Blocchiamo il DdL Pillon! Non una di meno in piazza
Oggi il Ddl Pillon torna in Commissione Giustizia. Il disegno di legge che riforma le norme su separazione e affido è uno dei temi al centro dell’agitazione permanente lanciata da Non una di Meno che dallo scorso autunno ha visto svolgersi molteplici azioni, flash mob, incontri pubblici e oceaniche manifestazioni dal 24 novembre a Roma alla marea transfemminista di Verona contro il congresso mondiale delle famiglie.
E proprio l’oceanica mobilitazione veronese aveva aperto il conflitto interno alla maggioranza di governo. Dure critiche alla partecipazione dei ministri Salvini e Bussetti e dello stesso senatore Pillon avevano aperto lo scontro anche sul discusso progetto di legge. Spadafora, titolare delle pari opportunità, ne aveva addirittura annunciato l’archiviazione salvo poi non ritirare le firme dei 5 parlamentari grillini al Ddl Pillon, atto concreto e non solo polemica strumentale che determinerebbe una pesante battuta d’arresto se non la fine del percorso di approvazione della legge.
Non Una Di Meno chiama di nuovo alla mobilitazione, dunque, per richiamare il Parlamento alle sue responsabilità e per chiedere il ritiro di un testo non emendabile ma da rigettare in toto. A Roma l’appuntamento è per le 15 a piazza Montecitorio, a Milano alle 18,30 in piazza Duomo, nel corso delle ore si stanno lanciando altre piazze e presidi a: Cagliari, La Spezia, Livorno, Padova, Trieste.
In contemporanea al Senato si svolgerà una conferenza stampa indetta dai centri e dalle associazioni anti-violenza a cui parteciperanno anche i sindacati, i giuristi democratici, associazioni per i diritti umani e civili e le parlamentari contro il Ddl Pillon.
Il disegno di legge Pillon ha incontrato la forte opposizione del movimento femminista, dei centri antiviolenza ma anche di giuristi e psicologi, infatti, che hanno denunciato come la proposta sia ritorsiva nei confronti delle donne che si separano, penalizzi le donne che fuoriescono da situazioni di violenza domestica e non tuteli i minori, ridotti a meri oggetti da spartirsi tra gli ex coniugi come il resto del patrimonio di famiglia.
La cancellazione dell’assegno di mantenimento a favore del mantenimento diretto, la bigenitorialità perfetta, l’introduzione della mediazione familiare obbligatoria, vanno esattamente nella direzione di punire le donne per la loro posizione di presunto privilegio rispetto ai padri. Non vengono chiaramente prese in considerazione le condizioni di disparità economica in cui vivono le donne nel nostro paese, né il fatto che si fanno carico tuttora della gran parte del lavoro di cura dei figli e affrontano un mercato del lavoro che le esclude e le discrimina.
Ma l’allarme è sollevato anche per l’introduzione della PAS (sindrome da alienazione parentale), sempre più utilizzata nei tribunali malgrado non sia riconosciuta dalla comunità scientifica: le donne che denunciano le violenze subite dal marito sempre più spesso vengono allontanate dai figli perché ritenute inadeguate a garantirne la serenità proiettando su di loro la paura e il risentimento verso il partner violento. Un odioso paradosso che espone i minori a ulteriori traumi e pericoli; colpevolizza le donne che si ribellano spingendole a non denunciare e a non separarsi; approfondisce la vittimizzazione secondaria delle donne nei tribunali, luoghi sempre più ostili alle donne.
Del resto il Codice Rosso, appena approvato alla Camera è già un saggio importante della strumentalità con cui il governo lega-5 stelle tratta la violenza di genere. Non è l’inasprimento delle pene infatti a cambiare la sostanza sessista e misogina della cultura e dell’assetto sociale del paese, soprattutto se contemporaneamente si discute di come limitare il divorzio e le tutele per le donne. Non è abbreviando i tempi delle indagini e dei processi per stupro e violenza che si difendono le donne, soprattutto se i tempi di elaborazione del trauma prodotto dalla violenza sessuale, psicologica, domestica vengono ignorati e rivolti contro le donne: se la PAS è esemplificativo come dispositivo ritorsivo, la stessa logica si ripropone nell’imporre per legge l’interrogatorio entro i tre giorni dell’iscrizione del reato per violenza e abuso che sottoporrà le donne a ulteriori rischi anche in tribunale; per chiudere con la beffa dell’allungamento dei tempi per la denuncia di violenza sessuale da 6 mesi a un anno, quando il movimento femminista chiede a gran voce di eliminare il limite di tempo entro cui poter denunciare.
Nel paese in cui l’inchiesta sui bambini della Val d’Enza diventa un’arma politica contro l’opposizione, rischia di passare sotto silenzio la distruzione del diritto di famiglia, della tutela dei minori e dei diritti delle donne, soprattutto se vittime di violenza.
Serena Fredda
23/7/2019 www.dinamopress.it
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