Bangladesh, sciopero delle lavoratrici tessili blocca le fabbriche dei grandi marchi: “Richiediamo aumento salariale del + 280%”

Le proteste per le rivendicazioni sindacali

Lo sciopero nazionale a tempo indeterminato delle lavoratrici bengalesi del settore tessile per gli aumenti salariali ha portato a grandi scombussolamenti. Il 7 novembre 2023 un comitato nominato dal governo ha aumentato gli stipendi del 56,25% del salario mensile di base, passando dagli 8.300 taka (70 euro) a 12.500 taka (106 euro). Il piccolo aumento salariale ha solo portato ad aumento delle proteste, in quanto la rivendicazione sindacale delle operaie richiedeva almeno 23.000 taka (195 euro), ovvero un aumento del 280%. Anche le organizzazioni di difesa dei lavoratori hanno definito il nuovo salario un “salario di povertà”. La lotta delle operaie e degli operai del tessile, che sono più di 4 milioni in un Paese con quasi 170 milioni di abitanti, è sostenuta da Organizzazioni Non Governative locali e dai sindacati.

I padroni della città industriale di Ashulia, a nord della capitale Dhaka, hanno chiuso 130 fabbriche per timore di altri scioperi. “I produttori hanno invocato la sezione 13/1 delle leggi sul lavoro”, ha detto all’AFP Sarwar Alam, capo della polizia locale.

Le proteste hanno portato alla denuncia di 11mila operaie e provocato almeno quattro morti. Nella capitale Dhaka e in diverse altre città industriali decine di fabbriche sono state assaltate dai lavoratori e alcune anche date al fuoco. Ashulia ospita alcune delle più grandi fabbriche del Bangladesh, alcune delle quali impiegano fino a 15mila lavoratori in un unico stabilimento a più piani. Due giorni fa le forze dell’ordine hanno utilizzato anche proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro le lavoratrici in sciopero. Anche a Gazipur, il più grande polo industriale del Paese, almeno 20 fabbriche sono state chiuse a causa delle proteste sul salario minimo, che secondo i commentatori sono state le più grandi da oltre un decennio. Nel corso degli incidenti un lavoratore di un’azienda del gruppo Energy Pack (Rasel Hawlader) rimaneva a terra cadavere per un colpo di arma da fuoco. Il fatto non poteva che infiammare ulteriormente la protesta. Gli operai in lotta, dopo aver incendiato un furgone della polizia, avevano forzato l’ingresso della Jamuma Fashion e di qualche altra azienda. Compiendo all’interno azioni di sabotaggio e devastazione. In particolare la fabbrica di confezioni ABM di Konabari veniva data alle fiamme risultando completamente distrutta.

La prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina, ha rifiutato di concedere ulteriori aumenti salariali dopo le proteste dei lavoratori e delle lavoratrici delle fabbriche tessili che hanno chiesto quasi il triplo del salario scontrandosi nei giorni scorsi anche con la polizia.

Per adesso il risultato è uno sciopero a tempo indeterminato che aggiunge incertezza alle elezioni in programma nel gennaio 2024 in questa ex-colonia britannica che è l’ottavo Paese più popoloso del mondo, la terza maggiore nazione islamica e la seconda più forte economia dell’Asia meridionale. La Campagna abiti puliti, la rete globale per i diritti dei lavoratori del settore tessile ha condannato “fermamente la repressione violenta” dei manifestanti dell’abbigliamento, accusando la maggior parte dei marchi della moda – tra cui Adidas, Hugo Boss e Puma – di rifiutarsi di sostenere pubblicamente le richieste dei lavoratori e delle lavoratrici.

Lo sfruttamento del Bangladesh e la strage di Rana Plaza

La società industriale di massa, la globalizzazione neoliberista e l’occidentalizzazione del Bangladesh hanno portato sfruttamento selvaggio delle lavoratrici da parte dei padroni locali e dell’industria dei grandi marchi dell’abbigliamento.

Un fatto simbolo dello sfruttamento occidentale nel “Terzo Mondo”, che ha molto colpito la popolazione del Bangladesh, è stata la strage di Rana Plaza. Il 24 aprile 2013, un edificio commerciale di otto piani crollò a Savar, un sub-distretto nella Grande Area di Dhaka, capitale del Bangladesh. Il crollo causò la perdita di oltre con 1.138 vittime. La più grave tragedia della storia dell’industria tessile. La struttura ospitava una serie di fabbriche di abbigliamento che impiegavano circa 5.000 persone, diversi negozi e una banca. Nel Rana Plaza si rifornivano 29 grandi aziende, alcune continuativamente da anni con organizzazioni permanenti: Adler Modemärkte, Auchan, Ascena Retail, Benetton, Bonmarché, Carrefour, Camaïeu, C&A, Cato Fashions, Cropp (LPP), El Corte Inglés, Grabalok, Gueldenpfennig, H&M, Inditex (Zara, Bershka, Pull and Bear, Oysho, Stradivarius), Joe Fresh, Kik, Loblaws, Mango, Manifattura Corona, Mascot, Matalan, NKD, Premier Clothing, Primark, Sons and Daughters (Kids for Fashion), Texman (PVT), The Children’s Place (TCP), Walmart e YesZee.

Dieci anni dopo la tragedia del Rana Plaza, i salari e la sicurezza sono stati parzialmente migliorati anche grazie all’azione dei sindacati e alle pressioni delle diverse organizzazioni umanitarie, ma i progressi oggi si mostrano evidentemente insufficienti, tanto che diverse migliaia di lavoratori hanno bloccato anche le strade nei distretti industriali intorno a Dhaka. Una scelta, questa, che è costata una violenta repressione da parte della polizia. A Mirpur, a Ovest di Dhaka – si legge su Internazionale – gli agenti hanno sparato proiettili di gomma, granate stordenti e gas lacrimogeni per disperdere circa i lavoratori che stavano impedendo il passaggio lungo una strada.

Da allora più di 150 aziende hanno sottoscritto l’Accordo sulla prevenzione degli incendi e sulla sicurezza in Bangladesh, un accordo legalmente vincolante predisposto per garantire la sicurezza in tutte le fabbriche tessili del Bangladesh, mentre l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), una delle agenzie delle Nazioni Unite, ha istituito il Rana Plaza Donors Trust Fund per raccogliere i fondi necessari a risarcire le famiglie delle vittime.

La società industriale e la globalizzazione neoliberista stanno generando “nuovi poveri”

Nel XVIII secolo, con la Prima Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna, ci fu un cambiamento epocale che vide come primo settore in forte sviluppo quello tessile, legato all’importazione di cotone dall’India, proprio perché fosse possibile produrre tessuti in cotone in Gran Bretagna. L’Impero inglese, con la colonizzazione violenta, si estendeva su tutte le regioni dell’India attuale, del Pakistan, del Bangladesh, dello Sri Lanka e della ex Birmania, oggi Myanmar. La crescita dell’industria tessile ha avuto un ruolo fondamentale per il colonialismo britannico, ma molto meno per il Bangladesh: sebbene la crescita economica lo abbia portato al 136° posto, su 189, nell’Indice di Sviluppo Umano, il benessere sociale ed ecologico della gente non risulta essere altrettanto positivo. Il Bangladesh, uno dei paesi più densamente popolati al mondo, si deve confrontare con una realtà che non solo vede crescere la disoccupazione intellettuale, ma anche milioni di nuovi poveri. Il paradosso di uno sviluppo economico che è tra i più performanti in Asia (il Bangladesh ha visto crescere il suo Prodotto interno lordo del 6,4% tra il 2016 e il 2021 e si prevede +4,5% quest’anno e +6% il prossimo) è che questa corsa dovrebbe portarlo nel 2026 a uscire dalla categoria dei “Paesi meno sviluppati”. Un traguardo che però rischia di precludergli l’accesso preferenziale ai mercati esteri.

«In principio è una buona cosa perché mostra che il Bangladesh ha fatto progressi significativi sul piano economico, tuttavia questo lo costringerà a ripensare il suo progetto di sviluppo. Senza questo riconoscimento il Bangladesh è destinato a perdere certi benefici commerciali e l’accesso preferenziali ai mercati europei, canadese e statunitense». A rischiare è l’industria del tessile, abbigliamento e accessori, la più redditizia con un controvalore nell’ultimo anno fiscale di 42,6 miliardi di dollari.

La dipendenza da queste produzioni e dalla loro vendita all’estero, per la maggior parte sotto noti brand internazionali, è evidente se si pensa che garantiscono circa l’82% dei proventi dell’export. Dipendenza che dovrà però essere superata, ad esempio stimolando la domanda interna, in una fase che richiederà aumenti di salari e rafforzamento delle strutture di protezione sociale per consentire una maggiore capacità di spesa agli abitanti. A sottolineare gli ostacoli posti davanti allo sviluppo del Paese è anche in una sua recente analisi Olivier De Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per quanto riguarda il rapporto tra povertà estrema e diritti umani. Sta emergendo una categoria di “nuovi poveri”, ovvero di quanti si trovano nelle città appena sopra la linea di povertà definita internazionalmente a 2,15 dollari disponibili al giorno per un adulto.

Tenendo conto dei tre elementi che contribuiscono a definire questa categoria (insufficiente liquidità, limitate possibilità di istruzione e difficoltà di accesso a servizi essenziali) a ritrovarsi nel 2020 in povertà sarebbero stati oltre 41 milioni di cittadini del Bangladesh, ovvero il 24,6%. Per De Schutter troppe famiglie vivono oggi su salari appena sufficienti, con risparmi pressoché inesistenti e nel rischio elevato di finire nella povertà estrema nel caso di perdita del lavoro o la necessità di cure mediche. Incide sicuramente l’elevata inflazione, che secondo l’Ufficio nazionale di statistica si è attestata ad aprile 2023 al 9,2% e quella alimentare all’8,8%.

Ad aprile 2023, un’indagine UNICEF ha mostrato che milioni di bambini in Bangladesh vivono per strada e devono affrontare privazioni, povertà estrema, malnutrizione, malattie, analfabetismo e violenza. La loro situazione è rivelata in dettaglio dall’Indagine sui bambini di strada 2022, pubblicata dall’Ufficio di statistica del Bangladesh con il sostegno dell’UNICEF. Secondo l’indagine, la maggior parte di questi bambini è maschio (82%) e la maggior parte finisce per strada a causa della povertà o in cerca di lavoro. Circa il 13% è separato dalla famiglia e circa il 6% è orfano o non sa se i genitori sono vivi.

https://bresciaanticapitalista.com/2023/11/12/bangladesh-sciopero-delle-lavoratrici-tessili-blocca-le-fabbriche-dei-grandi-marchi-rifiutati-aumenti-del-56-richiesta-280/
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-paradosso-del-bangladesh-lo-sviluppo-porta-disuguaglianze

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

21/11/2023

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