Caro bollette, quarantennale virus senza vaccino
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QUANDO I NUMERI PARLANO
Ecco Salvini che reclama a gran voce un intervento contro l’aumento delle bollette di luce e gas. E Draghi che annuncia un “ingente intervento” economico al riguardo. Cercano di mettere una toppa ad un problema ormai generale, con l’occhio rivolto in particolare (come sempre) alle imprese.
Ma il problema sta esplodendo, per migliaia di famiglie. Siamo di fronte ad una crescita rapida e costante del prezzo delle fonti di energia, e quindi dei costi per l’elettricità (la cui produzione, a livello generale, dipende ancora in larga parte dalle fonti fossili; in Italia, in realtà, ha grande peso l’energia idroelettrica) e del gas.
Va ricordato che esiste una vera e propria “Borsa dell’energia”, che ha sede ad Amsterdam. Qui, le quote sono passate dai 22 € per MW/h del maggio 2020 agli attuali 140 € per MW/h. Esiste anche un meccanismo per cui le industrie possono sforare i limiti fissati per le emissioni di CO2, a condizione che esse “acquistino” le quote eccedenti, tramite l’emissione di appositi crediti: ciò prevede il Sistema Europeo per la riduzione della Co2. Tutti meccanismi, questi, esposti alla speculazione finanziaria (come quasi tutto, ormai, nel mondo). Non a caso il mercato finanziario dei “crediti CO2” è passato da 35 a 62 € per tonnellata. Su questa situazione si innesta anche il cosiddetto “rimbalzo” dei consumi e della produzione (ora già in fase di attenuazione) che ha fatto seguito al crollo determinato dal COVID.
In questo quadro, ARERA (l’Agenzia che si occupa della gestione dell’energia) ha comunicato già da tempo (anche se taluni mezzi di informazione sembrano accorgersene solo ora) gli aggiornamenti delle tariffe per il periodo che va dal 1° gennaio al 31 marzo: +55% per l’elettricità e +41,8% per il gas.
Gli interventi del governo, lungi dall’agire sulle cause, sfornano ogni tanto un provvedimento tampone, nell’ottica di intervenire tramite i cosiddetti “ristori”, tutti concepiti in via temporanea. Ciò si è tradotto, ad esempio, nel portare l’IVA al 5% (rispetto al 10% previsto fino alla quota di consumo di 480 metri cubi e al 22% per le quote superiori); nell’azzeramento degli oneri di sistema sull’elettricità e nella loro riduzione per il gas; nell’aumento dei bonus sociali.
Questi provvedimenti, tutti concepiti in via provvisoria, hanno sì inciso parzialmente, ma in misura tale da essere scarsamente percepibile dall’utente. L’aumento previsto sull’elettricità è così passato dal 65% al 55% mentre l’aumento per il gas è passato dal 59,2% al 41,8%. Il 2022 si annuncia come l’anno dei rincari. L’Unione Consumatori prevede una spesa per una famiglia-tipo (nel periodo fra il 1°aprile 2021 e il 31 marzo 2022) pari a 2.300 €. L’inflazione, a novembre, risulta pari al 3,7%, valore più alto dal 2008.
Tutto ciò comporta naturalmente una ricaduta significativa su tutti i capitoli di spesa familiari, dall’alimentazione ai trasporti, fino alla Scuola e, anche, alla Sanità.
Così come per beni irrinunciabili come la Casa, l’acqua, ecc. Per fare un esempio, gli aumenti della spesa alimentare si distribuiscono sui costi di produzione e trasporto, sui costi per le materie prime, per gli imballaggi, fino ai mangimi e ai concimi utilizzati. Così come si prevedono pesanti ricadute anche sul piano occupazionale: la CGIA di Mestre prevede che, nei primi 6 mesi del 2022, siano a rischio 500.000 posti di lavoro. In un Paese in cui 2,3 milioni di famiglie risultano in stato di “povertà energetica”, hanno cioè problemi a riscaldarsi nei mesi invernali!
Come rispondere a tutto ciò? Intanto, servono interventi strutturali, e non interventi tampone, sull’IVA come sulle accise, come sugli oneri di sistema (portandone ad e esempio l’onere su una fiscalità generale progressiva). Possono anche servire interventi immediati di ristoro: che resteranno però inesorabilmente insufficienti se permarrà il rifiuto, da parte del governo (al di là di dichiarazioni che non costano niente), di intervenire sugli enormi extra-profitti realizzati dalle aziende produttrici e distributrici di energia; se non verranno prese serie misure per contrastare la speculazione finanziaria (si scommette anche sull’aumento dei prezzi dell’energia); se, più in generale, non si metterà mano al sistema fiscale in direzione diametralmente opposta all’andazzo attuale, e quindi in direzione di una vera e sostanziale progressività. E, ancora, se non viene superata la logica delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, che hanno favorito e favoriscono non la cosiddetta concorrenza, ma le grandi multiutility del settore. Che dire, ad esempio, del passaggio al mercato libero, previsto per la fine del 2023, destinato ad aggravare pesantemente una situazione già fuori controllo?
Ma c’è anche, grande come un macigno, il tema dimenticato, ma assai reale, del salario delle lavoratrici e dei lavoratori. Pochi ne parlano, ma su 41 Contratti Nazionali di Lavoro vigenti, 32 sono scaduti e tuttora in attesa di rinnovo. Quelle categorie che, incautamente, avevano sottoscritto Contratti con aumenti previsti in base al cosiddetto indice IPCA (depurato, guarda caso, proprio dell’aumento dei prezzi dell’energia!), si stanno ora rendendo conto dell’errore commesso. Sorge ovvia una domanda: come stanno affrontando questa situazione le organizzazioni sindacali?
Che cosa si aspetta a sviluppare uno sforzo di mobilitazione e proposta a tutto campo? Che fine hanno fatto le dichiarazioni fatte nelle piazze dello Sciopero Generale indetto da CGIL e UIL nel dicembre dell’anno scorso? Siamo già in ritardo e la situazione sta per esplodere, con il rischio concreto che venga gestita in maniera distorta dalle forze della destra. Non è possibile abbandonare a loro stessi e a loro stesse i lavoratori, le lavoratrici, i giovani e le giovani, tutti quei settori popolari che stanno pesantemente subendo sulla loro pelle questa drammatica situazione? Anche qui, i numeri parlano: è cresciuto il “lavoro povero”, cioè cresce il numero delle persone che, pur avendo un lavoro, vivono in povertà.
Non è un modo di dire: 1 lavoratore/lavoratrice su 4 è prossimo alla soglia “ufficiale” di povertà! E ciò avviene in un contesto in cui la situazione economica comincia a dare segni di “rifrenata”(come ha titolato, qualche settimana fa, L’Espresso). Dove anche l’aumento del PIL di oltre il 6% sta ripiegando già, se tutto va bene, intorno al 4%. Dove i nuovi posti di lavoro sono per il 77% lavori a termine, anche brevissimi. L’aumento del costo della vita, in questo quadro, supera di 6 volte il pur esile aumento degli stipendi.
Non credo che serva molto altro per motivare la necessità di una forte ripresa di movimento per difendere (banalmente?) le stesse condizioni e possibilità di vita dei ceti popolari (cioè noi stessi).
Viene in mente, in conclusione, una suggestione, difficile forse, o poco realistica. Ma vi ricordate (ci ricordiamo) che in questo Paese esisteva un sistema di recupero automatico del costo della vita che si chiamava Scala Mobile? Ci è stata portata via nel modo che sappiamo, ma resta un punto di riferimento da tenere presente, nella prospettiva di necessaria ripresa di movimento di cui si è detto.
Non ci sono le risorse? In base al recente rapporto Oxfam, dall’inizio del COVID, 36 miliardari, in Italia, hanno visto crescere la loro fortuna di 47,7 miliardi di €, cifra sufficiente all’erogazione di un contributo di 7.500 € per ciascuno/a dei 6 milioni di poveri/e esistenti in Italia. Le 10 persone più ricche del mondo, dall’inizio del COVID, hanno incrementato il loro patrimonio di 540 miliardi di $. In Italia, il 10% più ricco della popolazione possiede 6 volte la ricchezza complessiva posseduta dalla metà più povera della popolazione.
Sono solo alcuni esempi.
Fausto Cristofari
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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