Banalità, mercato e relazioni

“Nel servizio in cui opero, un servizio comunale che si occupa di accoglienza delle persone migranti – scrive Roberto De Lena -, il recente cambio di appalto ha provocato una seria riduzione per noi lavoratrici e lavoratori di molte ore di lavoro, con conseguente taglio dei diritti per tante e tanti… Ora, ad essere trattato io stesso come merce, forse capisco meglio tante cose…”. Cosa fare nel buio? “Le reti fiduciarie, le pratiche di solidarietà, le azioni di cooperazione, il lavoro nella comunità: a ben vedere, la logica banale del mercato, pur nella sua violenza, non riesce (ancora) a impossessarsi di tutto. Qualcosa rimane sempre di radicalmente altro, che va coltivato e fatto crescere…”


La logica del mercato ha come obiettivo principe la realizzazione del profitto il più alto possibile; chi la persegue non vede altro davanti a sé che merci. Ogni cosa, ai suoi occhi, è una variabile economica: un costo o una spesa, un investimento o una perdita. Che si tratti di aria, acqua, terra, o invece di cemento armato, di armi, di mezzi di trasporto non fa differenza; che si tratti di informazioni, di educazione e di conoscenza, che si tratti di sanità, di religione, di pezzi interi di città, che si tratti di animali, di persone, di donne, uomini e bambini in carne e ossa non fa alcuna differenza. È una logica violenta e banale: banale per quanto essenzialmente violenta. Banale perché essenzialmente violenta: lineare e prevedibile; malvagia, autoritaria.

Tuttavia il male, diceva Hannah Arendt, “non è mai radicale, ma soltanto estremo”, non possiede “né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo”.

La logica banale del mercato: in città e nelle teste

La logica banale del mercato, che fa tutto merce e profitto, si espande infatti come un fungo sulla superficie del mondo, invadendo e devastando: è una logica pervasiva, che raggiunge ogni angolo della società. Nella mia città, ad esempio, una piccola cittadina costiera, la logica banale e violenta del mercato si espande in ogni dove: te la ritrovi nei ricchi palazzi costruiti a piè sospinto; nel centro cittadino ridotto a grande supermercato, luccicante e disgustoso; negli investimenti della Chiesa-impresa; nelle grandi opere pubbliche devastanti, nelle strade che passano dentro al parco cittadino, nella privatizzazione dell’acqua e della raccolta dei rifiuti, nella privatizzazione dei trasporti; nel funzionamento aziendale di tante scuole pubbliche cittadine, che si adeguano alle private già esistenti; te la ritrovi nella distruzione della sanità pubblica, nella privatizzazione dei servizi sociali.

La logica banale del mercato può viaggiare forte, superando cancelli, portoni e porte blindate: talvolta giunge fin dentro le nostre case; fin dentro le nostre teste. Si mette all’opera ogni volta che l’io egoista viene prima di tutto; ogni volta che lasciamo cadere qualcuno perché ha sbagliato e se l’è meritato; ogni volta che consideriamo l’altro, ogni altro, come mezzo e non come fine.

Vite sotto assedio

Quando la logica banale del mercato ti viene scaricata addosso, quando ti viene imposta in tutta la sua violenza, non è più “solo” una logica, un modo di pensare, diventa materia. Una faccenda fisica, che fa male alle ossa, al corpo. Diventa ansia e paura del futuro, rabbia e sfiducia nell’altro; diventa notti insonni, tachicardia, angoscia. Quando la logica del mercato ti impone, ad esempio, il licenziamento, o la riduzione forzata delle ore di lavoro, insomma il taglio dei tuoi diritti di lavoratore la tua vita si sconvolge: è come essere investiti da un treno. L’impatto è duro, violento. È la violenza che si prova a sentirsi considerati come una variabile del profitto, come una merce. È la banalità del mercato all’opera.

“‘O ciardeniello…” (in napoletano, “il piccolo giardino”). Foto di Ferdinando Kaiser

Dinanzi alla logica del mercato in azione, mentre questa devasta e invade il mondo, alcuni sindacati dicono: “funziona così, il mondo del lavoro è sotto assedio, si può fare poco, e forse provano a strappare qualche diritto in più”; molti di noi, lavoratori, diciamo anche: “funziona così, non ci resta che capire se si può leggermente migliorare il quadro”; “funziona così” – dice anche l’azienda – “mettetevi nei nostri panni”, chiede banalmente ai lavoratori.

E il lavoro sociale?

Nel servizio in cui opero, un servizio comunale che si occupa di accoglienza e integrazione delle persone migranti, il recente cambio di appalto ha provocato una sostanziale e seria riduzione per noi lavoratrici e lavoratori di molte ore di lavoro, con conseguente taglio dei diritti per tante e tanti.

Per chi, come me, di lavoro fa l’operatore sociale, subire le conseguenze violente e banali della logica del mercato significa vivere una condizione che è immediatamente individuale e collettiva, personale e pubblica: ridurre così drasticamente i nostri orari di lavoro, come ci sta accadendo dentro questa ristrutturazione aziendale, significa ridurre, oltre agli stipendi, i servizi per altre persone in difficoltà, riducendo cioè diritti collettivi. Ma l’azienda, che gestisce l’appalto per conto del Comune, ha, banalmente, le sue insindacabili ragioni gestionali: ecco all’opera la logica banale del mercato. Tanta parte dei Servizi Sociali municipali, che hanno una funzione pubblica, operano oggi dentro tale logica privatistica, aziendalista (e autoritaria); accade nella mia città e non solo.

Accade a tante, troppe persone, tra cui le operatrici e gli operatori del sociale. Molte e molti che subiscono questa violenza non possono scriverne, accumulano frustrazione in privato… Io provo a parlarne per sentirmi meno solo, sperando, chissà, di poter dar voce anche ad altre ed altri in condizioni simili.

Lucia, Michele, Deborah e Benjamin

Penso quindi a me e alle mie compagne e compagni di lavoro… Penso a Lucia, una donna senza dimora che conosciamo da tanti anni. “Dove dormi, stasera, Lucia?”, le ho chiesto mentre ritirava il pasto alla mensa. “Dormo in strada dove posso”, mi ha risposto con un sorriso amaro. Penso a Michele, che abbiamo conosciuto di recente, e che ci chiede aiuto tutte le sere frettoloso: ha divorziato da poco ed è in grossa difficoltà, ma si sta avvicinando timidamente, non ha ancora confidenza col servizio. Penso a Deborah, che ha attraversato mezzo mondo per ritrovarsi a lavorare sfruttata in un ristorantino di pesce della mia città; a Benjamin che dopo tanti anni sta ancora lottando per poter avere i documenti.

Penso a Lucia, Michele, Deborah, Benjamin e a tante altre e altri che ho incontrato in questi lunghi anni; a come la logica banale del mercato ha iniziato da loro: li ha isolati, messi ai margini, dove si vedono meno e fanno più comodo; li ha espulsi, resi indesiderati, merce a basso costo, senza protezione. Penso a quanta violenza subiscono sulla loro pelle da anni. Ora, ad essere trattato io stesso come merce, forse capisco meglio tante cose…

Penso a come le nostre vite siano diventate pure variabili di mercato; la logica banale del mercato ci ha separati e resi soli, isolandoci gli uni dagli altri; bisogna imparare a competere, a farsi spazio, a meritarsi il proprio posto nel mondo. Non c’è alternativa, ripetono in coro; funziona così, dicono banalmente in tanti, la maggioranza assoldata al portafoglio della logica del mercato.

Banalità del mercato e radicalità del bene

Eppure, lo so, tutto questo è solo in superficie: “non dobbiamo avere paura, le cose poi si sistemano, possono migliorare” – ha detto Mary, la mediatrice nigeriana del progetto, parlando in un gruppo di incontro qualche tempo fa; “noi qui ci siamo sempre per il supporto che possiamo”, mi ha fatto capire Giorgio, che sta finendo il suo percorso in Comunità e ho incontrato l’altro giorno all’orto. Le reti fiduciarie, le pratiche di solidarietà, le azioni di cooperazione, il lavoro nella comunità: a ben vedere, la logica banale del mercato, pur nella sua violenza, non riesce (ancora) a impossessarsi di tutto. Qualcosa rimane sempre di radicalmente altro, che va coltivato e fatto crescere: la radicalità delle relazioni sociali solidali è irriducibile alla logica banale e violenta del mercato.

A ben vedere, insomma, la logica banale del mercato è come il male, una sfida al pensiero: questo, infatti, nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Come il male, nel profondo della logica banale del mercato non c’è nulla, lì è vuoto. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.

Roberto De Lena

3/10/2021 https://comune-info.net

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