Cannabis, tra proibizionismo e storia

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Un po’ di antiproibizionismo olistico ed ironico

Si sono sprecati anni di dibattiti sul proibizionismo della cannabis quando sarebbe bastata una banale argomentazione epistemologica per metterlo al muro: come si può mettere una pianta fuorilegge? Chi è l’essere umano per proibire una pianta pensata e concepita in Natura? Con quale autorità l’essere umano decide quale pianta in Natura è “giusta” o è “sbagliata”? Nessuna. Se è vero che, da qualche parte nel mondo, c’è stato qualcuno che con prove scientifiche alla mano abbia dedotto che la cannabis fosse molto più letale di qualsiasi altra droga usata allora, più dell’alcool e delle sigarette; avrebbe dovuto anche spiegare perché la cicuta non è proibita in nessuna parte nel mondo e lo stesso vale per il narciso (che ha il gambo velenosissimo), per la Belladonna (addirittura mortale), l’oleandro (pianta interamente tossica che contiene glicosidi cardioattivi capaci di alterare il ritmo cardiaco, causando aritmie di varia natura), il prezzemolo (usato in passato per far abortire clandestinamente). Per non parlare dell’ortensia, una splendida pianta floreale della famiglia delle Hydrangeacee di origine asiatica abbastanza diffusa nei giardini italiani.

Nel 2013, in Baviera, molti giardini pubblici sono stati saccheggiati con l’arrivo delle temperature più miti proprio a causa delle ortensie. I ragazzi tedeschi aspettavano le piogge d’inizio primavera per saccheggiare giardini e parchi pubblici per trasformare petali e foglie di ortensia in spinelli floreali. Questo a tal punto che le autorità di alcune città del Sud hanno pensato di vietare la pianta nei parchi. Lo stesso allarme è scattato nel 2014 nel nord della Francia, dove i giardini della zona di Hucqueliers, vicino a Boulogne-sur-mer, erano stati sistematicamente spogliati. Nel mirino i gambi, le foglie e fiori, delle belle ortensie, particolarmente rigogliose nei giorni di pioggia. Alcuni giardinieri si erano rivolti alle gendarmerie locali, che non hanno tardato a capire che il reato non era da collegarsi a un commercio clandestino di fiori ma al nuovo uso dell’ortensia, quello psichedelico. Parrebbe una barzelletta se non fosse la verità.

I petali multicolori dell’ortensia e delle sue foglie, una volta essiccati, mescolati al tabacco e inalati, hanno proprietà allucinogene ed euforizzanti. E quindi? Secondo la logica con la quale è stata proibita la cannabis, anche l’ortensia dovrebbe essere proibita. Una splendida pianta che abbellisce i nostri giardini e le nostre aiuole dovrebbe essere vietata solo perché alcune persone decidono di fumarsela? Una scelta illogica oltre ad essere risibile. Secondo altri studi, l’ortensia può addirittura rivelarsi fatale in quanto alcune sostanze contenute nella pianta si trasformano in acido cianidrico, noto come Zyklon B, che i nazisti usavano nelle camere a gas e che può provocare una rapida morte per soffocamento. Oltretutto fumare l’ortensia porterebbe a problemi gastrointestinali, respiratori, accelerazione del ritmo cardiaco e perdita di coscienza. Detto questo non ha nulla a che fare con le mode più inquietanti del passato come l’uso delle piante della famiglia della belladonna, che oggi è scomparsa dai giardini proprio a causa del rischio d’intossicazione, accidentale o volontaria.

Detto ciò, solo perché una pianta ha alcune proprietà che possono avere effetti indesiderati sull’essere umano dovrebbe essere bandita? Si tratta di una visione antropocentrica per la quale tutto ciò che in Natura può recare complicazioni all’essere umano va bandito, negandogli l’esistenza solo per capriccio umano. È come se proibissimo il vino solo perché qualcuno, non autoregolandosi, esagera e contrae una cirrosi. D’altro canto, però, l’ortensia ha delle proprietà officinali e terapeutiche già conosciute in Asia, e poi scoperte dalle popolazioni indigene d’America. Dall’artrite reumatoide ai calcoli renali, passando per i problemi di calvizie, l’Ortensia è un valido aiuto e le sue proprietà benefiche si posso gustare nel the celeste all’ortensia, nella marmellata o nella grappa.

Esattamente l’ortensia, come la cannabis, ha proprietà curative ed officinali solo che, a differenza della cannabis, se fumata, ha effetti molto più impattanti per la salute. Un motivo per proibirla? No, e non è mai venuto in mente a nessuno se non a qualche amministratore della Baviera. L’ortensia è un fiore che ha 30 milioni di anni e non sarà sicuramente l’essere umano a farla sparire dalla faccia della Terra.

Domanda: se la cannabis è meno impattante per la salute della ortensia, perché nell’ultimo secolo è stata così demonizzata mentre l’ortensia rimaneva ad abbellire i nostri prati urbani? Una risposta logica è che la cannabis ha proprietà terapeutiche su amplia scala ed può essere utilizzata per fare moltissime cose: la pianta i cui usi sono i più ecologici e sostenibili di tutti gli altri materiali esistenti.

Cannabis, civiltà antiche e popoli indigeni

Nata probabilmente in Asia centrale, la cannabis è utilizzata per scopi medici, spirituali, religiosi o ricreativi (tramite inalazione o vaporizzazione) da almeno 5.000 anni. La Cannabis in Cina viene utilizzata soprattutto per usi medici dal 2.700 a.C. ed è uno degli elementi naturali su cui si poggiano millenni di medicina tradizionale. Infatti, la parola “anestesia” in cinese è composta da due ideogrammi che significano rispettivamente “Cannabis” e “Intossicazione”, a significare a quanto fosse considerata per le sue proprietà rilassanti e curative.

Anche gli Ariani fumavano cannabis e, con molta probabilità, furono loro ad insegnare le sue proprietà agli antichi assiri e ai popoli indiani. Si pensa infatti che si riferisca alla cannabis quando nei testi sacri dei Veda si parla di “allucinogeni intossicanti”. Un trattato di farmacologia cinese attribuito all’Imperatore Shen Nung, datato 2.737 a.C., contiene il primo riferimento all’utilizzo della cannabis come medicina. Anche nel taoismo la cannabis viene vista di buon occhio. Durante la dinastia Tang, il culto di Magu (Signora Canapa) associò questo xian (immortale) taoista all’elisir di lunga vita. Secondo la leggenda, Magu dimorava nel sacro Monte Tai, e i suoi seguaci raccoglievano cannabis nel settimo giorno del settimo mese, in sincronia con i banchetti taoisti. L’enciclopedia taoista Wushang Biyao (traducibile in “Segreti Supremi Essenziali”), composta nel 570 d.C., documenta l’utilizzo della cannabis nei bruciatori per incenso, durante i rituali, e la tendenza dei taoisti ad inalare fumo per alterare la propria coscienza.

Erodoto nel 5 a.C. scrive che gli sciti, popolazione iranica seminomade, coltivavano e poi vaporizzavano la cannabis. In un altro testo, scrive che gli abitanti di alcune isole mediterranee bruciavano la cannabis e poi, “seduti intorno in circolo, inalano e vengono intossicati dall’odore, proprio come i Greci col vino, e più se ne butta più diventano intossicati, fino a che si alzano e ballano e cantano”. Persino Plinio, Marco Polo e Abu Mansur Muwaffaq dimostrano senza ombra di dubbio che la cannabis era coltivata sia per la sua fibra sia per le sue proprietà psicoattive in tutta l’Asia, nel Medioriente e in gran parte dell’area del Mediterraneo. Infatti le vele delle navi dei Fenici erano di fibra di canapa, esattamente come lo furono le vele delle caravelle di Cristoforo Colombo nel 1492.
Secondo le stime più accreditate la cannabis fu introdotta in Europa almeno 500 anni prima di Cristo, in quanto a Berlino è stata ritrovata un’urna contenente foglie e semi di cannabis risalente a circa 2.500 anni fa. Eppure è ormai risaputo che prima dell’avvento dell’Impero Romano, vari popoli europei come i Celti e i Pitti coltivavano e utilizzavano cannabis per motivi artigianali, curativi e spirituali.

Vestiti di canapa sono stati comunissimi in Europa centrale e meridionale per secoli e gli europei ne conoscevano anche le potenzialità ricreative della pianta. Nel 2007, una delle massime dantiste inglesi, Barbara Reynolds, pubblicò Dante: the poet, the political thinker, the man: uno studio di circa 500 pagine che scandaglia minuziosamente la vita e le opere di Dante, sostenendo che conoscesse l’uso della cannabis. Dante da giovanissimo si iscrisse all’Arte dei Medici e Speziali, una delle sette Arti Maggiori delle corporazioni di arti e mestieri di Firenze, per aggirare il divieto di fare politica, ma è anche vero che le Corporazioni difficilmente ammettevano qualcuno che non sapesse nulla di quello che insegnavano. Dante conosceva bene la farmacopea e quindi sapeva quali piante usare. “Perche’ non avrebbe dovuto utilizzare quelle piante per altri scopi? chi puo’ escluderlo?” – si era chiesta la Reynolds.

Il proibizionismo nacque nel 1484 quando una bolla papale ne vietò l’uso ai fedeli, ma nonostante la condanna, l’utilizzo della cannabis a scopo ricreativo divenne una vera e propria moda tra gli intellettuali, tanto che nei secoli a Parigi nacque il Club del Hashischins frequentato da poeti e scrittori del calibro di Victor Hugo, Alexandre Dumas, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac e Théophile Gautier.

L’uso della cannabis era diffuso anche in Africa, secoli prima della colonizzazione europea, dove la era coltivata, utilizzata come fibra e come medicinale, inalata e a volte venerata in aree diversissime: dal Sud Africa al Congo al Marocco.

La cannabis è sempre stata inseparabile compagna nelle pratiche ascetiche indiane per i sadhu in India, la ganja in Giamaica, nelle Hawaii fino ai zoroastriani di Persia e i curanderi del Brasile che ancora oggi la amplificano con l’ayahuasca. Anche gli antichi egizi usavano la cannabis per scopi industriali e terapeutici. Gli archeologi hanno scoperto alcune prove dell’utilizzo della cannabis studiando i faraoni mummificati. I faraoni erano considerati delle divinità, pertanto questi ritrovamenti suggeriscono l’impiego della cannabis in contesti religiosi. Non a caso sono stati scoperti alti livelli di THC, nicotina e cocaina in una mummia risalente al 950 a.C., senza prendere in considerazione le tracce di polline di cannabis scoperte sulla mummia di Ramesses II morto nel 1213 a.C.

Come ripeteva pure l’antropologo cileno Claudio Naranjo: “Quando incontriamo la cannabis con un’intenzione chiara e in uno stato di centratura, la sua capacità chiarificatrice e di amplificazione può far luce sulle illusioni che ancora coltiviamo e nel contempo esortarci a lasciarci andare a uno stato di presenza più profondo e rilassato e con il cuore aperto: una forma di presenza più onesta e più vera. Come accade con altre medicine enteogene, la cannabis può condurre a una condizione di attenzione cosciente e consapevolezza meditativa intensificata ed elevata”.
Ciò di cui non ci capacitiamo è perché oggi non possiamo usufruire di questa “consapevolezza”, e la cannabis continui ad essere sacrificata sull’altare del proibizionismo insensato ed interessato.

PRIMA PARTE (seconda nel numero di marzo)

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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