Bonus psicologi. La vera posta in gioco è tra un mercato libero della psicologia o un grande piano pubblico per le cure psicologiche
Il ritorno, preannunciato, dell’introduzione del cosiddetto bonus psicologi richiede un contributo di chiarezza. Proverò a proporre il mio perché in gioco non c’è solo lo stanziamento di denaro pubblico, né le opportunità di lavoro per migliaia di psicologi ma anche, e soprattutto l’immagine pubblica e sociale dell’aiuto psicologico e della finalità della cura psicoterapica.
Alcuni argomenti sono stati ampiamente esposti nel vivace dibattito seguito alla prima bocciatura dell’emendamento bonus. Non ripeterò pertanto le critiche alla transitorietà di una misura che poco si confà alla psicoterapia né gli inviti a non confondere psicologi e psicoterapeuti autorizzati da una legge dello stato a fregiarsi di tale titolo professionale grazie a un corso di specializzazione.
La questione di fondo è di natura politica. Se l’obiettivo di questo provvedimento è il benessere psichico degli italiani, la cui precarietà è risultata visibile attraverso la pandemia da Covid, la scelta dei decisori non può essere ambigua. O si aprono le porte di un mercato libero dei curatori di anime per cui la scelta del professionista privato è legata a meccanismi che seguono le leggi della concorrenza, con l’unico vincolo dell’importo a disposizione dei cittadini per pagarlo/a (se va bene subordinato all’ISEE); oppure lo stato si fa carico di un piano organico di valorizzazione delle cure psicologiche e psicoterapiche sia ripristinando l’operatività reale della rete di servizi pubblici esistente, sia inventando nuove forme di collaborazione con il privato e nuove declinazioni della progettazione congiunta con il privato sociale.
Non si tratta di rievocare l’argomento consunto di una legge 180 mai realizzata fino in fondo nel suo dettato né di fantasticare il ripristino di condizioni che appartengono a una stagione diversamente sostenibile della spesa sanitaria (e sappiamo a quali costi). Piuttosto si chiede di mantenere la coerenza ai princìpi di un Welfare che, sin qui, nessuno ha avuto il coraggio di smantellare apertamente ma che è stato piegato via via dalle autonomie regionali e dalla diffusione di una malintesa filosofia prestazionale, figlia del mercato.
È quindi necessario ridare centralità a un servizio pubblico che, anche indirettamente, orienti gli interventi, li indirizzi verso la salute delle persone e delle comunità sfidate e messe a dura prova dalla pandemia, spesso in difficoltà ben prima di questa ma che con questa e i suoi effetti si sono dovute cimentare.
Proviamo ad immaginare che, al posto del bonus spendibile per qualche seduta presso uno studio di cure psicologiche dove opera un professionista sulle cui competenze non possiamo che fidarci sulla parola, il governo varasse con strumenti diversi un grande piano per la salute mentale degli italiani che comprendesse:
a) il rilancio della rete pubblica di servizi di salute mentale, di neuropsichiatria infantile, dei consultori, per la selezione e il trattamento di situazioni di conclamata rilevanza clinica;
b) il coinvolgimento di psicologi clinici, anche quelli che non hanno ancora terminato la specializzazione in psicoterapia, presso le istituende Case di Comunità pensate come una prima porta di accesso ai servizi sanitari con il mandato di ascoltare la domanda proveniente dai cittadini, interpretarla, intercettarne i bisogni e offrire risposte dirette o indirette, inviando presso i servizi specialistici, attivando interventi di psicologia di comunità nelle istituzioni, comprese quelle per anziani che nel frattempo andrebbero convertite in luoghi di abitare supportato non pletorici come le attuali RSA;
c) il rilancio della psicologia scolastica in cui altri psicologi clinici formati possano ascoltare e sostenere non solo i giovani alunni ma anche i loro insegnanti, spesso in difficoltà (si pensi al fenomeno bullismo che richiede interventi non individuali che hanno dato risultati stupefacenti in Francia o in Svezia, ad es.);
d) l’invio su richiesta e indicazione dei servizi pubblici di persone, famiglie, gruppi a psicoterapeuti appartenenti a scuole di psicoterapia, specializzati o specializzandi opportunamente supervisionati, o a cooperative e associazioni del terzo settore che operano nel campo della psicoterapia socialmente accessibile;
e) l’impiego a progetto negli ospedali di psicologi formati per supportare pazienti, familiari e operatori, sottoposti a stimoli emotivi insostenibili se non a prezzo di disagi, reazioni emotive e comportamentali incontrollabili, insomma di livelli di sofferenza eccessivi che se elaborati potrebbero essere superati e fare anzi da lezione per il futuro.
L’argomento della formazione, evocato più volte, è un riferimento cardine irrinunciabile per garantire la qualità delle prestazioni richieste. Si realizzerebbero a quel punto interventi di vario tipo e non consulenze a termine con il possibile ‘ricatto’ dell’interruzione o della prosecuzione privatistica a scadenza del bonus. Uno scenario del genere potrebbe avere una prima fase di avvio in emergenza, sotto la spinta dei bisogni e delle richieste della pubblica opinione, per poi assicurare interventi strutturali e strutturati che vadano in una direzione coerente con le finalità prima esposte.
In questo modo si offrirebbero grandi opportunità di lavoro per i tanti laureati in psicologia, si preserverebbe la qualità e serietà del lavoro psicoterapico affidato a persone specializzate, si aprirebbero le porte da troppo tempo sprangate della rete di servizi pubblici territoriali. Una risposta governata a bisogni, diffusi quanto spesso informi, che vanno decodificati prima di ricevere risposte troppo meccaniche e tecnicistiche. Un grande progetto di accessibilità diffusa all’ascolto e alla sospensione dei comportamenti irriflessi; un vero piano di democratizzazione e di accessibilità delle cure psicologiche.
Infine, un investimento oculato e non uno sperpero episodico di denaro che comporterebbe la liberalizzazione selvaggia di una professione così delicata. Mi accorgo che l’uso del condizionale rende aleatorio quanto affermato: una lista di desideri.
La politica, tuttavia, ha la possibilità di guardare lontano, di andare oltre gli opportunismi e le contingenze del momento, di rendere concreto quanto necessario, declinare al presente quanto potrebbe appartenere a un lontano, irraggiungibile futuro. Ad essa è dunque legittimo guardare con fiducia.
Antonello d’Elia
Presidente di Psichiatria Democratica
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