Cambiano gli amministratori ma l’emarginazione dei rom di Scampia resta la stessa

«Giù le mani dai bambini», il grido risuona dal gruppo di giovanissime donne e uomini palestinesi che sfilano nell’ultimo corteo del 28 ottobre a Roma. La ragazza con il megafono non ha più voce, ma continua a urlare «Giù le mani dai bambini». Il dato diffuso dalle Nazioni Unite secondo il quale il quaranta per cento della popolazione nella striscia di Gaza è composta da giovani di meno di diciotto anni, è impressionante e conferma che, oltre a tutto quello che significa questo conflitto, si tratta anche di una guerra di vecchi contro i giovani. Tuttavia, in questo mondo saldamente nelle mani degli adulti, la memoria e le radici vengono tirate in mezzo solo quando fa comodo.

Lontanissimi dai bombardamenti, in un territorio giovane come quello di Scampia, sia per urbanizzazione che per popolazione, la storia viene raccontata solo per metà, le politiche pubbliche si dividono in due e così gli investimenti istituzionali, che seguono filoni paralleli che non si incontrano mai. Il progetto Restart Scampia ha avuto un nuovo scossone, la ripresa è stata ufficializzata e diffusa attraverso rassicuranti interviste, anche dopo il ripristino dei fondi del Pnrr che inizialmente prevedevano investimenti nelle periferie di quattordici città metropolitane, tra cui Napoli, poi bloccati dal governo, infine riconfermati dalla cabina di regia a Palazzo Chigi, ma da impiegare tassativamente entro il 2026 per “la realizzazione di interventi per migliorare le aree urbane degradate” e “trasformare territori metropolitani vulnerabili in territori efficienti, sostenibili e produttivi”. Buone notizie per una parte degli abitanti del quartiere, delle Vele in particolare, ancora in attesa di un alloggio definitivo, di una casa che verrà costruita in una strada adiacente a dove attualmente vivono. Buone notizie per un’enorme area che avrebbe addirittura le potenzialità per diventare un punto di aggregazione centralissimo e ben collegato. Certo, bisogna frenare gli entusiasmi, finché non si parte davvero e agli annunci non seguono i fatti. Intanto, però, questa brezza di ottimismo che circola per il quartiere, smette improvvisamente di soffiare sulla soglia dei campi rom di Cupa Perillo.

Qui tutto è immobile. La questione abitativa dei rom è fuori dall’agenda delle istituzioni locali, negli investimenti per “la trasformazione dei territori metropolitani” non si contemplano in nessun punto le aree dei campi e la ricollocazione delle poche centinaia di rom che vi abitano. Nonostante il terreno sia in attesa di bonifica da oltre sette anni, in seguito agli incendi, nonostante le comunità rom siano radicatissime, antiche, coetanee di quelle italiane. Sono italiane, di fatto. Ma la progettazione per loro viaggia lenta, lentissima, altrove. Viaggia come un problema di ordine pubblico, con tavoli che si sono spostati in prefettura. Da quando un anno fa si è concluso – con un nulla di fatto che purtroppo avevamo profetizzato – il mirabolante esperimento di progettazione partecipata al campo con un dipartimento di urbanistica che inaugurava le innovative politiche della nuova amministrazione, non si è mossa una pietra e siamo tornati indietro di circa vent’anni rispetto alle possibilità anche solo di dialogare con l’amministrazione. Oggi, questa comunità residua, giovanissima, continua a vivere in un’area che sembra essere destinata solo a diventare snodo e apertura dell’asse mediano e che, finché i piani di trasferimento non verranno decisi e attuati, continua a essere in balia delle discariche e dell’assenza totale di manutenzione. Alcuni sono già andati via, come potevano e forse salvandosi, altri restano per un motivo o per l’altro, forse in attesa che qualcosa succeda anche per loro. In ogni caso, indipendentemente dall’intervento istituzionale, i campi in qualche modo andranno verso l’estinzione, il che potrebbe sembrare un’affermazione positiva, ma se il processo attraverso il quale arrivare a questa conclusione è il totale abbandono istituzionale e anni vissuti in condizioni molto deprivate, denunciate in tutti i modi da decenni, non può essere considerata una buona notizia, soprattutto per le ripercussioni sui bambini e sui giovani che ne porteranno i segni a vita.

Ai tavoli in prefettura sono arrivate delle proposte di superamento dei campi di Cupa Perillo che tuttavia restano nel vago – e forse nella speranza che nulla debba essere veramente attuato perché nel frattempo se ne potrebbero andare via le poche centinaia di persone che ancora resistono. Si sono delineate tre prospettive: vivere in appartamenti requisiti alla camorra in giro per la città – da ristrutturare con fondi a suo tempo destinati alla progettazione di un “villaggio rom”, mai portata a termine dalla giunta precedente; andare a vivere in cohousing non meglio identificati; avere un assegno di liquidazione e decidere liberamente. In tutti e tre gli scenari, non è minimamente contemplata la possibilità di restare a Scampia, il quartiere di nascita e di elezione, in cui si sono consolidate tutte le relazioni e le abitudini, insomma il loro quartiere. Per rafforzare il suo punto di vista, il comune di Napoli dal giugno 2021 ha arbitrariamente bloccato le residenze per tutti i rom residenti nei campi (anche in quelli autorizzati), e non concede più nuove residenze. Ciò è avvenuto in modo unilaterale, senza comunicazione di qualsiasi tipo ai cittadini rom (né Pec, né raccomandata né altra forma di notificazione).

Questo fatto di per sé costituisce una violazione di diritti fondamentali (non solo quello alla residenza ma, a cascata e in dipendenza da esso, anche quelli al lavoro, alla salute, alla difesa, agli ammortizzatori sociali, e al voto – tutti costituzionalmente garantiti), e, possibilmente, anche una discriminazione su base etnica. Ricordiamo che per i rom la questione della residenza è fondamentale, e riguarda quelle persone che vivono nella legalità dal punto di vista documentale. In particolare coloro che hanno ottenuto la cittadinanza italiana da diciottenni e coloro che sono in regola con il permesso di soggiorno, nonché coloro che sono legittimati a riceverlo per la prima volta (nonché per l’estensione dei diritti ai propri figli). La manovra, la cui fonte amministrativa non è nota, sorprende a tutti gli effetti, in quanto da un lato crea un problema “trasversale” che riguarda anche altre categorie di soggetti fragili, come i senza dimora, dall’altro viene giustificata come superamento di una prassi esercitata fino all’attuale blocco “ad experimentum”, laddove invece numerosi comuni, incluso quello vicino di Casoria, hanno trovato vie giuridicamente e amministrativamente efficaci per garantire il diritto di residenza ai cittadini rom che abitano nei campi.

Non conta la frequenza scolastica delle bambine e dei bambini, le loro attività pomeridiane, i legami che si sono consolidati, i rapporti di lavoro, il fatto di muoversi in territori non ostili, che di questi tempi non è una cosa scontata, con tutti i punti di riferimento della rete associativa del quartiere, fatta di persone molto diverse tra loro ma che continuano a essere un argine contro le disumanizzazioni, le burocratizzazioni, le discriminazioni e le siderali distanze istituzionali, a essere grilli parlanti e fastidiose voci di contrasto, a seminare e coltivare imperterriti germogli di cultura e prospettive di libertà.

Se queste tre scelte dovessero essere quelle definitive, cercando di capire quale sarà quella che prevale e con quale metodologia, anche se è stata per il momento, e forse per fortuna, accantonato l’ipocrisia della falsa partecipazione, si profila inoltre un destino per quell’area di mero svincolo automobilistico, di ingresso e di uscita dall’asse mediano, collegamento con la provincia. Un altro colpo di spugna sulla storia del quartiere e di uno dei suoi residui rurali, addio ai prugni, ai mandorli, addio allo sticho, quelle foglie che ancora qualche signora al campo riusciva a trovare e a cucinare in padella con il burro, addio all’idea di una riqualificazione integrata della zona, ai servizi socio-culturali su cui a un certo punto si era fantasticato. Mentre il quartiere attende con moderata fiducia l’evolversi degli eventi, Cupa Perillo, in cui il tempo scorre ancora con un ritmo lento e forse più umano, rischia di diventare semplicemente una strada a scorrimento veloce. (emma ferulano)

2/11/2023 https://napolimonitor.it/

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