Bombe sui palestinesi

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Intervista a Yousef Salman

A cura di Dianella Pez

Yousef Salman, nato in Palestina, vive a Roma dove ha studiato e dove svolge la professione di Medico pediatra. È presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, per e con cui svolge una intensa attività con instancabile passione e con dedizione verso la sua terra d’origine. È stato Presidente dell’Unione Generale degli Studenti e dell’Unione Generale dei Medici e Farmacisti Palestinesi in Italia, ha fondato l’Associazione medica italo-palestinese ed è delegato della PRCS (Mezza Luna Rossa Palestinese, equivalente alla Croce Rossa) in Italia.

Dianella Pez : Grazie dott. Salman per questa intervista. Da più di un mese il conflitto armato in Ucraina domina le prime pagine dei giornali ed i diversi media, monopolizzando il dibattito politico per le atrocità commesse e per la gravità del confronto diretto tra potenze mondiali, dotate di arsenali nucleari.
Molti Governi hanno riscoperto nel giro di poche ore il linguaggio bellico, trascurando ogni riflessione condotta nei termini di pace, disarmo, rigetto della guerra da sempre espressione della volontà di dominio. Nel contempo silenzio o scarsa attenzione si riservano ai numerosi conflitti armati, che ricadono anch’essi con violenza sulla popolazione civile, in altri luoghi del mondo, dal Medio Oriente all’Africa.
Mi riferisco in particolare a ciò che subisce da più di settant’anni la popolazione Palestinese, ed alle sofferenze dei popoli Yemenita, Siriano, Afghano, nelle cui terre persino gli Ospedali hanno perso lo status di luoghi sicuri, in violazione palese di qualsiasi diritto umanitario. Comincerei da una sua analisi su questi temi.

Yousef Salman : Prima di entrare nel merito vorrei fare una riflessione iniziale: nelle guerre non ci sono vincenti, siamo tutti perdenti. Chi paga il prezzo è sempre la parte più debole della società, bambini e bambine, donne, popolazione anziana o malata: sono anonimi, privati nella loro sofferenza e morte persino dell’identità, dell’essere conosciuti, mentre ben conosciuti sono i nomi di quelli che le guerre le decidono e scatenano. I deboli del mondo vengono puniti due volte, come vittime della società, della mancanza di diritti e servizi, e poi come vittime della guerra. Proprio in queste ore sono intervenuto sui temi della pace all’Università La Sapienza qui a Roma davanti ad una platea di giovani, le prime vittime indirette della situazione mondiale gravissima in cui ci troviamo, vittime perché vedono un presente segnato da atrocità ed un futuro di cui aver paura. Le domande sono sempre le stesse, quelle che vanno al cuore della questione: perché, chi sono i responsabili di quanto sta accadendo, quali le soluzioni?

Non è vero che le soluzioni non ci sono, le abbiamo e sono scritte nelle Carte dei Diritti sancite dalle Nazioni Unite. Chi provoca le guerre sono quei potenti del mondo che si fingono difensori della democrazia mentre nel contempo violano ogni regola anche basilare del vivere civile. Ma sono pochi e compito di tutti e tutte è porre fine ai loro metodi ed a questa guerra che insanguina l’Europa e che la maggioranza assoluta delle persone non vuole. Va impedito che si forniscano soldi ed armi che non fanno che fomentare la guerra.

Noi Palestinesi subiamo la criminale occupazione israeliana da più di 74 anni e non possiamo che essere contrari ad ogni forma di invasione ed occupazione di una Stato da parte di un altro: questa ripulsa fa parte del nostro DNA. Diverso è il DNA dei cosiddetti autoproclamati difensori dei diritti umani, della democrazia, della civiltà: non lo sono affatto perché quando si classificano le persone in base al colore della pelle e degli occhi, al credo religioso o politico si è nemici della pace.

La situazione palestinese è volutamente ignorata da questi difensori e dai media che li sostengono, anche quando le atrocità sono palesi e documentate. I nostri ospedali sono da sempre obiettivi delle forze di occupazione israeliana, la situazione sanitaria è disastrosa ma non per mancanza di professionalità, i cui livelli sono pari a quelli israeliani, bensì perché l’occupazione non risparmia alcun punto nevralgico della vita civile, come scuole, abitazioni ed ospedali.

Durante l’operazione Piombo fuso del 2014 si sono abbattute su Gaza tonnellate di missili, con palazzi di dieci, quindici piani crollati come castelli di carta. I razzi di Hamas sono come fuochi d’artificio in confronto alla potenza bellica scatenata in questa guerra asimmetrica, non condotta tra due eserciti come le guerre alla pari. In quei pochi giorni sono state distrutte dal fuoco dell’esercito israeliano 76 autoambulanze e la comunità internazionale non è intervenuta. Israele è considerato al di sopra delle leggi internazionali, essendo finanziato, armato e protetto dall’impero e dall’imperialismo statunitense, che ha il dominio assoluto sulle ricchezze mondiali.

Chi ha guadagnato dalle prime due guerre mondiali è l’imperialismo USA e così sarà per la terza che sembra prepararsi in territorio, ancora una volta, europeo. Spetta all’ONU trovare le soluzioni, ed all’Europa che ne avrebbe la forza ma manca di coraggio. Arafat ha sempre parlato di ruolo positivo dell’Europa a livello internazionale, di un’Europa forte e concreta, tuttavia ora come allora ancora incapace di pensare e agire in autonomia, fuori dall’ombrello statunitense.

Dianella Pez : Grazie dott. Salman, riprendiamo la questione ospedali, in particolare pediatrici. In questi giorni in cui le cronache ci parlano drammaticamente di ospedali infantili colpiti in Ucraina, ho rivisto un video in cui veniva ripreso un Ospedale pediatrico palestinese colpito da gas lacrimogeni, con piccoli pazienti in fuga trasportati nelle culle o in collo alle infermiere, e la domanda che si è affacciata alla coscienza, come accade nei confronti di ogni ingiustizia è stata, come sempre, perché? Scuole sono state bombardate ripetutamente a Gaza, un Ospedale infantile è stato bombardato nel 2019 a Kitaf nello Yemen, nel 2016 un Ospedale pediatrico in Siria… Perché proprio i luoghi dei bambini, delle bambine, mostrando come qualsiasi confine morale venga ogni volta violato?

Yousef Salman : Incursioni dei soldati israeliani avvengono anche in reparti come Pediatria, Ostetricia e Ginecologia, cioè i luoghi dell’infanzia, della nascita, del femminile. Per renderci conto dei numeri e della crudeltà di questa aggressione, nel 2021 sono stati uccisi dai soldati e dai coloni 76 bambini, e 300 bambini sono tuttora rinchiusi nelle carceri israeliane, dove vengono torturati e stuprati.

Teniamo presente che per gli israeliani sono considerati bambini i palestinesi sotto i 12, a volte 14 anni, mentre l’età sale per i bambini ebrei. Ciò significa che un quattordicenne è considerato un giovane uomo, “pericoloso” quindi a tutti gli effetti.

I dati sull’apartheid e sulle violazioni dei diritti umani da parte israeliana sono contenuti in report effettuati sia da organizzazioni israeliane per la tutela dei diritti umani e per la pace come il Centro studi israeliani contro l’occupazione, che hanno documentato e denunciato le torture, sia da un corposo Rapporto prodotto da Amnesty International, la cui stesura è durata più di tre anni.

Ci sono ovviamente anche ONG palestinesi che si sono occupate di queste violazioni e sei di esse sono state per questo criminalizzate e denunciate, pur essendo riconosciute e finanziate anche dall’Unione Europea. Nonostante tutte queste evidenze, la comunità internazionale non ha reagito. Questo mi fa ritenere che abbiamo perso come esseri umani quando pensiamo che la sofferenza, in particolare quella degli innocenti, possa essere classificata diversamente secondo il luogo in cui si vive.

Penso che, se la Palestina avesse avuto un millesimo dell’attenzione che in un mese ha avuto l’Ucraina, la nostra situazione sarebbe già risolta. Quello che si chiede all’Italia e all’Europa è di essere coerenti.
La soluzione “Due Popoli Due Stati” andrebbe realizzata. Lo Stato di Israele è stato riconosciuto 74 anni fa: per essere coerenti ed uscire dallo stallo dominato da ipocrisia e falsità va riconosciuto lo Stato della Palestina eppure su questo non vi è unanimità, si dice che “tuttora le condizioni non sono ancora mature”. Vi sono 139 Paesi del Mondo (tra cui unico in Europa la Svezia) che riconoscono la Palestina come Stato e votano a favore del popolo palestinese, mentre gli altri o si astengono o votano contro: tra questi pochi ultimi, USA, Israele e paesi legati al loro potere imperiale, ed è proprio questa la ragione per cui Israele si sente libero di comportarsi in modo criminale e di non rispettare alcuna delle ottantatre Risoluzioni a favore della Palestina e contro l’occupazione israeliana che sono state votate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A confronto, Saddam Hussein non ne ha rispettata una e l’Iraq di conseguenza è stato aggredito.

Israele, forte del sostegno USA e del mondo occidentale, non ha mai voluto riconoscere uno Stato Palestinese: Golda Meir, Primo ministro del Governo israeliano del 1969 al 1974, ebbe a dire che Palestinesi e Palestina non sono mai esistiti e che la terra in questione spetta agli ebrei (per diritto divino), è cioè la terra di Israele. Aggiungo che la lotta dei Palestinesi non è mai stata religiosa e che palestinesi ed ebrei hanno vissuto a lungo come fratelli; non tutti gli israeliani sono nemici del popolo palestinese, molti riconoscono al nostro popolo il diritto all’autodeterminazione e ad avere un proprio Stato. È la maggioranza sionista ad avere invece una impostazione razzista e fascista, raccolta attorno all’idea della terra promessa, dovuta. In questo caso, non c’è possibilità di conclusione politica: se ci fosse, ci si confronterebbe, anche con forza, e una soluzione si troverebbe, ma chiamando in causa il Dio degli Ebrei l’impalcatura crolla.

E così si continuano a colpire scuole, ospedali, ambulanze, moschee, impuniti, utilizzando anche armi proibite. Israele ha usato ripetutamente armi al fosforo: Gaza è stata campo di sperimentazione per armi americane eppure mai c’è stata una condanna da un Tribunale Internazionale, come quelle che si chiamano a gran voce per le atrocità in terra ucraina. E l’infanzia palestinese questo vede e subisce.

Dianella Pez : Come abbiamo appena detto, l’infanzia è pesantemente colpita dalle guerre, sempre. Come, quanto, quando e dove lo leggiamo nei report, nelle testimonianze e nelle denunce di organizzazioni come quelle da lei citate e come l’UNICEF, Save the Children, Medici senza frontiere, Mezzaluna Rossa, Emergency. Bambine e bambini fuggono, muoiono, restano feriti o mutilati, spesso soli. Vivono nella quotidianità l’orrore e il terrore delle armi. I Check Point impediscono qualsiasi spostamento, tra cui i ricoveri tempestivi: le donne sono a volte costrette a partorire ai posti di blocco. Lei è stato bambino in Palestina ed ha continuato anche dall’Italia a seguire bambini e bambine che da decenni, nel rinnovarsi delle generazioni, non conoscono altro che guerra. Ce ne può parlare?

Yousef Salman : Il popolo palestinese è un popolo giovane: la politica israeliana mira a deprimere, spaventare, creare disagio psicologico, rendere impossibile sia la vita che un progetto di vita ai palestinesi, senza alcuna remora morale o umana nemmeno nei confronti di bambini e bambine. Spinge ad emigrare con operazioni a tutti i livelli: vi sono accordi con Canada ed Australia, ad esempio, in cui vengono garantiti viaggio, lavoro, cittadinanza ai soli palestinesi, purché lascino la terra in cui sono nati.

Teniamo presente che in Germania risiede più di mezzo milione di Palestinesi, 300.000 in Svezia, e poi molti in Norvegia, in Danimarca. Molte persone sono emigrate in America Latina: in Salvador due nativi palestinesi erano candidati alle presidenziali. Come si vive in Palestina? Le ambulanze spesso vengono fermate, si arresta nelle ambulanze stesse, negli ospedali. Ogni notte vi sono israeliani che entrano nei villaggi e arrestano qualcuno, e vi sono scontri quotidiani.

Sono stati sradicati più di 1.300.000 alberi di ulivo che sono la fonte di vita, una delle poche ricchezze del popolo palestinese; i coloni avanzano. In questi giorni due moschee sono state attaccate. La macchina sionista propagandista e la stampa internazionale poco ne parlano, per evitare di avvicinare questa situazione a quella russo-ucraina e denunciare quindi di conseguenza anche questa occupazione e i crimini israeliani.

La mia esperienza è quella di un bambino nato in Palestina e lì vissuto fino a sette anni e mezzo. Appena un palestinese apre gli occhi al mattino vede un soldato israeliano, o un fucile puntato, o un carro armato. Poi si trova davanti un posto di blocco, un filo spinato o vede suo padre arrestato o ucciso (vi sono 750 posti di blocco nella sola Cisgiordania). Credo che i bambini che hanno visto questo siano degli Angeli. Si vedono crimini continui: pensate che una giovane ragazza palestinese è stata uccisa da un’altra giovane, ma americana, andata in Israele per il servizio militare con la scelta di mettersi a disposizione da giovane ebrea per la causa israeliana, come fanno migliaia di ragazzi e ragazze ebrei da tutta Europa, francesi, inglesi, tedeschi, ucraini, italiani. Tutto questo è frutto della propaganda diffusa. Quando vedo questa gioventù penso che stiamo perdendo la nostra umanità, il nostro futuro.

Dianella Pez : Tornerei alla questione posta all’inizio, al fatto che ci sia in Europa un conflitto che pare riguardarci più di altri, i cui teatri sono la Palestina, l’Afghanistan, lo Yemen, la Libia, la Nigeria…: perché più vicino, perché si minaccia lo scontro nucleare. Anche fosse così, perché questa diversità dovrebbe riguardare le persone che fuggono? Perché un popolo viene giustamente accolto a braccia aperte mentre altre famiglie, altri bambini e bambine, vengono invece respinti, rimandati nell’orrore dei fili spinati lungo la rotta balcanica contrassegnata dall’inferno dei respingimenti tra le frontiere della ex Yugoslavia (complice l’Italia), o nella fascia di morte tra Polonia e Bielorussia? Per non dire dei corpi anche bambini raccolti una volta spiaggiati o di quelli, anonimi, sepolti nei fondali del mare Mediterraneo. Perché l’orrore unanime suscitato dall’attacco all’Ospedale pediatrico ucraino non è lo stesso degli altri Ospedali di cui abbiamo appena detto? Perché gli attori internazionali e le cosiddette democrazie europee si arrogano l’arbitrio di scegliere chi siano i sommersi e chi i salvati? A cosa e come opporsi e chi lasciar morire?

Yousef Salman : E’ così, viviamo in una grande ipocrisia. Sulla rotta balcanica tutto è come prima, nel Mar Mediterraneo anche in questi giorni si muore, eppure contemporaneamente tutti i Paesi fanno a gara per accogliere la popolazione ucraina, andandola a prendere anche nella propria terra. La differenza di trattamento viene censurata, e l’Europa scivola nella smemoratezza della sua stessa civiltà. Rilevare questa discriminazione è quasi impossibile, pena l’accusa di complicità. Mi chiedo dove siano finiti i principi europei di Liberté Egalité Fraternité.

Siamo in presenza di una forma di dittatura: ogni essere umano va difeso così come va difesa la libertà d’opinione. Questa è l’arroganza dell’impero che decide sia sulla morale sia su chi ha torto o ragione, e su chi ha diritto di esprimere un giudizio e chi no. Il fenomeno migratorio è figlio dell’imperialismo e del colonialismo e così le guerre, compresa quella in Ucraina.

Sono guerre dello sfruttamento, guerre per il dominio, per garantirsi zone di influenza, risorse, mercati (in particolare quello delle armi), tutto ciò sui corpi di tutte le vittime innocenti. Da qui nasce anche la differenza di trattamento. Nel caso della Palestina, si tenga presente che Israele è un progetto dell’Impero, prima della Seconda Guerra Mondiale di quello britannico, che ha scelto per Israele proprio la terra all’incrocio di tre continenti (Asia, Africa, Europa) per il suo commercio coloniale e per i suoi progetti imperialisti, colonialisti, capitalisti, poi di quello statunitense, che foraggia ampiamente Israele regalandogli l’impunità di cui abbiamo detto: fra le altre cose Israele riceve annualmente a fondo perduto più di quattro miliardi di dollari dagli USA. Israele è quindi il bastone posto sul capo dell’intero mondo arabo da parte degli USA: impossibile alzare la testa, si vedano Libano, Siria, Iraq, Yemen e i diversi conflitti mediorientali.

Dianella Pez : Dott. Salman, grazie infinite. Le vorrei porre a conclusione due domande sul suo lavoro, che interpellano le ragioni del nostro agire nel mondo. La prima: che compiti si assume la comunità palestinese romana e laziale, di cui lei è riferimento, per promuovere e diffondere la conoscenza della storia, della cultura, della lotta di un popolo che vive in una situazione di apartheid come quello palestinese? La seconda, forse personale ma non retorica, bensì solo semplicemente umana: qual è stata la spinta, da giovane medico, a scegliere la strada della pediatria?

Yousef Salman : La comunità palestinese è una delle più antiche in Italia ed è diffusa in tutti i paesi d’Europa, dove è attiva e rispettata. Siamo orgogliosi di essere in Italia, dove abbiamo studiato perché la nostra esperienza ci ha fatto capire l’importanza dell’istruzione, della cultura, della conoscenza. Questo Paese ci ha dato molto: siamo legati al popolo italiano ed alle forze politiche e sindacali democratiche e progressiste nelle cui attività spesso siamo impegnati. Affrontiamo nel dibattito la sofferenza del nostro popolo ma anche la sofferenza degli Ebrei, la Shoah, l’Olocausto. Crediamo che la lotta di un popolo per la libertà e la giustizia non sia mai stata sconfitta, nella convinzione profonda che non esista pace senza giustizia, come non esista giustizia senza diritti.

Desideriamo una terra, una casa, un passaporto, una bandiera, la libertà di muoverci, studiare, vivere in pace con tutti ed è per questo che la nostra lotta è sia per i nostri figli e figlie che per i figli e le figlie del popolo d’Israele. Il mare che ci unisce, il Mediterraneo, è un mare di conflitto, tensione, sofferenza, morte, sia per le popolazioni che vivono lungo le sue coste sia per chi prova ad attraversarlo in cerca di speranza: deve diventare un mare di pace, di solidarietà, un mare di tutti. Da uomo e da medico nutro questa fiducia. Molti medici palestinesi sono pediatri come me, perché, come dicevo, siamo un popolo giovane ed i bambini e le bambine per noi sono sacri, fanno parte del nostro essere profondo.

Noi siamo innamorati dei bambini e del loro futuro. Nel 1972, preparando i documenti per venire qui in Italia, ho scelto subito di studiare Medicina e Pediatria e, pur avendo vinto altre specialità, ho scelto questa. Ho molti pazienti tra cui mi divido, tra i quali parecchi ROM e bambini e bambine di ogni credo, colore, provenienza, che vivono dei Centri di accoglienza. Qualche volta loro mi chiedono quale sia la mia religione: rispondo che la mia religione è il rispetto.

A cura di Dianella Pez per Lavoro e Salute

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