Brevetti criminali
ra che il velo sugli impatti della pandemia di Covid-19 rispetto alla nostra comprensione iniziale molto limitata sta iniziando a sollevarsi, stiamo scoprendo anche come, lungi dal considerare tutta l’umanità «sulla stessa barca», le aziende farmaceutiche e le loro lobby considerino questo disastro un’occasione d’oro. Le lotte feroci degli ultimi due mesi tra gli Stati uniti e i paesi membri dell’Unione europea sull’accesso a test, ventilatori e dispositivi di protezione individuale non sono nulla in confronto alla rissa globale che si delinea a proposito dei brevetti dei farmaci, diagnostici e vaccini, anche prima che vengano identificati.
Abbiamo sentito parlare di governi che acquistano farmaci considerati efficaci contro il Covid-19 generandone la carenza in tutto il mondo, di ordini improvvisamente spariti e successivamente trovati per essere reindirizzati a un acquirente più ricco, di priorità nella distribuzione basata sulla possibilità di pagare piuttosto che sulla necessità, e del profitto che fa salire il prezzo di mascherine, guanti e disinfettante per le mani. Ma tutto ciò è destinato a scomparire di fronte al cinismo che deriva dai brevetti e del profitto sui farmaci per il Covid-19 e i potenziali vaccini.
Trattamento Vip
A marzo, la ditta farmaceutica Gilead ha cercato di estendere il monopolio dei suoi brevetti su un trattamento potenziale per il Coronavirus, il Remdesivir, e ha fatto marcia indietro solo di fronte all’indignazione generale. Ma è ancora probabile che per il farmaco ogni paziente debba pagare 4 mila dollari, anche se il costo è di circa 9 dollari.
Questo mese, abbiamo visto Paul Hudso, amministratore delegato britannico del colosso farmaceutico francese Sanofi, dichiarare che il governo degli Stati uniti avrebbe avuto accesso per primo a qualsiasi vaccino perché aveva contribuito con la maggior parte dei finanziamenti, contropartita richiesta da Washington. La Commissione europea ha risposto affermando che l’impresa aveva ricevuto decine di milioni di finanziamenti pubblici nazionali, mentre la stampa tedesca ha dichiarato la società «senz’anima» e «sleale» per il fatto di voler costringere i governi a elargire finanziamenti ulteriori. Un furioso Emmanuel Macron ha convocato Hudson al Palazzo dell’Eliseo per chiedere spiegazioni, e il leader francese normalmente a favore del libero mercato ha insistito affinché qualsiasi vaccino fosse prodotto come «bene pubblico per il mondo, non soggetto alle leggi del mercato». Sanofi si è rapidamente rimangiata le sue dichiarazioni, e il suo presidente ha poi assicurato che nessun paese avrebbe avuto un accesso preferenziale.
Questa è la seconda volta che l’amministrazione Trump è stata colta sul fatto mentre cercava di accaparrarsi terapie. A marzo, si è venuto a sapere che il governo degli Stati uniti aveva offerto ingenti somme di denaro a una società tedesca, CureVac, al fine di trasferire la sua divisione di ricerca negli States e sviluppare il vaccino «solo per gli Stati Uniti». Berlino ha denunciato la mossa e offerto incentivi per garantire che l’impresa rimanga in Germania.
Nel frattempo, Pascal Soriot, Ceo di AstraZeneca, ha affermato che il Regno Unito avrà la priorità per i frutti delle sue attività di ricerca Covid-19. Ma Gilead, Sanofi, AstraZeneca e Washington non sono gli unici personaggi negativi di questa storia. A maggio, diplomatici del Regno Unito, della Svizzera, del Giappone e di altri paesi con importanti settori farmaceutici si sono messi insieme agli Stati uniti nel tentativo di metter mano a una risoluzione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che faceva riferimento al diritto dei paesi di ignorare i brevetti durante le emergenze sanitarie. Che le singole nazioni sgomitino per trovarsi in prima fila per accedere alle terapie Covid-19 è grottesco, ma lavorare per impedire l’accesso a quelle meno abbienti è ancora più mefistofelico.
Irregolare e non necessario
È una storia che conosciamo. A metà degli anni Novanta, dopo che i decessi per Hiv/Aids avevano raggiunto il picco e iniziavano a diminuire nel mondo sviluppato grazie alla scoperta di medicinali antiretrovirali (Arv), l’epidemia di Aids ha continuato a paralizzare il Sudafrica principalmente a causa dell’elevato costo dei farmaci: circa diecimila dollari all’anno per paziente. La nuova democrazia sudafricana aveva minacciato di produrre o importare farmaci generici per combattere la malattia, ma l’industria farmaceutica si oppose fermamente e l’amministrazione Clinton, la cui politica sanitaria era all’epoca supervisionata da Hillary Clinton, minacciò Pretoria con sanzioni commerciali.
Nel 2001, tuttavia, dopo anni di campagne elettorali da parte di soggetti come il South Africa’s Treatment Action Group, un’organizzazione militante e attivista per la ricerca sull’Aids, e di negoziati con i paesi in via di sviluppo, il Global South è finalmente riuscito a ottenere un emendamento all’Accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Trips), la Dichiarazione di Doha, che ha chiarito che i governi non devono rispettare le protezioni della proprietà intellettuale durante le emergenze di salute pubblica.
Le grandi aziende farmaceutiche non hanno mandato giù questa sconfitta. Nel corso degli anni, in particolare gli Stati uniti hanno tentato di limitare il numero di medicinali coperti dalla Dichiarazione, mentre la maggior parte dei paesi in via di sviluppo ha insistito sul fatto che tutti i farmaci dovessero essere considerati tra quelli. L’Unione europea si è posizionata da qualche parte nel mezzo, suggerendo un lungo – ma ancora finito – elenco di farmaci riconosciuti dalla Dichiarazione di Doha. E ora, nelle ultime settimane, diplomatici di paesi con importanti settori farmaceutici hanno insistito per eliminare qualsiasi riferimento alla Dichiarazione di Doha in una risoluzione sul Covid-19 all’Assemblea mondiale della sanità, l’organo decisionale dell’Oms.
Dal canto suo, la Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche (Ifpma) e i suoi sherpa hanno sostenuto che le aziende hanno bisogno dei brevetti per recuperare gli investimenti in ricerca terapeutica, sviluppo e produzione. Il modello di business del settore richiede prezzi elevati nei paesi sviluppati per un certo numero di anni prima di essere disposto a sostenere la produzione di versioni generiche a basso costo. «Non abbiamo mai avuto bisogno di innovazione così tanto come ora, e questo è probabilmente il momento peggiore possibile per affievolire la proprietà intellettuale», ha affermato l’associazione di categoria. Secondo loro è auspicabile un equo accesso a farmaci e vaccini, ma dovrebbe avvenire essenzialmente attraverso la carità, la donazione e le partnership del governo.
La risoluzione dell’Assemblea mondiale della sanità, che era stata sponsorizzata dall’Unione europea, alla fine ha fatto riferimento a Doha, ha riconosciuto che i farmaci e i test per i vaccini sul Covid-19 sono un «bene pubblico globale» e ha auspicato la creazione di un fondo di brevetti comuni volontario per supportare l’accesso equo e conveniente alle cure. Gli Stati uniti non hanno votato contro la risoluzione, ma hanno immediatamente preso le distanze dal documento affermando che questo «manda il messaggio sbagliato agli scienziati che saranno essenziali per le soluzioni di cui il mondo intero ha bisogno».
Cogliendo l’occasione per mostrare che la Cina è impegnata nel Commonwealth globale in contrasto con il suo rivale statunitense, il presidente Xi Jinping ha immediatamente dichiarato che i vaccini che sta sviluppando «saranno trattati come un bene pubblico». Ma le Ong per lo sviluppo e la medicina come Oxfam International e Médecins Sans Frontiers (Msf) si sono affrettate a ricordare che il passaggio della risoluzione, sebbene rappresenti una vittoria, ha molti difetti. Vergognosamente, non richiede alle aziende farmaceutiche di mettere in comune i loro brevetti, il che avrebbe permesso a chiunque potesse di produrre copie generiche di terapie. Non vi è inoltre alcuna garanzia che eventuali farmaci, vaccini o test saranno forniti a chiunque ne abbia bisogno, indipendentemente dalla capacità di pagamento.
Non si tratta semplicemente di una questione di giustizia nei confronti di coloro che non possono permettersi un trattamento; tale restrizione di accesso basata sul mercato incoraggia la diffusione di questa malattia infettiva in quanto coloro che non sono in grado di pagare – e i miliardi più poveri del pianeta sono tra loro – continueranno a diffondere il virus. Vale a dire che l’accesso universale e gratuito è nell’interesse di tutta l’umanità, anche dei ricchi.
Di conseguenza, queste organizzazioni vogliono vedere un approccio in due fasi: un fondo comune di brevetti obbligatorio per consentire la collaborazione internazionale, la condivisione delle conoscenze e uno sportello unico per i produttori generici; e ciò che viene chiamato licenza obbligatoria a livello nazionale.
In base alla licenza obbligatoria, un governo autorizza l’uso della proprietà intellettuale senza la necessità di chiedere il consenso del proprietario del brevetto e paga al titolare dei diritti una commissione stabilita dalla legge o da qualche altro ente pubblico invece di negoziare sul mercato tra acquirente e venditore. Molti paesi, tra cui Canada, Germania, Israele, Cile ed Ecuador, hanno già approvato la legislazione o le risoluzioni sulle licenze obbligatorie in relazione a qualsiasi terapia Covid-19. Il Costa Rica si è fatto promotore della richiesta che l’Oms istituisca un fondo comune volontario di brevetti, potenzialmente mediante il gruppo attuale, l’Mpp, sostenuto dalle Nazioni unite e istituito nel 2010 per espandere l’accesso alla tubercolosi, all’Hiv e alle terapie dell’epatite. L’Mpp negozia accordi sui brevetti con aziende farmaceutiche per consentire un maggiore accesso ai produttori generici. L’estensione di questo sistema al Covid-19 dovrebbe rendere più semplice per i produttori generici anche la fabbricazione di questi nuovi farmaci e vaccini a un costo inferiore rispetto a quelli che ci sarebbero se si dovesse acquistare presso ciascun proprietario del brevetto.
Ma è fondamentale capire che un sistema basato sull’adesione volontaria, al momento forse il massimo cui possiamo sperare, offre un’alternativa alla licenza obbligatoria. Persino coloro che sono in prima linea nel lavorare per estendere l’accesso a farmaci, test e vaccini, come il presidente dell’Mpp, Marie-Paule Kieny (che è anche consigliera speciale sul Covid-19 del presidente francese Emmanuel Macron) e il direttore dell’Mpp Charles Gore, ritengono che in questo momento cruciale sia essenziale evitare qualsiasi brevetto in grado di inibire lo sviluppo del prodotto. Senza l’istituzione urgente di un piano generale globale volontario, sostengono Kieny e Gore, «la situazione potrebbe rapidamente trasformarsi in una mischia competitiva, litigiosa, paese per paese, per gli interventi, in cui alcune regioni emergono come vincenti ma la maggior parte delle altre saranno perdenti, e con conseguenze mortali». Come per la produzione di farmaci generici per l’Hiv/Aids, alcuni paesi sono stati in grado di resistere alle intimidazioni statunitensi e occidentali mentre altri no, e le loro popolazioni hanno sofferto le conseguenze.
Le regole del gioco
Prathiba Singh, giudice presso l’Alta corte di Delhi, civilista che si occupa di proprietà intellettuale e uno degli autori della legislazione indiana in materia, fa un ragionamento simile. Scrivendo su The Hindu, teme che senza un fondo comune di brevetti delle Nazioni unite affidabile e volontario, dal momento che i titolari di brevetti creeranno barriere all’uso della loro proprietà intellettuale sulla base dei diritti di brevetto, c’è il rischio che «il mondo inizi a disprezzare i brevetti» e insisterà con l’obbligo di licenza.
Singh, sostenitrice della protezione della proprietà intellettuale, sostiene che una corsa alle licenze obbligatorie o persino l’acquisizione da parte dello stato inibirebbe l’innovazione in un momento in cui ne abbiamo più bisogno che mai. «Per proteggere la santità e l’integrità dei sistemi di brevetto e per garantire che il clima contro la proprietà intellettuale non si diffonda a livello globale», dice, un fondo di brevetti comune coordinato dall’Oms è l’opzione migliore. Ricorda alle aziende farmaceutiche che è probabile che guadagnino miliardi sotto questo regime. Dopotutto, sette miliardi di persone sono il più grande mercato che ci sia mai stato per qualsiasi prodotto.
Ma tutto ciò è essenzialmente un’ammissione di sconfitta, nata dalla convinzione che l’innovazione avvenga solo attraverso il mercato. Come dice Singh, lo scopo di creare diritti di proprietà intellettuale è per il bene comune. La contropartita della proprietà intellettuale sarebbe che in cambio dei costi dell’innovazione, le imprese ottengano un monopolio a tempo limitato sulla loro scoperta o invenzione. Tuttavia, come ha dimostrato l’economista Mariana Mazzucato nelle sue indagini sulla politica e sull’economia dell’innovazione, gli attori del mercato tendono a detestare di spendere risorse per la ricerca fondamentale, che in genere offre un ritorno sugli investimenti sconosciuto. La maggior parte dell’innovazione nella maggioranza dei settori nell’ultimo mezzo secolo, dalla telefonia mobile e alla miniaturizzazione dei computer alla biotecnologia e all’energia pulita, è stata sviluppata nei laboratori governativi o universitari o attraverso i rischi condivisi dal settore pubblico. Un rapporto del 2015 dell’Istituto per la salute e la politica socio-economica della California ha rilevato che delle prime 100 aziende farmaceutiche, 64 hanno speso il doppio in marketing e vendite rispetto a ricerca e sviluppo (R&S), 58 aziende il triplo, 43 cinque volte tanto e 27 dieci volte.
Di fronte alla prima pandemia del mondo globalizzato, al momento non abbiamo tempo per decompattare completamente il settore farmaceutico. Quindi forse un pacchetto di brevetti volontario è il meglio che possiamo sperare in questo momento. Ma a lungo termine, mentre veniamo fuori da questa pandemia, dovremmo respingere l’idea che la scoperta e la produzione farmaceutiche debbano essere condotte sul mercato. Proprio come molti paesi riconoscono che l’assistenza sanitaria è troppo importante per essere lasciata ai capricci del modo capitalista di allocazione delle risorse, bisogna sottrarre il settore farmaceutico alla concorrenza. Del resto il settore pubblico si carica della maggior parte del lavoro in questo campo.
Altrettanto importante è iniziare a riconoscere che la cattiveria di Gilead, Sanofi, AstraZeneca, della Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche è semplicemente il modo in cui funzionano i mercati. I diplomatici degli Stati uniti, del Regno Unito e della Svizzera non si sbagliano quando affermano che le aziende farmaceutiche hanno bisogno di brevetti per far pagare prezzi sufficientemente alti per recuperare costi e realizzare un profitto. Non è colpa della «concorrenza spietata», come suggerito in una lettera aperta piena di buone intenzioni firmata da circa 140 ex o attuali leader mondiali che chiedono un «vaccino popolare» a basso costo, non coperto da brevetto e gratuito in caso di di necessità. Non si tratta di «capitalismo delle corporation», poiché le piccole imprese sono altrettanto legate a questo sistema. Tutte le imprese, grandi e piccole, di proprietà di privati, azionisti, lavoratori o consumatori (nel caso di cooperative) sono regolate dallo stesso requisito per proteggere i loro profitti o saranno soggette a perdite. Pertanto, i diplomatici, i lobbisti o i dirigenti farmaceutici non sono criminali antiumanisti né sono semplicemente prigionieri degli imperativi ciechi del mercato, ma del sistema di mercato stesso.
All’epoca in cui le aziende prendevano le loro decisioni in merito alla strategia di protezione dei brevetti legati al Covid-19, la proiezione dei decessi in assenza di interventi alla fine di quest’anno ammontava a quaranta milioni, secondo quanto stimato il 26 marzo scorso sul Covid-19 dell’Imperial College di Londra. Circa quindici milioni di questi decessi sarebbero stati nel Sud del mondo, circa due milioni e mezzo nell’Africa sub-sahariana e poco più di tre milioni in America Latina e nei Caraibi. Si tratta del famigerato rapporto che ha fatto mettere in lockdown tutti, del documento che, insieme alle riprese strazianti delle unità di terapia intensiva italiane piene di pazienti che morivano soli e spaventati, ha suscitato un terrore così profondo e risposte senza precedenti. Un paio di mesi dopo, mentre sappiamo qualcosa di più sulla malattia, l’entità della minaccia si è in qualche modo attenuata e le aziende farmaceutiche litigano per le minacce ai brevetti del mix di farmaci sperimentali, della diagnostica e dei vaccini per il Covid-19, varrebbe la pena ricordare quel terrore e quei numeri.
Calcolo morale
Naturalmente, ci sono stati interventi e sappiamo molto di più sul virus, sulla malattia che causa e su quali interventi medici e sociali stanno funzionando meglio per ridurre la trasmissione e prevenire gli esiti peggiori. Nel mondo in via di sviluppo, un certo numero di nazioni ha avuto un notevole successo nell’appiattimento della curva dei contagi. Avendo avuto un vantaggio temporale, molte nazioni africane si sono impegnate nella pianificazione della pandemia e hanno imposto molto prima dei paesi ricchi misure di distanziamento sociale (con differenti livelli di restrizione alla libertà di movimento e di associazione). E alcuni dei paesi in via di sviluppo come il Senegal, l’Etiopia e il Ghana potrebbero persino considerarsi tra le nazioni di primo livello quanto a tracciamento dei contatti e tecniche di sperimentazione innovative e a basso costo e per l’impegno a fornire assistenza sanitaria indipendentemente dalle possibilità economiche. Sembra anche che la relativa mancanza di infrastrutture stradali in molte parti dell’Africa – che in altri momenti ha costituito una barriera frustrante allo sviluppo economico per le restrizioni a viaggi e commercio – ai tempi del Covid-19 abbia limitato anche la trasmissione della malattia. Ciononostante, molti paesi del Sud del mondo si stanno comportando molto meno bene di Etiopia e Senegal.
Al momento in cui scriviamo, paesi come Tanzania, Nigeria e Somalia in Africa e Brasile, Ecuador, Perù e Cile in Sud America sono stati colpiti in modo particolarmente grave. Il 20 maggio, il numero di nuovi casi quotidiani in America latina ha superato gli Stati uniti e l’Europa. Il tasso di positività al test è del 91% in Algeria e dell’87% in Sudan, il che significa che è molto probabile che un gran numero di casi non venga riconosciuto: ciò che l’Economist ha battezzato «focolai fantasma». Il fatto che medici e operatori cimiteriali di metropoli africane come Kano, in Nigeria, e Mogadiscio, in Somalia, riferiscono di essere stati sopraffatti da infezioni e sepolture, fa pensare che gli impatti in queste regioni siano molto più grandi di quelli dettagliati nei casi ufficiali e nei rapporti sulla mortalità. La Tanzania ha smesso di diffondere i dati tre settimane fa, dopo un picco di contagi.
È una situazione confusa. La scorsa settimana, l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubbilcato nuove proiezioni per i risultati nell’Africa sub-sahariana utilizzando un modello che per la prima volta ha tenuto conto di questo tipo di specificità della regione, tra cui la scarsa infrastruttura stradale e il profilo demografico più giovane del continente. Esiste in realtà un rischio inferiore di esposizione e trasmissione in gran parte dell’Africa rispetto a quanto accade nel mondo sviluppato. Ora, con una maggiore comprensione dell’epidemiologia rispetto a poche settimane fa, il rapporto dell’Oms è molto più ottimista dei primi avvertimenti dell’Imperial College. Tuttavia, i numeri rimangono preoccupanti. Anche tenendo conto delle terapie, i nuovi numeri dell’Oms dicono che un quarto di miliardo di africani rischia di essere infettato quest’anno, e probabilmente 190 mila moriranno. E questo solo nel 2020. Il virus è qui per restare finché non abbiamo un vaccino. E mentre la trasmissione è inferiore rispetto al Nord del mondo, la capacità di assistenza sanitaria è limitata e presenta rischi molto maggiori di essere sopraffatta. Gli effetti a catena della malattia su altre malattie come l’Hiv/Aids, la tubercolosi e la malaria potrebbero raddoppiare le cifre. E stiamo imparando che chi sopravvive a questo virus non sta come chi è guarito da un raffreddore comune o da un’influenza stagionale, indipendentemente da quale regione del mondo consideriamo. Nella sua marcia furiosa attraverso il corpo, il virus non solo è in grado di infliggere profondi danni potenzialmente a lungo termine o permanenti ai polmoni, ma può causare anche insufficienza epatica e renale, ictus, convulsioni, lesioni neurologiche, coaguli di sangue e attacchi di cuore. Circa 44 milioni di africani sono ancora esposti ai sintomi che possono produrre qualsiasi cosa, da un paio di settimane di raffreddore a condizioni polmonari croniche al danno cerebrale.
Non ci saranno 40 milioni di morti, come nelle proiezioni peggiori originali. Ma i presunti detentori di brevetti Covid-19, quando prendevano le loro decisioni, sapevano che potevano morire fino a 40 milioni, e continuavano a spingersi in avanti per proteggere la loro proprietà intellettuale. E in ogni caso, al momento della stesura di questo documento sono già stati registrati 350 mila decessi e 5,5 milioni di infetti. Ogni sforzo per superare le protezioni dei brevetti ridurrà il numero di morti e infetti e ogni sforzo per difenderli aumenterà quei numeri.
In termini di calcolo morale anche se non (ancora) nell’esito, in che modo tutto ciò si distingue da alcuni dei peggiori crimini contro l’umanità del ventesimo secolo, l’Holodomor ucraino o la grande carestia cinese, quando il crimine non consisteva nel decidere di uccidere deliberatamente milioni di persone come nell’Olocausto o nel genocidio in Ruanda, ma piuttosto risiedeva nel fatto che i decisori sapevano che milioni rischiavano morire a causa delle loro politiche?
Confronti del genere non vengono lanciati senza pensarci, ma deliberatamente, con lucidità e consapevoli della loro risonanza, dal momento che in quei primi giorni l’etica delle decisioni prese da tali aziende deve essere stata valutata con la piena consapevolezza di quante persone sarebbero potute morire. Ora che le proiezioni sono molto più basse ma ancora terribili, continuano ad agire allo stesso modo, sempre nella consapevolezza di quali potrebbero essere le conseguenze delle loro azioni. E ancora, e ancora, e ancora non avevano altra scelta che fare quello che fanno. Il mandante di questi crimini non è un amministratore delegato di Big Pharma, ma il mercato.
Leigh Phillips
10/6/2020 https://jacobinitalia.it
*Leigh Phillips è giornalista, si occupa di scienza e di questioni legate all’Unione europea. Ha scritto Austerity Ecology & the Collapse-Porn Addicts (Zero Books, 2015). Lavora per Nature, the Guardian, the Daily Telegraph, New Statesman, Scientific American. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.FacebookTwitterPinterestEmail
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