Bambini e smartphone

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In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

Questo mese ho deciso di rivoluzionare la scaletta programmatica della rubrica.

Dopo l’articolo di presentazione e quello sugli strumenti di utilizzo (pc e smartphone) avrei dovuto parlare di internet, poi dei social e via dicendo.

Ma la vita a volte ti tira per la giacchetta e ti ricorda il motivo per cui fai politica. Le generazioni future.

Questo mese mi trovo, in pieno lockdown, a coabitare con il pestifero di mio nipote. Un Gremlins di 5 anni che non sta fermo un secondo, spacca tutto e parafrasando Diodato, “fa rumore, si”.

Vi lascio immaginare quanto sia difficile concentrarmi sulla scrittura mentre devo badare non solo al caos che il pargolo fa ma anche ai suoi bisogni. In particolare, oltre alle basi di sopravvivenza, la didattica pre-scolare.

Così, per non impazzire, ho deciso di unire le due faccende in un unico impegno e guardare mio nipote e la sua generazione da un punto di vista socio-politico.

Ed ho subito notato una serie di cose:

In primo luogo una evidente dipendenza da connessione, che ho scoperto chiamarsi nomofobia. E mi pare che ne soffrano tantissimi bambini, che ho visto dare in escandescenze e urlare hai genitori “dammi internet!”. Ma ho scoperto soffrirne anche il 60% degli adulti secondo un rapporto Coop del 2016.

Un’ altra cosa che ho notato è il distacco dal mondo naturale. Già la mia generazione, nata a metà degli anni ottanta, è stata alienata dalla tv ed i giocattoli.

Si dice che la mia sia la prima generazione di nativi digitali. Ma non concordo. Il web era molto più anarchico, più libero, e non avevamo un touchscreen, quindi per navigare dovevamo saper leggere e scrivere.

Mentre queste nuove generazioni, quelle del nuovo ventennio, considerate native digitali di terza generazione, sono le vere native digitali. Quelle che navigano su YouTube già prima di avere un anno di vita.

Pensate sia possibile? Bene, allora forse vi servirà sapere che, secondo il centro studi Erickson, più di un terzo dei bambini americani (e gli italiani seguono a ruota), cioè il 36% circa, interagisce con un touchscreen già dai sei mesi di età.

È un bene o un male?

Ci sono due scuole di pensiero:

L’una censorea che pensa che i bimbi vadano tenuti sotto una campana di ignoranza, lontani dal porno, le parolacce, le bestemmie, ma anche dalla violenza, dalla pedofilia, la vendita di organi, gli effetti evidenti di quel militarismo e la religiosità che tanto gli sbandierano come unica via di pensiero possibile.

Insomma lontani dalla consapevolezza di quello che nel mondo esiste. Rischiando di ottenere dei futuri adulti ignoranti e incapaci di difendersi dai pericoli del mondo, o in alternativa dei bigotti aggressivi incapaci di godere dei piaceri della vita senza danneggiare gli altri.

L’altra scuola di pensiero è quella fissata con il futurismo che vede nell’informatica solo i vantaggi e le opportunità. Che venera un mero macchinario come se fosse una panacea per tutto, pensando che qualche app possa sostituire la funzione educativa dell’intera società. Qui il pericolo è neurologico: Penso ad esempio agli effetti delle radiazioni luminose su un organo oculare ancora in via di sviluppo.

Insomma per farla breve, come avrete intuito, non concordo con nessuna delle due ideologie pedagogiche. Perciò mi sono fatto qualche ricerca in più ed ho cercato di capire come approcciarmi al pargolo, ed al suo smartphone, nel modo corretto.

Espongo qui le mie analisi profane. Come sempre discutibili.

Anzitutto ho cercato nozioni di pedagogia pre-scolare ed ho presto capito che non sono lettere e numeri le prime cose da insegnare, ma concetti più “boleani”. Come: sopra e sotto, destra e sinistra, dentro e fuori e così via.

Ho aggiunto quello che secondo me è più importante e troppo trascurato: l’allenamento al dibattito, al dialogo previa riflessione. Che è poi la lacuna più diffusa nella società contemporanea.

Guardacaso non ho trovato nozioni di esercizi didattici su questo tema, perciò mi limito per adesso a cogliere l’occasione durante i momenti della giornata, ed il mio rapporto con la prole pare essere sempre più empatico.

Infine, e qui arrivo al punto del post, ho cercato di capire come approcciarmi al telefono del nipote. Non amo la censura, anzi, ma è effettivamente pericoloso dare YouTube ad un bimbo prima che capisca, ad esempio, che lanciarsi dal terzo piano non è divertente. Perciò sto cercando il giusto equilibrio.

Queste generazioni usano il telefono ad una velocità impressionante, e questo perché, pur non sapendo leggere, sono istintivamente reattivi alla semiotica. Il chè è un vantaggio per il futuro, ma un danno se il pargolo viene lasciato in totale balia.

E allora ho deciso a malincuore di installare uno dei sistemi di parental control, ma non a scopo di un controllo permanente, bensì con l’intento di farlo ricominciare da zero e farlo rientrare nel mondo virtuale per gradi.

Prima di tutto, dato che lo smartphone è prevalentemente usato dai genitori come sostituto di una babysitter, e dai ragazzi per sfuggire alla pedanteria contemporanea, ho azzerato il telefono, ed ho reinstallato solo giochi didattici dato che le nozioni meccaniche le può imparare anche da solo giocando.
Liberando così il tempo degli adulti dallo snervante schema “A come albero, ripeti con me, dai non distrarti, vieni qui, devi studiare porca troia!” E concentrando quel tempo nel suddetto esercizio al dibattito riflessivo.

L’effetto sperato, e felicemente ottenuto, è che il ragazzo quando si rifugia nel telefono anziché alienarsi dal mondo tende ad imparare. E lo fa velocemente.

E viceversa quando esce dallo schermo e si interfaccia con le persone, anziché trovare imposizioni e provare fastidio dalla socializzazione, trova giocosità ed empatia ed impara ad apprezzare il gioco del dialogo costruttivo.

Quello che spero di ottenere in poco tempo è la capacità di discernere prima ancora della scrittura, per poi, una volta che ha imparato anche a leggere e scrivere, sbloccare di nuovo il suo telefono, il prima possibile per amor della libertà e della cultura, e dargli la possibilità di scoprire il mondo degli adulti, mettendoli in discussione.

Delfo Burroni

Collaboratore di Lavoro e Salute

Articolo pubblicato sul numero di novembre del mensile

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