Bufale, soffiate e pizzini
Il protrarsi della crisi sta sconvolgendo l’umanità portandola in un vortice di conflitti economici e militari di cui non si vede via d’uscita. Gli attentati sono quasi all’ordine del giorno e lo stato di tensione coinvolge ogni campo dell’attività umana. In questa situazione l’agitazione e la propaganda divengono fondamentali per tutte le parti in conflitto. Per quanto riguarda la prima, la diffusione di internet mette in crisi la forma classica di controllo dell’informazione basata sulla censura operata dai padroni dai mass-media tradizionali (giornali e radio-televisioni) consentendo a voci silenziate, marginalizzate o semplicemente distanti per lingua o geografia di poter raggiungere il grande pubblico globale informatizzato. Il mezzo liberatorio, tuttavia, si converte in un altrettanto potente mezzo di censura a disposizione della classe dominante. I contenuti, una volta sul web, sono canalizzati e ordinati con criteri ignoti e le nuove tecnologie informatiche ne facilitano così tanto la genia da rafforzare la tendenza alla loro sovrapproduzione e adulterazione. A diventare più facile, però, è anche il disvelamento delle informazioni occultate o menzognere, e dato il carattere strutturalmente predatorio del modo di produzione dominante, ciò risulta essere un problema, per lorsignori, di non poco conto.
Purtroppo, però, ad oggi, a creare le maggiori preoccupazioni al padronato sono le bufale (fake news), le soffiate (leaks) e i pizzini che gli agenti del capitale producono e si rimbalzano l’un l’altro. L’attenzione che il potere, sia nella sua veste pubblica che privata, riserva all’attività di agitazione condotta nei confronti delle classi subalterne per carpirne il consenso, infatti, cresce nonostante a fronteggiarsi attivamente non siano una concezione falsa ma tutt’ora dominante del mondo ed una vera ma che fatica ad emergere. Se così fosse, significherebbe essere di fronte ad una o più classi dominate che con coscienza di sé stanno lottando attivamente per la presa del potere e vedono le proprie idee censurate e distorte da chi mira a conservare il dominio nelle proprie mani. Al contrario, le avanguardie intellettuali delle classi subalterne non hanno ancora sviluppato una concezione del mondo abbastanza completa da poter essere operativamente alternativa alle molteplici post-verità utilizzate dalle diverse componenti della classe dominante, né dispongono dei mezzi necessari per poter diffondere la controcultura auto-prodotta. La Brexit, l’elezione di Trump alla Casa Bianca, il NO al referendum costituzionale nostrano e, ancora prima, gli esiti delle primavere variamente colorate, non sono gli esiti di una ribellione cosciente contro l’élite ma deviazioni del forte malcontento esistente che, in assenza di un’avanguardia capace di guidare le masse nella giusta direzione, finisce per essere preda delle diverse fazioni borghesi in lotta fratricida ed esprimersi in cambiamenti gattopardeschi.
Dunque, l’attenzione che oggi ciascun industriale, banchiere o governo dedica alla stampa (cartacea, eterea o virtuale) non è direttamente finalizzata a contrastare la verità rivoluzionaria e liberatrice delle masse oppresse ma a contrastare l’attività di agitazione condotta dagli agenti degli altri membri della classe dominante o dai loro governi. La scomunica di Giovanni Pitruzzella che dalle colonne del Financial Times invoca il Ministero della Verità (“penso a un’autorità pubblica assolutamente indipendente a cui, chi si sente danneggiato, si possa rivolgere per segnalare una notizia falsa e chiedere un intervento rapido che, dopo un sollecito contraddittorio, permetta di arrivare alla rimozione”) non mira a colpire direttamente le avanguardie dei lavoratori ma soggetti ben diversi: la fazione della classe dominante non più egemone che mira ad ottenere una rivincita attraverso partiti anche molto diversi tra loro (tipo il M5S, il Front National, i Leavers della Brexit, etc) e la fazione della classe dominante non ancora egemone che dai paesi non appartenenti alla triade Usa-UE-Giappone non intende lasciare che il XXI secolo sia un altro secolo Usamericano. Questi ultimi, è bene precisare, tutt’altro che votati alla verità, ma attualmente maggiormente interessati a svelare le menzogne delle controparti nella misura in cui queste diventano sempre più necessarie ad occultare la crisi generale che attraversa il modo di produzione capitalistico e la decadenza particolare che sta colpendo i suoi agenti occidentali.
Ma a differenza del settore della propaganda, in quello dell’agitazione la classe dominante è impegnata in una ristrutturazione produttiva che coinvolge direttamente il modo in cui il controllo deve essere esercitato. Nella produzione scientifico-professionale, infatti, Scopus e Web of Science rappresentano soluzioni condivise dai fratelli-nemici del capitale al problema di come garantire il controllo della sovrastruttura culturale. In tale ambito, dunque, la crisi di egemonia del capitalismo anglo-americano non passa, per il momento, per la messa in discussione del modo in cui la ricerca scientifica internazionale viene valutata e gerarchizzata. Al contrario, per quanto riguarda l’agitazione, le parole di Pitruzzella indicano un dissenso più profondo dal modello Usa. “Oggi Facebook è il portiere dell’informazione”, ha precisato il presidente dell’Antitrust, e “al di là dell’algoritmo con cui si pensa di combattere le false notizie, rischia di trasformarsi a sua volta in censore decidendo quali contenuti del suo miliardo e passa di utenti possano circolare o meno. Io penso che questo ruolo di guardiano debba essere esercitato da una Authority statale che offra garanzie di neutralità ma che sia anche in grado di intervenire con prontezza nei casi più gravi”. Un modello, dunque, che si avvicina più alla sinergia pubblico-privato che attualmente governa il Golden Shield Project cinese e dovuto al rapporto organico che i grandi colossi dell’informatica e del web hanno stabilito col governo ed i servizi di sicurezza del paese nel quale risiedono. Un modello, il cui vero obiettivo non è tanto la censura delle notizie false ma il controllo dei mezzi attraverso cui esse si diffondono. La produzione di notizie false, infatti, non differisce dall’adulterazione dei normali prodotti, dei quali se ne combatte la circolazione, raramente la produzione. E come questi vengono taroccati dalle maestranze per volontà dei dirigenti al fine di accrescere o anche solo conservare profitti e quote di mercato, e ciò deve essere accettato dai dipendenti e occultato all’esterno, così avviene per quella particolare forma di merce chiamata informazione. E al pari degli altri prodotti che col tempo scadono o si stagionano, così verità valide in un certo contesto e dato un certo livello di conoscenze possono diventare false e viceversa, rendendo ridicola ogni forma di celere censura pro veritate.
Ma è tutta l’organizzazione dell’informazione che nell’immediato è destinata ad essere soggetta ad un crescente controllo da parte del padronato e dei suoi governi ovunque nel mondo. Questa necessità rafforza il già crescente ricorso ad una massa sempre più grande di precari che, oltre ad abbattere i costi, per pochi euro a pezzo non possono certo garantire accuratezza, scientificità e profondità di analisi. A costoro, inoltre, è preclusa la possibilità di occuparsi di temi politicamente rilevanti e data la forte ricattabilità cui sono soggetti anche il contenuto critico potenzialmente sviluppabile a partire da temi di minor importanza difficilmente non verrà auto-censurato. Se la verità non può né deve essere richiesta ai precari della tastiera, neanche può essere ragionevolmente pretesa dalla sempre più piccola massa di giornalisti che gode di maggior stabilità lavorativa. La maggior parte di loro, infatti, viene sballottolata per anni da un tema all’altro senza possibilità di poter approfondire alcunché e senza potersi liberare mai veramente dal ricatto del licenziamento, finendo a ricamare su veline battute dalle agenzie di stampa. Al contrario, le grandi firme, al pari dei manager di azienda, vengono cooptati dal sistema che ne acquisisce la forza-lavoro ad un prezzo che include benefici tali che non vale la pena mettersi di traverso.
Alla crescente subordinazione dei giornalisti nei confronti degli editori si somma poi la crescente subordinazione di questi ultimi alle leggi della concorrenza. In prima approssimazione, questo significa attrarre clienti paganti che, in un momento di crisi, diventa sempre più difficile. Da qui il grande processo di fusioni e acquisizioni in atto (AT&T-Time Warner, Vivendi-Mediaset, solo per citare le maggiori trattative in corso in occidente) che ha già portato la stragrande maggioranza delle testate giornalistiche sotto l’ombrello di gruppi (privati o pubblici) o nelle mani di azionisti che alla produzione di notizie affiancano la produzione di molti altri tipi di merci o il perseguimento di interessi direttamente politici. Per questo molte aziende del settore possono addirittura permettersi di non vendere alcuna notizia ai cittadini-consumatori. In questo contesto, quindi, il risultato commerciale dell’impresa giornalistica è determinato dalla strategia complessiva del gruppo cui appartiene e per tanto, dato che le notizie hanno un valore d’uso capace di influenzare il comportamento del potenziale cliente/elettore, la loro fabbricazione e diffusione deve tener presente anche questi effetti per portare il beneficio sperato. In altri termini, molto difficilmente un grande giornale andrà a dare notizie che possano influenzare negativamente gli affari industriali, bancari, politici o di altro genere dei suoi proprietari e tutte le volte che è possibile farà di tutto per presentare le cose in modo da favorire tali affari. Da parte nostra, dei comunisti, non possiamo non studiare, in modo da basare la nostra agitazione su una propaganda all’altezza dei tempi e delle sue sfide.
Alessandro Bartolini
14/1/2017 www.lacittafutura.iI
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