Caporalato. Una gang sfruttava corrieri pachistani, al lavoro in appalto per Sda (Poste Italiane)

Un’immagine tratta dal profilo TikTok di un componente della gang Ak-47 Carpi, in cui compaiono dei fucili

Si facevano chiamare Ak-47 Carpi dal nome del Kalashnikov, e fornivano manodopera a una società di logistica con appalti per Sda (azienda parte del Gruppo Poste italiane dal 1998). La società, più volte al centro di inchieste e sequestri preventivi per reati tributari, non è nella white list antimafia del 2024. Era stata esclusa nel 2019. Poste: “Contratti esigui, documenti in regola”. L’inchiesta

Dal 2020 al 2022 hanno reclutato e massacrato di botte corrieri impiegati, in appalto, per il corriere espresso Sda (un’azienda che dal 1998 fa parte del Gruppo Poste Italiane) di Modena. Vittime e autori dei pestaggi lavoravano entrambi per una società, la Natana doc spa, a cui nel 2019 la Guardia di finanza ha negato il rinnovo dell’iscrizione nella white list antimafia della prefettura di Vicenza perché i suoi soggetti apicali erano “legati da vincoli associativi con esponenti di un clan camorristico” .

Rispondendo alle domande de lavialibera, Poste Italiane sostiene che questa stessa società è “qualificata nel loro albo fornitori“, aveva i “documenti in regola”, e “contratti esigui”.

I componenti della gang si facevano chiamare Ak-47 Carpi, dal nome del kalashnikov, e della città italiana di residenza: Carpi, in provincia di Modena. Sui social erano ancora più espliciti e non avevano paura di postare foto o video in cui imbracciavano i fucili d’assalto. Erano tutti pachistani e, secondo la procura di Modena, da gennaio 2020 all’estate del 2022 avevano reclutato corrieri, molti connazionali, per occuparli “in condizioni di sfruttamento”.

Il tribunale di Modena documenta che beneficiaria era Natana doc spa, una delle società fornitrici del corriere espresso Sda, azienda parte del gruppo Poste Italiane, impresa pubblica che fornisce servizi postali, finanziari e assicurativi. Chi non rispettava le condizioni imposte dalla gang veniva punito con violenti pestaggi, anche in mezzo alla strada. Aggressioni portate avanti con mazze ferrate, bastoni in legno e coltelli. Non mancavano le minacce di ritorsioni, che avevano nel mirino anche le famiglie di origine, in Pakistan. 

“Guarda che vado a fare del male alla tua famiglia in Pakistan“, diceva un componente del clan a una delle vittime, aggiungendo: “Ricordati che tu sei da solo e noi siamo tanti”.

L’esclusione dalla white list antimafia. Poste Italiane: “Non obbligatoria”

Sono 18 i componenti della gang per cui Carolina Clò, giudice per le indagini preliminari del tribunale di Modena, ha chiesto la custodia cautelare. Tutti uomini di origine pachistana, accusati a vario titolo di estorsione, auto-riciclaggio, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Stando alle carte dell’inchiesta, in pochi mesi Natana ha versato ai conti bancari riconducibili a un componente della gang oltre un milione e mezzo di euro.

Soldi frutto degli appalti che servivano all’esponente del clan per pagare i lavoratori in nero. Natana doc spa non è coinvolta in questa inchiesta, che si focalizza sul caporalato ad opera della Ak-47 Carpi. Ma è menzionata come beneficiaria della manodopera reclutata dalla gang.

La società, con sede nel vicentino – e, per la Guardia di finanza e il tribunale di Modena, riconducibile al più ampio gruppo salernitano di autotrasporti Attanasio – non è estranea a indagini delle autorità.

Negli ultimi anni, infatti, è stata al centro di inchieste, e di milionari sequestri preventivi, da parte della Guardia di finanza. Nello specifico, si contano tre sequestri preventivi a carico di Natana doc spa (il primo è del 2019, gli altri due di marzo 2024) per reati tributari. Mentre L.A. che, dalle ultime informazioni disponibili sul registro delle imprese, è la responsabile della società è stata destinataria di quattro sequestri preventivi, sempre per reati tributari. Non solo. Nel 2019 l’azienda ha visto negarsi la richiesta di rinnovo, presentato alla prefettura di Vicenza, per l’iscrizione nella cosiddetta white list antimafia, cioè “l’elenco dei fornitori, dei prestatori di servizi e degli esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa”. L’iscrizione alla white list è obbligatoria per le imprese che operano nei settori particolarmente a rischio di infiltrazioni mafiose, come nel caso dell’autotrasporto per conto di terzi, quindi di Natana doc spa, e che vogliono partecipare a gare d’appalto, sia pubbliche sia private.

In un comunicato della guardia di Finanza di Vicenza del 26 novembre del 2019 ottenuto da lavialibera, si legge che la decisione di non rinnovare a Natana doc spa l’iscrizione nella white list è stata motivata da “elementi sintomatici di un pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata“. Inoltre, i soggetti “con mansioni apicali sono risultati aver fatto parte di un’associazione per delinquere responsabile di reati tributari, fatti di riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori e false attestazioni all’autorità giudiziaria”, nonché “legati da vincoli associativi con esponenti di un clan camorristico attivo nel salernitano, al quale hanno fornito e dal quale hanno ricevuto appoggio e supporto produttivi di accrescimento del potere criminale e di sviluppo economico”.  

Stando ai documenti disponibili sul portale della prefettura di Vicenza, Natana doc spa ha richiesto di nuovo l’iscrizione alla white list il 15 aprile 2021, ma nell’elenco del 2024 non risulta. Con la prefettura è stato impossibile approfondire quale sia stata la posizione dell’azienda tra il 2021 e il 223: “Le notizie ufficiali concernenti la posizione della società in questione, come pure di altre ditte, sono quelle che risultano dagli elenchi pubblicati sul sito istituzionale di quest’ufficio territoriale del governo”, precisano dalla prefettura, aggiungendo: “Eventuali specifiche notizie sulla posizione della società in questione potranno essere richieste unicamente dai diretti interessati o da soggetti che ne hanno diritto in base alla vigente legislazione in materia”. Contattati da lavialibera, gli avvocati della Natana e della sua rappresentante non hanno al momento rilasciato informazioni. 

Per Poste Italiane, Natana doc spa ha i documenti in regola

A lavialibera, Poste ha ammesso che Natana doc è tra le aziende che lavorano per conto di “Sda, la società di corriere espresso del gruppo Poste Italiane”, ma ne minimizza il contributo: “Il suo fatturato – dice Poste – rappresenta circa il due per cento del totale dei costi operativi sostenuti da Sda”, quindi “il valore dei contratti è estremamente esiguo rispetto al volume delle forniture”. Non solo. “Natana doc è qualificata all’albo fornitori del gruppo Poste Italiane, pertanto la sua attività è costantemente monitorata”, aggiunge Poste Italiane precisando che “la documentazione presentata da Natana doc spa per concorrere ai servizi di fornitura è risultata regolare“. 

Poste fa sapere a lavialibera che Natana doc spa è stata riammessa nell’albo fornitori nel gennaio 2021, dopo un periodo di sospensione durato circa un anno. Motiva la decisione così: la società ha revocato dalla carica di procuratore speciale la persona che ne aveva determinato la cancellazione, e cioè il padre dell’attuale rappresentante di Natana doc spa. Nel 2022, a Poste risultava che la società avesse nuovamente chiesto l’iscrizione nella white list della prefettura di Vicenza, anche se “il provvedimento risultava privo di esito”.

Infine, Poste precisa che l’iscrizione alla white list non era obbligatoria per qualificarsi come fornitori del gruppo Poste Italiane nelle categorie “di ritiro trasporto e consegna, e servizio smistamento e facchinaggio” prima del 2024. Il regolamento è stato rinnovato il 24 maggio scorso. Oggi ai fornitori di Poste per le “attività di ritiro, trasporto, consegna di plichi e/o pacchi e/o sacchi” è richiesta l’iscrizione nelle “white Llst” della prefettura della provincia in cui l’operatore ha la propria sede legale: “iscrizione oppure, in ossequio a quanto previsto nella circolare del Ministero dell’Interno del 23 marzo 2016, attestazione di avvenuta presentazione della domanda d’iscrizione o permanenza nell’elenco”.  

I pestaggi come modus operandi

Frattura costale“, “frattura delle ossa nasali“, “frattura delle ossa facciali”, “lacerazioni alla mucosa del labbro superiore”: sono solo alcuni dei referti medici, a disposizione dell’autorità giudiziaria, presentati dai lavoratori vittime del gruppo Ak-47. La maggior parte delle violenze si sono verificate a Carpi, all’interno della Sda di Modena. Non si tratta di casi isolati, ma di un modus operandi che è andato avanti nel tempo, alla luce del sole. Un esempio è il pestaggio avvenuto ai danni di Mushraf Tariq il 26 novembre 2021, quando sei o sette persone di origine pachistana hanno bloccato l’uomo per poi colpirlo con manganelli e bastoni in ferro, fino a lasciarlo sanguinante a terra.

A finire in ospedale, con una prognosi di cinque giorni, anche un ragazzo che era intervenuto in difesa di Mushraf. “Alcuni dei componenti del gruppo Ak-47 Carpi, noncuranti di agire in pubblico alla presenza di persone che avrebbero potuto riconoscerli, hanno dato ampia dimostrazione del loro potere dando il via a un violento pestaggio con bastone e mazze ferrate e agendo in numero nettamente superiore, arrivando a percuotere anche una persona estranea ai fatti, colpevole solo di essere intervenuta in aiuto della vittima”, scrive la giudice.

Uno degli episodi più significativi è quello che ha dato il via alle indagini e che vede protagonista Chokri Bejgana, un rappresentante del sindacato SI Cobas. Dopo aver ricevuto diverse segnalazioni da parte di alcuni colleghi, Bejgana aveva iniziato a fare domande sul clan Ak-47. Un’intrusione non gradita ai componenti del gruppo che, a propria volta, ricoprivano di delegato all’interno del sindacato.

Caporalato: cos’è e come funziona

Una posizione che, per la gip, gli permetteva di fatto di avere il “pieno controllo dei loro connazionali distaccati presso lo spedizioniere modenese favorendo coloro che sottostanno alle loro regole e creando invece seri problemi a coloro che si ribellano alle loro imposizioni”. Atteggiamenti e condotte che Bejgana considerava “assolutamente contrarie all’ideologia propria del sindacato e che ha portato ad una serie di episodi di violenza e minacce che alimentano il sistema corrotto ormai radicato”. 

Per punizione il clan pachistano l’aveva minacciato di morte e, a detta del referente SI Cobas di origine marocchina, aveva anche avviato nei suoi confronti una campagna denigratoria usando a pretesto persino la discriminazione religiosa: l’accusa era di non essere un musulmano praticante, nonostante le sue origini marocchine, e di “mangiare anche la carne di maiale”. Fino alla resa dei conti che è arrivata nell’aprile del 2021, durante un’assemblea sindacale. L’incontro è stato seguito da un pestaggio ai danni di Bejgana da parte di oltre 20 persone. Una violenza costata al delegato SI Cobas 166 giorni di prognosi. 

Pochi giorni dopo, un altro attacco ha avuto come bersaglio un altro corriere della Sda Waqas Muhammad: “colpevole”di voler denunciare le condotte di un componente dell’Ak-47 Carpo. A seguito dell’aggressione, i cinque lavoratori considerati responsabili, tra cui l’uomo oggi accusato di aver retto le fila del clan, sono stati sospesi. Ma hanno continuato a esercitare il loro potere di influenza organizzando ripetuti scioperi e minacciando ulteriori manifestazioni che hanno portato Sda e Poste Italiane ad occupare alcuni dei corrieri sostenuti dal clan. Anche se le due società non hanno accettato il reintegro dei cinque lavoratori allontanati per motivi disciplinati legati all’aggressione di Muhammad. 

A questo proposito, la gip sottolinea che “nessuno aveva il coraggio di contrapporsi alle imposizioni e prepotenze del gruppo”. Chi si ribellava poteva sia “perdere la zona di consegna ormai di loro conoscenza o, addirittura, perdere il lavoro” sia ricevere “minacce di ritorsioni ai danni dei familiari che vivono in Pakistan”, luogo in cui “invece i vari sodali, come da loro stessi vantato, godono di appoggi in grado di attuare le minacce”.

Come Bartolini e Geodis sfruttavano i corrieri 

Pagare per un lavoro

I corrieri tenuti in pugno dalla gang Ak-47 Carpi si trovavano in una condizione di bisogno. Alcuni non avevano il permesso di soggiorno ed erano disposti a tutto per trovare un impiego. Tra le condizioni imposte dalla gang in cambio del posto di lavoro c’era anche il versamento di una sorta di pizzo, detratto dalle paghe dei lavoratori. Il pagamento degli stipendi avveniva in nero tramite dei conti correnti riconducibili al capo della gang Ak-47 Carpi. Un sistema che era utile sia al clan, consentendogli una decurtazione arbitraria dei compensi, sia alla società beneficiaria della manodopera, che aveva così l’opportunità di risparmiare. 

I casi di sfruttamento non sono una novità nel settore della logistica, un impero che macina 80 milioni di euro l’anno solo in Italia e si fonda su appalti e subappalti affidati a centinaia di piccole imprese. Come raccontato da lavialibera in diverse inchieste (Sfruttati in Italia, minacciati in India; Zara taglia i magazzinieri mai assunti), il sistema è sempre lo stesso: la gestione della manodopera è affidata a persone provenienti dallo stesso paese dei lavoratori che vengono sfruttati e ricattati. Se vogliono ribellarsi, anche la famiglia di origine viene intimidita.

Ma le indagini di Modena sono rilevanti perché toccano una società fornitrici di Poste Italiane, i cui servizi di logistica sono da anni, e in misura crescente, affidati a ditte esterne.

“Il mondo dei corrieri è costituito da migliaia di lavoratori che ogni giorno trasportano le merci su strada in condizioni di lavoro e di sicurezza spesso precarie –  si legge in una nota pubblicata dalla Filt/Cgil di Modena –. Si tratta di lavoratori alle dipendenze di società che hanno “contratti di servizio di trasporto” con le società più note del settore logistico e non tutelati neppure dalla normativa sugli appalti, che prevede una serie di garanzie nei confronti dei lavoratori. Un sistema che di per sé apre le porte alla possibilità di ricattare e sfruttare il lavoratore”.

L’episodio della banda di pakistani di Carpi non è un episodio isolato, ma il sintomo di un sistema che favorisce lo sfruttamento del lavoro – dichiara Marco Bottura segretario Filt/Cgil Modena. – Non è solo un problema di malavita, ma è anche un problema sociale”. “È necessario cambiare le leggi – conclude Bottura – per ridare diritti ai lavoratori e non abbandonarli in uno stato di ricattabilità permanente”.

Rosita Rijtano

12/7/2024 https://lavialibera.it

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