Carenze idriche e cattiva gestione

Negli ultimi mesi si è parlato molto dei problemi legati alla siccità che ha colpito molte regioni italiane. Già prima si era parlato di un problema ben più grave: alcune regioni sarebbero a rischio di desertificazione. Tra queste la Sicilia: secondo alcuni studi il 70% del territorio dell’isola rischia di diventare desertico.

Problemi gravi ma colpa per buona parte non dei cambiamenti climatici ma delle cattive abitudini e della gestione sbagliata delle risorse disponibili.

Da molti anni si parla di riutilizzare le acque reflue urbane depurate. l’acqua ricavata potrebbe essere utilizzata nel settore agricolo o in quello industriale. E perfino nei centri urbani e per l’ambiente.

Purtroppo in Italia, secondo i dati del laboratorio REF ricerche, i reflui potenziali che raggiungono una qualità tale da essere destinati al riutilizzo sono mediamente il 23% del volume depurato, con punte del 41% nel nord-ovest e del 6% nel centro. Solo il 4% risulta effettivamente destinato al riutilizzo (principalmente per uso irriguo). E quasi esclusivamente nelle regioni settentrionali.

Eppure l’acqua riciclata (oggi si ricicla di tutto, ma nessuno parla mai di riciclare l’acqua) potrebbe servire per uso irriguo in agricoltura. Le acque reflue depurate possono servire negli impianti di raffreddamento industriali. O per l’alimentazione delle caldaie, come acqua di processo e nell’edilizia. Nei centri urbani potrebbero essere utilizzate per irrigare parchi e zone residenziali e per usi ricreativi: dalle fontane alla ricarica di laghi e corsi d’acqua.

Purtroppo tutto questo non avviene. E l’acqua questa importantissima risorsa, viene sprecata. Secondo i ricercatori di REF ricerche uno dei motivi sarebbe che, in Italia, il riuso delle acque depurate è finanziato principalmente con risorse pubbliche o sovvenzioni incrociate. Settori spesso non regolamentati come si dovrebbe e privi di un assetto condiviso. “È il momento di creare le condizioni normativo-regolatori affinché le tecnologie di depurazione e affinamento delle acque reflue si diffondano e il riuso delle acque entri finalmente tra le buone pratiche sia in agricoltura sia nell’industria”, hanno dichiarato.

Secondo REF ricerche la soluzione potrebbe essere far ricadere i costi di investimento (Capex) e quelli di gestione (Opex) degli impianti dedicati all’affinamento di acque reflue per il riuso industriale o agricolo nella tariffa del servizio idrico integrato.

Nei giorni scorsi (il 26 giugno) è entrato in vigore il Regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo EU 2020/741. Una norma importante. Non solo perché definisce i requisiti minimi per l’utilizzo in ambito irriguo delle acque di recupero. Ma anche perché promuove un utilizzo sostenibile dell’acqua (tema questo già trattato dalla direttiva quadro sulle acque, Direttiva 2000/60/CE).

Ma non è questo l’unico modo di sprecare risorse idriche importanti.

Mediamente in Italia, il 36,2% dell’acqua trasportata dalla rete idrica non raggiunge il consumatore. Nel 2020 (secondo i dati ISTAT) dei 2,4 miliardi di metri cubi immersi nella rete ben 0,9 sono andati dispersi. Una perdita giornaliera media di 41 metri cubi d’acqua (un metro cubo d’acqua equivale a mille litri) per chilometro di rete. Una quantità enorme. Che grava sulle tasche dei cittadini (sono loro che pagano queste perdite). Ma che ha un peso non indifferente anche sulle riserve idriche nazionali: molte centrali idroelettriche hanno dovuto chiudere a causa della mancanza di acqua. Cosa che non sarebbe mai avvenuta senza questi sprechi.

Anche in questo caso, se ne parla poco e si fa ancora meno. Eppure in alcune regioni le quantità di acqua perdute sono enormi. In Sicilia la percentuale di acqua che non raggiunge i consumatori è del 51%. Vale a dire che di quella che esce dai bacini di raccolta oltre la metà si perde strada facendo. Eppure, stranamente, non si è sentito nessun politico parlare di rifare gli impianti e risolvere questo problema. La rete di acquedotti italiani si estende per 425 mila chilometri (oltre 500 mila se si considerano anche gli allacciamenti). Ma come riportato anche dal FAI, il 60% di questa rete è stato costruito oltre trent’anni fa. Il 25% supera i 50 anni. Eppure nessuno parla di realizzare interventi per modernizzare (anche ricorrendo a nuovi sistemi per segnalare le perdite) la rete. Si preferisce spendere miliardi di euro per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina. Che costerà certamente di più e che avrà un impatto sull’ambiente ancora difficile da calcolare. Al contrario ridurre le perdite di acqua avrebbe un impatto positivo tutt’altro che secondario. Specie considerando, come si diceva prima, che in Sicilia buona parte del territorio è a rischio desertificazione.

Ma ancora non basta. Secondo alcuni, l’Italia al secondo posto tra i paesi dell’UE per prelievo di acqua dolce per uso potabile. Il prelievo di acqua pro capite, in Italia è di 153 metri cubi annui di acqua per persona. Peggio del Bel Paese solo alla Germania (con 157 metri cubi). Tutti glia altri paesi consumano molto meno. Seconda è l’Irlanda con 128 metri cubi per persona all’anno. Terza la Bulgaria (119). E poi la Croazia (111). La maggior parte dei paesi dell’UE si attesta tra 45 e i 90 metri cubi pro capite.

Questo significa che, c’è anche un problema di scelte. Eppure nessuno, in Italia, quando parla di siccità o di aridità o di rischio desertificazione, parla di “impronta idrica”. In Italia, l’impronta idrica, ovvero la somma tra l’utilizzo diretto e quello per produrre beni e servizi che vengono consumati, è tra le più alte in Europa (ancora una volta). Secondo il WWF, ogni italiano ha un’impronta idrica di circa seimila trecento litri d’acqua al giorno tra consumo diretto (per lavarsi, cucinare, pulire o innaffiare le piante) e indiretto (l’acqua utilizzata per produrre i beni e i servizi della vita di tutti i giorni). Questo significa che basterebbe cambiare stile di vita, scegliere prodotti meno invasivi sotto il profilo dei consumi idrici, ritornare alla dieta mediterranea (secondo alcuni esperti consentirebbe un risparmio medio di 1400 litri di acqua virtuale al giorno) per consumare meno acqua.

Siccità, aridità, desertificazione sono segni dei cambiamenti climatici. Ma anche (e non poco) della cattiva gestione di questa risorsa importantissima e di comportamenti irresponsabili.

Alessandro Mauceri

4/7/2023 https://www.lospessore.com/

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