Sanità Emilia Romagna, a chi serve oggi?

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Opinioni personali:

  • quando vi dicono che l’Emilia-Romagna nella sanità è eccellenza e che la Lombardia è l’emblema della privatizzazione, ecco, non è vero.
    In entrambe il Servizio Sanitario Regionale di diritto pubblico è oramai sussidiario al SSR di diritto privato di cui la Lombardia se ne fa vanto mentre l’Emilia-Romagna lo nasconde;
  • quando vi dicono che tutto peggiora per colpa dei tagli trasversali alla spesa sanitaria da parte dello stato, ecco, non è vero.
    Il problema è che i tagli li paga solo il SSR di diritto pubblico costretto addirittura a distrarre risorse a favore del SSR di diritto privato ( in convenzione ) e a fronteggiare il maggior peso nel bilancio dei costi di risorse umane, strumentali ed architettoniche che comunque deve garantire per legge.
    Puoi bloccare le assunzioni, puoi saltare la manutenzione delle apparecchiature ed il loro rinnovamento ma le risorse architettoniche non puoi ridurle e/o farle diventare fatiscenti.

C’è bisogno di qualche definizione:

  • il SSR è il prodotto della regionalizzazione del SS Nazionale di diritto pubblico che eroga prestazioni sanitarie grazie ai fondi che riceve dallo stato.
  • il SSR è impropriamente definito pubblico in quanto formato da quello di diritto pubblico, rappresentato da tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche, e dal SSR di diritto privato rappresentato da strutture private accreditate, ovvero strutture sanitarie che erogano prestazioni per conto e a costo del SSR pubblico, è quest’ultimo che gli cede prestazioni che non può ( o non vuole, ahimè! ) erogare;
  • nel SSR ha titolo di appartenenza anche il privato “ puro “ ovvero strutture o singoli professionisti che erogano prestazioni a chi li ingaggia a proprio e totale onere economico. È il vero privato, quello che ha il rischio di impresa.

PNRR, MISSIONE 6 E IL CASO EMILIA-ROMAGNA

La missione 6 del PNRR viene spalmata sul comparto di tutte le regioni attraverso il DM77 che però prevede risorse umane a legislazione vigente. No assunzioni. Semplice semplice.

È possibile? Forse sì se impieghi tanto personale pubblico nella governance del servizio.
Ma cosa succederà a furia di pensionamenti, blocco delle assunzioni ed il numero chiuso all’università quando si arriverà alla situazione estrema delle risorse umane mancanti?

La mission è il ripristino della medicina territoriale. Come?

Il DM77 indica l’organizzazione del servizio sanitario che prevede in sostanza:

  • Casa di Comunità ( CdC ) Hub ( ex casa della salute ogni 100.000 abitanti in media ) e Spoke ( strutture ambulatoriali anche private) disseminate sul territorio;
  • Centrale operativa territoriale (COT ), è il ganglio tecnologico di gestione dati;
  • Ospedale di Comunità ( OdC ) sono strutture di ricovero a tempo determinato e a prevalente gestione infermieristica per la formazione del paziente nella gestione della sua cronicità unica o nuova insorgente.

Esistevano due principali porte d’accesso al servizio sanitario ma a furia di rimodulazioni (?), e conseguente taglio di posti letto, ora tutto passa dal pronto soccorso a partire dal più semplice colpo di tosse.Il DM77 prova a rispristinare l’equilibrio.Nella CdC la equipe multidisciplinare e i team delle cure intermedie ( dall’ospedale al territorio ) attraverso il PUA ( punto unico d’accesso ) prendono in carico l’utente in collegamento bidirezionale con le COT.Grazie alla profilazione dell’utente ed alla automatica stratificazione della popolazione ( anagrafe sanitaria ) nelle COT si realizzerebbe la partenza del percorso delle “ Ammissioni e Dimissioni Protette “.Sapere quando un utente, colpito da un’acuzie, accede al pronto soccorso e quando, terminata, viene dimesso e con che modalità ha lo scopo di detensionare il pronto soccorso ed i reparti di lungo degenza dove in genere vengono parcheggiati perché le strutture territoriali anche solo banalmente non sanno di doverlo prendere in carico. A questo punto si potrebbe dire che il DM77 ha l’ambizione di riordinare in un solo colpo i servizi territoriali e il flusso delle acuzie che tanto impegna qualsiasi pronto soccorso

ed i reparti di lungodegenza.
Sarebbe il mondo ideale se non ci fossero due limiti rappresentati dall’obbligo della riorganizzazione con personale a legislatura vigente e l’appalto o cessione della salute e dei servizi territoriali alle CdS spoke che, magari non da subito e speriamo non tutte, potrebbero diventare a gestione privata accreditata.
Leggi privatizzazione dei servizi territoriali in misura decisa da ogni regione.

Il modulo teorizzato nel DM77 della CdC spoke è la farmacia ed il poliambulatorio privato.

Perché questo produce il “ caso Emilia-Romagna”?

Perché se si conosce la storia della gestione organizzativa del SSR dell’E-R degli ultimi venti anni e se ci si ricorda che nel ministero di Speranza c’erano Sandra Zampa e Giovanni Bissoni, ecco, riesce facile individuare l’apporto, nel bene e nel male, dell’E-R nel DM77.

Ancora, non è nella spinta aziendalistica del “ sistema “ sanitario dell’E-R il tentativo di privatizzare tutto ciò che è appetibile per il privato lasciando al pubblico il resto e ampie opportunità per accogliere quella migrazione sanitaria che tanti incassi porta alla regione?

Nel primo mandato di Bonaccini l’Assessore Venturi rimodula il servizio dell’emergenza-urgenza togliendo il medico dalle ambulanze ricollocandolo nel pronto soccorso e nell’automedica in un contesto di forte riduzione numerica di entrambi.
Ancora, copia il modello lombardo della CUR 112 ( il numero unico europeo per l’emergenza ) con personale “ laico “ ( ovvero privato ) buttando nella spazzatura in un sol colpo tutta la storia del 118 nato di fatto con il terremoto in Irpinia e con la strage del 2 Agosto.

Nel secondo ed attuale mandato l’Assessore Donini va a scuola in Lombardia dove impara come finanziare i privati con i fondi del PNRR e produce i primi vagiti di CdC di privati.
La Legge regionale Moratti sostiene che il privato in Lombardia svolge un ruolo pubblico e quindi può accedere ai fondi del PNRR. Speranza nulla da obiettare. Alè!

Non contento ed in barba al modello potenzialmente vincente di ammissioni e dimissioni protette introduce i Cau ( Centri di assistenza per l’urgenza a bassa complessità clinica ed assistenziale ), strutture di prima accoglienza per chi ha il buon senso, non trovando il proprio MMG (medico di famiglia), di non andare subito al pronto soccorso e dove i non residenti pagheranno il ticket al professionista, non sei cittadino italiano, conta la residenza.

Ma ci sono le risorse umane per la gestione dei Cau?
No, e ciò è dimostrato anche solo dall’aumento da 1500 a 1800 il tetto degli assistiti di un MMG ( medico di famiglia ) e dal riconoscimento economico quasi doppio per i “ nuovi “ 300.
Le borse di studio per la scuola di specializzazione di medicina d’urgenza rimangono vacanti.
Sarà quindi facile immaginare che a brevissimo gli operatori dei Cau eserciteranno in libera professione ( accreditati o meno, direttamente in proprio o attraverso persona giuridica ) sotto l’ombrello pubblico che gli risolve il problema della connessione alla rete dati.
Se una CdC spoke viene gestita da privati accreditati non può avere il PUA perché non può connettersi alla rete in quanto glielo impedisce
il codice Privacy sui dati sensibili.
Ma se eroghi prestazioni in un Cau il problema è risolto.

Ma perché tutta la genialità messa in campo per risolvere i problemi del privato accreditato non è possibile usarla per risolvere i problemi di salute?
Una volta che sei riuscito a far scappare il personale da ogni pronto soccorso che provi a risolvere con i Cau e dopo aver trasformato il trasformabile in IRCCS tagliando centinaia di posti letto cosa ti rimane da fare?

Semplice: infilare i privati nelle strutture ospedaliere per eliminare i costi delle risorse architettoniche.
Gli faranno pagare affitto? Ardua la risposta.
E le manutenzioni ordinarie e straordinarie? Quelle le paga il proprietario. Portierato, sicurezza, amministrazione ecc.?

La Tutela della Salute è già regionalizzata? Si, ma può andare decisamente peggio!

immagina, puoi!

Antonio Madera

Medico. Bologna

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