Bambini migranti, abusati in Libia e fantasmi in Europa

Due buchi neri dove scompaiono i bambini migranti: prima in Libia, meta obbligata della fuga dall’Africa; dopo in Europa tra prostituzione e lavoro nero. È il calvario attraverso cui passano, da invisibili, decine di migliaia di minori diretti in territorio europeo.

L’ULTIMO RAPPORTO UNICEF, basato su interviste a 82 donne e 40 bambini, dà numeri scioccanti: 23.846 bambini sono arrivati in Italia lo scorso anno, il 90% non accompagnati; tre quarti ha subito violenze mentre si trovava in Libia, la metà abusi sessuali ripetuti; un terzo denuncia abusi da parte di «uomini in uniforme»; 23mila sono attualmente nel paese nordafricano in centri di detenzione, con 28mila donne; 8mila quelli che in Italia sono rimasti intrappolati nelle maglie della criminalità; 700 morti in mare. Numeri enormi ma sicuramente sottostimati: potrebbero essere tre volte tanto.

E, una volta arrivati a destinazione, inizia un altro calvario: senza una protezione reale e continuativa, il rischio di finire nelle mani di altri trafficanti di uomini è altissimo. Prostituzione, piccola criminalità, spaccio, lavoro minorile. E l’utopia di una vita migliore che evapora.

In Europa arrivano soli per tanti motivi, spiega la direttrice regionale di Unicef, Afshan Khan: perché sono orfani di guerra o di Ebola, perché hanno visto morire i genitori nella traversata del Mediterraneo o del deserto, perché mandati ad aprire la strada all’arrivo della famiglia.

«IL MEDITERRANEO CENTRALE dal Nord Africa all’Europa è una delle tratte più letali e pericolose per bambini e donne – aggiunge Khan – È per lo più controllata da trafficanti, contrabbandieri». E da un giro d’affari di milioni di euro che spesso finanzia i gruppi jihadisti.

DALL’AFRICA CENTRALE, la prima tappa è la Libia, un non-Stato devastato dall’intervento Nato del 2011 e che oggi perpetua il modello di “gestione” dei migranti già attivo sotto Gheddafi e l’accordo bilaterale con l’Italia di Berlusconi: i bambini finiscono in uno dei 34 centri di detenzione per migranti identificati dall’agenzia Onu, dieci in più dei 24 governativi ufficiali, quasi tutti nel nord del paese.

Ma è impossibile calcolare il vero numero di prigioni – specifica l’Unicef – gestite da milizie armate e non dal governo di unità di al-Sarraj che ha il controllo solo di una parte della Tripolitania.

RESTANO LÌ PER MESI, anni, abusati e a volte costretti a prostituirsi o a lavorare, prima di riuscire a raggiungere la costa: «Sono qui da nove mesi. Ci trattano come galline. Ci picchiano, non ci danno abbastanza acqua e cibo – la testimonianze di Jon, 14 anni, fuggito da solo dalla Nigeria e da Boko Haram e ancora detenuto in Libia – Tanta gente muore lì, per le malattie o il freddo».

Nei giorni scorsi sul Guardian sono comparse le storie di ragazze nigeriane costrette a prostituirsi per pagare il resto del viaggio, i mille km che dividono il confine sud della Libia dalla costa. Molte di loro non riescono a pagare l’intero viaggio subito, ma contraggono debiti. È il sistema del pay as you go, paghi mentre vai: migliaia di dollari di debiti “coperti” con il proprio corpo, ad ogni checkpoint attraversato.

QUEI CENTRI DI DETENZIONE, dopo gli accordi siglati dal governo italiano e da quello di Tripoli e applaudito dall’Unione Europea, in molti casi non sono un incubo del passato: con la guardia costiera libica investita del ruolo di cane da guardia (pattugliare la costa, bloccare i migranti, riportarli in Libia, deportarli in Africa), la probabilità di tornarci è elevata.

Al contrario, è inesistente la possibilità per organismi internazionali di visitare i centri non ufficiali, in mano a signori della guerra, tribù armate, milizie. Off limits anche la metà dei centri del governo di Tripoli. E in quelli visionati mancano cibo, coperte, medicine, i migranti sono costretti in celle di due metri2 in cui vengono ammassate fino a 20 persone.

«I CONTRABBANDIERI stanno vincendo – spiega la vice direttrice di Unicef, Justin Forsyth – Questo accade quando non ci sono alternative legali e sicure per chiedere asilo in Europa». Non solo Italia: se è difficile fare stime realistiche, ci si può rifare ai dati Europol del 2015 che parlavano di 10mila bambini migranti scomparsi, a quelli di Roma che calcolava 6.500 minori non rintracciabili nei primi 10 mesi del 2016 e a quelli di Berlino che ha perso le tracce di 9mila bambini.

Dove finiscono? Nelle mani di altri mercanti di uomini.

Chiara Cruciati

1/3/2017 https://ilmanifesto.it

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