PIAZZA, non ci sono altre strade sicure, senza svincoli di fuga dalla massa, con sbocchi certi sugli obbiettivi.
In merito dobbiamo anche ricordare che una vittoria popolare sul Referendum del 12 e 13 giugno 2011, con la stragrande maggioranza dei cittadini italiani votanti (26 milioni) che sancirono lo non privatizzazione dell’acqua pubblica, senza più fare profitto, venne vergognosamente negato dai governi di centrosinistra e di centrodestra. Quando questi signori si sciaqua no la bocca con la parola DEMOCRAZIA gli dobbiamo ricordare la loro porcata! Va dato merito storico a Luigi De Magistris, allora Sindaco di Napoli, che appliò l’esito del Referendum.
Quel caso di menefreghismo della volontà popolare è difficilmente ripetibile oggi, anche con un governo di estrema desra, perchè il tema della secessione stà producendo – prima per merito del Comitato Nazionale contro Ogni Autonomia Differenziata e ora anche della Cgil – forti contraddizioni nell’opinione pubblica, anche che quella che vota a destra, certo, più al sud che al nord, ma nei prossimi mesi potrebbero cambiare opinione se continueremo con l’informazione.
Questa prospettiva di vittoria contro la divisione dell’Italia che produrrebbe un nuovo feudalismo si avvale della storia italiana e mondiale; è inconfutabile che che molte volte le battaglie iniziate dalle minoranze sono poi diventate battaglie di popolo per la trasformazione politica e sociale e hanno preso forma culture di governo atte a determinare la sconfitta dei peggiori tratti dei poteri dominanti all’opera per dimensionare a loro immagine somiglianza i rapporti sociali e politici tramite restrizioni violente delle libertà quando non riuscivano con gli atti legislativi, come quelli in corso in Italia per ritornare alle forme divisive precedenti all’Unità d’Italia, seppur dentro un guscio, ormai svuotato, chiamato nazione.
La divisione in atto, per soddisfare gli animi secessionisti delle Giunte del nord, ma anche di qualche Giunta del sud (non delle cittadine e dei cittadini tenuti all’oscuro) è stata programmata dagli ultimi quattro governi con una vera e propria secessione delle zone ricche, o meglio dire dei settori ricchi delle Regioni del nord in quanto le disuguaglianze e le disparità dicondizioni sociali aumenterebbero ancora per le già ampie fasce di povertà nelle periferie di quelle Regioni.
Ne sono drammaticamente consapevoli i milioni di cittadini ormai costretti a ricorrere all’onerosa sanità privata. Povertà dalle quali usciranno solo per poter, chi potrà farlo, elemosinare lavoro e salute fuori dai confini regionali, e come cittadini poveri del nord relegati nelle riserve di periferia, senza adeguati Servizi sociali e destinati a vivere di meno, e male, nei confronti delle zone ricche nelle grandi città, come nei paesi delle città metropolitane, come nei paesi di montagna.
La questione di fondo è se vogliamo difendere e rilanciare una struttura pubblica dei servizi forte e capace di sostenere lo scontro con la privatizzazione globale, in atto in tutta Europa, lavorando per raddrizzare le numerose storture di governance a cominciare dall’impianto giuridico attuale, anche Comunitario, che ha contribuito al disgregarsi del compromesso socio-politico che ha costruito il welfare, oppure vogliamo accettare supinamente una deriva che porterà al prosciugamento delle risorse pubbliche con riduzione dei servizi, all’aumento della tassazione, all’incremento della quota a favore dei Fondi Integrativi con buona pace del controllo sul plusvalore derivato? Tenendo conto che già grosse crepe sono state aperte con l’introduzione del “Welfare aziendale” e della sanità integrativa nei contratti, come quello del comparto sanità, imperniato sulla deregolazione del lavoro favorendo, con un vero e proprio disconoscimento delle lotte che hanno portato alla legge 833 dopo la fine delle mutue, la facoltà dei lavoratori di farsi una mutua privata per loro e i loro famigliari.
Lottare per conservare i beni pubblici faticosamente conquistati è un dovere di chiunque abbia come faro della propria azione politica e sociale le regole basilari della convivenza civile, e in particolare, la salute che vede nell’atto del regionalismo differenziato, la definitiva distruzione della sanità pubblica, praticamente, cancellando l’articolo 32 della Costituzione e la legge 833/78 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Vanno, quindi, respinti e combattuti tutti i tentativi di smantellare i principi universalistici e solidaristici alla base dei successi del nostro SSN, iniziando proprio dalla “secessione” voluta da Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto in primis e poi da alcune altre.
Parliamoci senza peli sulla lingua: il popolo, quello che ha poco o niente, si sente proprio esente da responsabilità per la pericolosa situazione in cui versa il nostro Paese e archivia una grossa percentuale di complicità, esternata con il silenzio sugli eventi sociali che ci hanno colpito in questi ultimi vent’anni almeno, con l’ipocrita spiegazione del ” e che ci posso fare”?
Beh, sarebbe il caso di darci da fare ora che siamo ai limiti della barbarie su ogni aspetto della nostra vita, dal lavoro ormai senza più diritti elementari fino alla morte (record europeo di quasi tre morti giornaliere); dal non lavoro di milioni giovani e meno giovani; dal lavoro schiavizzato dei precari; dall’imbarbarimento delle relazioni con i nostri simili, italiani e migranti.
Vogliamo darci una mossa prima che sia troppo tardi e ricadere nel baratro di un nuovo fascismo che ha facce e parole molto più viscide del passato? I fatti richiederebbero una reazione della società che ha nel DNA i principi della democrazia come governo del vivere civile.
Intanto non possiamo pensare di metterci a posto la coscienza pensando di stare ai margini delle cose e “dire la nostra” su face book o su Twitter per partecipare alla vita sociale e politica mentre ci stanno, portando, sfruttando l’apatia popolare, indietro di almeno cinquanta anni.
Dovremmo capire che ci troviamo in una situazione che sta generando pericoli per la vita civile che se portati a compimento da leghisti e fratelli d’Italia, dopo lo sporco lavoro di aratura fatto dai governi precedenti, ci vorranno altri trent’anni per ricostruite forme minime di democrazia, di convivenza civile e di diritti elementari, mentre invecchieranno le nuove generazioni sotto il capestro della disoccupazione e del non poter costruire un futuro lavorativo e familiare. Badiamo ai fatti che ci stanno crepando la vita.
Badare ai fatti nostri non è facile certamente se non abbiamo la giusta informazione sui fatti. A deformarla completamente l’informazione è arrivata come uno tsunami la rivoluzione digitale.
Franco Cilenti
del Comitato Nazionale Contro ogni Autonomia Differenziata
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