Bene gli indici, ma senza equivoci…
Ormai un po’ tutti parliamo di epidemia snocciolando le differenze, sia tra aree sia tra giorni diversi, di indici epidemiologi come, ad esempio la percentuale di positività o l’erreti (Rt). Sarebbe però bene abbandonare le impressioni e le sensazioni ed invece affidarsi a delle misure oggettive e l’importante è evitare di equivocare nella loro interpretazione quando anche addirittura nelle loro modalità di calcolo.
La positività della popolazione
La percentuale di
positivi può essere riferita sia alla popolazione sia ai test cui viene
sottoposta. Innanzitutto la definizione di positivo deve essere
precisata e quella definita dal dpcm è riferita strettamente al
risultato di un test molecolare con prelievo da tampone orofaringeo
validato dall’Istituto Superiore di Sanità o da un laboratorio regionale
espressamente accreditato.
Dobbiamo però distinguere la positività
nei risultati dei test o la positività nei soggetti sottoposti al test, e
questa riferita ai nuovi casi di un giorno specifico o a tutti i
soggetti che sono contemporaneamente positivi. E’ chiaro quindi che
parlando di positività della popolazione non intendiamo la percentuale
di soggetti infettati dal virus, che peraltro non conosciamo, ma la
percentuale di soggetti cui è stata diagnosticata l’infezione che
continua a perdurare.
L’errore più banale ma spesso reiterato dai media è quello di confrontare il numero assoluto di casi ed è evidente, e non si dovrebbe neppure doverlo ripetere, che il numero assoluto di cassi dipende innanzitutto dal numero di abitanti per cui la Lombardia ne ha più e la Valle d’Aosta ne ha meno di tutti.
Se questa tecnicamente viene chiamata “prevalenza” di casi, un altro indice importante è l‘“incidenza di nuovi casi” cioè il numero di casi diagnosticati in uno stesso giorno. Purtroppo l’attività diagnostica ha un ciclo settimanale dipendenti dai turni di lavoro e soprattutto dalle minori presenze durante i weekend. Per questa ragione si preferisce calcolare la media settimanale dei casi considerando quindi i tre precedenti e i tre seguenti dati giornalieri.
La figura 2 a evidenzia come non ci siano molte differenze tra i dati del giorno e le medie settimanali;
però
utilizzando le medie giornaliere della settimana si evitano
interpretazioni distorte dovute alla diversa intensità della attività
diagnostica. La figura 2b invece confronta incidenza e prevalenza
rapportandole entrambe al valore italiano; anche in questo caso i valori
sono alquanto simili ma mentre l’incidenza evidenzia la dinamica
dell’epidemia in un momento specifico, invece la prevalenza permette di
capire qual è l’accumulo di casi, informazione molto importante per
capire il possibile impatto dell’epidemia sui servizi sanitari.
La positività dei test
L’indice di positività dei test utilizza come numeratore gli stessi dati dell’incidenza della popolazione ma come denominatore ha il numero dei test effettuati o dei soggetti che hanno effettuato il test. Questa prima differenza è importante perché l’interesse principale è sapere come si sta evolvendo l’epidemia e quindi quanti nuovi soggetti sottoposti ad un test molecolare sono risultati positivi.
Come riportato in figura 3 a i dati pubblicati dalla Protezione Civile sono di dubbia correttezza infatti c i sono Regioni in cui sembrerebbe che tutti i tamponi siano serviti per testare nuovi soggetti (Basilicata, Calabria, Puglia) mentre in altre risulterebbe che i soggetti testati siano molti meno dei tamponi (Bolzano, Emilia Romagna, Friuli, Trento, Valle d’Aosta). In figura 3b sono riportate le percentuali di soggetti testati per totale di tamponi effettuati.
Bisogna perciò chiedersi se sia più opportuno considerare la positività dei test o la positività dei nuovi cassi testati data la probabile incerta qualità dei dati pubblicati.
Determinanti della positività
Ma i valori della
positività da cosa dipendono? Certamente dipendono anche dalla
diffusione del virus ma anche dalla strategia con cui si effettuano i
test, e non solo per quantità ma anche per motivo di esecuzione. Come si
vede in figura 3 a il rapporto tra la Regione che fa meno tampone e
quella che ne fa di più, sempre in rapporto alla popolazione, il 3
novembre va da 148 a 531, cioè 3,6 volte tanto.
Se con i tamponi
fossero testati, come nelle prime settimane dell’epidemia, solo i casi
sintomatici gravi sarebbe probabile che la positività fosse solo
funzione realmente della diffusione del virus, ma attualmente i tamponi
vengon fatti anche a soggetti asintomatici ed in particolare anche a:
- Soggetti che si presentano in ospedale per patologie non collegate al corona virus
- Soggetti che sono stati considerati “contatti seri” e che fanno il tampone per certificare le loro eventuale negatività
- Soggetti che hanno fatto altri test (sierologico, antigenico) e che si sottopongono al tgest molecolare per confermarne l’esito
- Soggetti per i quali non vi è una indicazione di maggior rischio ma che è opportuno verificarne la negatività (sanitari, atleti, giornalisti, ecc.)
In prospettiva si deve considerare che una positiva diffusione dei test antigenici rapidi, oggi già utilizzati ad esempio da alcune compagnie aeree, possono portare ad un aumento di positività non solo perchè aumenta la diffusione del virus, non solo perché aumenta la popolazione sottoposta al test ma soprattutto perchè la probabilità a priori che un soggetto tastato sia positivo aumenta in quanto già risultato positivo ad un test precedente.
Positività ed incidenza
La misura vera della
diffusione dell’epidemia la potrebbe dare un indice di incidenza che
fosse rilevato su tutta la popolazione o su un suo campione
rappresentativo; entrambe le soluzioni oggi sembrano irrealizzabili sia
per ragioni organizzative sia per disponibilità della popolazione a
farsi testare senza averlo richiesto.
Dobbiamo quindi ragionare solo
su un numero di casi positivi che rapportati al numero di tamponi o
rapportati al numero di abitanti danno ovviamente valori differenti.
La figura 4 a mostra come i casi positivi si siano incrementati molto di più dei casi testati e quindi non è di sicuro solo la quantità di casi testati il determinante della crescita dei positivi. La figura 4 b mostra come siano cresciuti a sette giorni di distanza positivi e testati ed evidenzia che a metà agosto ed all’inizio di ottobre c’è stata una crescita importante dei casi positivi in assenza di altrettanta crescita dei casi testati.
Tutto ciò porta a suggerire di non adottare l’indice di positività come una proxy certa dell’incidenza
e
forse può essere utile considerare anche l’andamento dei soli casi
sintomatici che dorebbe essere meno influenzato dalle diverse strategie
di scelta dei soggetti da sottoporre al test molecolare.
Le illusioni e la rilevanza dell’indice Rt
L’indice
Ro / Rt è un indice scientificamente consolidato e condiviso però è
opportuno riflettere se in questa situazione specifica sia l’indice più
opportuno e comunque chiarirsi bene ciò che significa.
La critica
sull’indice è il fatto che la sua applicazione prevede che siano
disponibili le date di inizio sintomi da parte dei contagiati ed ancora
la distribuzione dei cosiddetti tempi seriali o di generazione, cioè la
distribuzione dei tempi, in giorni, in cui avviene un contagio tra
soggetti, cioè i giorni tra l’inizio sintomi del contagiante e del
contagiato.
Si ipotizza che la distribuzione dei tempi di generazione
sia una “gamma” e quindi sia sufficienti stimarne la media e la
varianza. Questo in Italia è stato fatto mesi fa credo da parte della
fondazione Kessler e risulta che la media dei giorni sia tra 6 e 7
giorni. Ci si dovrebbe oggi chiedere se sia rimasta la stessa dopo mesi
ma non mi aspetterei comunque che si sia molto modificata.
Il
problema è un altro e cioè l’assenza delle date di inizio sintomi per
tre motivi: una mancanza importante di rilevazione dell’informazione,
una scarsa qualità del dato dovuta al cosiddetto recall bias soprattutto
da parte dei pazienti più gravi, ma soprattutto per il fatto che più
della meta dei positivi oggi è asintomatico e quindi non può segnalare
l’inizio di eventi che non si sono manifestati!
Per questo motivo credo che l’indice RDt sia preferibile e che rappresenta una variante dell’indice Rt: utilizza le date di certificazione della diagnosi di positività ed infatti la sua sigla significa indice di Replicazione Diagnostica e non come l’Rt indice di Riproduzione. Ma soprattutto non utilizza i tempi di generazione ma viene calcolato su intervalli di giorni differenti (lag) che permettono di vedere cosa cambierebbe se questi in media fossero 5, 6, 7 o altro.
Ma la riflessione maggiore riguarda il significato dell’indice, sia
l’Rt sia l’RDt. Entrambi stimano in modo simile seppur non uguale,
quanti casi siano prodotti da ciascun caso; infatti se >1 significa
che i cassi si espandono, se =1 significa che si riproducono in modo
stazionario, se <1 significa che i casi si stanno riducendo in quanto
ogni caso produce meno di un caso.
Ma se ad esempio un RDt come è
successo in Lombardia nel mese di ottobre arriva al valore 2,5 e poi
scende a 2 poi a 1,5 ed oggi a 1,2 non significa che l’epidemia stia
diminuendo ma solo che stia sviluppandosi meno velocemente di prima.
La tabella 1 evidenzia come se l’evoluzione si attestasse ad esempio ad un RDt a livello 1,3 che potrebbe venir magari anche considerato basso, i 1000 casi del 1° novembre diventerebbero quasi duecentocinquantamila a fine marzo.
Quindi l’utilizzo degli indici RDt, o Rt, non deve essere disgiunto dall’analisi di altri indici e primi tra tutti quello dell’incidenza e quello della prevalenza dei casi positivi, ma anche possibilmente di indici riguardanti le caratteristiche dei casi positivi come ad esempio la sintomatologia, la gravità, l’età, il genere, la motivazione per cui si è sottoposto al test diagnostico, eccetera.
Conclusione
In conclusione non cadiamo nell’equivoco che gli indici “dicano sempre la verità”; la dicono solo se sono calcolati nel modo giusto, se utilizzano dati attendibili e tempestivi, ma soprattutto se vengono letti nel modo giusto da parte di chi ha le competenze minime per interpretarli. È come se bastasse leggere il referto degli esami di laboratorio per fare diagnosi clinica anche senza avere le competenze mediche, o se bastasse guardare una radiografia da parte di chiunque per capire se c’è un tumore.
Quindi è indispensabile che chi pubblica i valori degli indici ne chiarisca il significato e consigli le necessarie cautele per interpretarli correttamente.
Cesare Cislaghi
9/1172020 http://www.epiprev.it
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