“C’È CHI LO CHIAMA JOBS ACT”, INVECE È UNA MENZOGNA
Proprio così, si tratta di una vera e propria menzogna. Quanto scritto dal segretario del Pd e presidente del consiglio dei ministri, non è un’enfasi su qualche dato, ma vera e propria falsificazione dei dati.
Matteo Renzi, infatti, come fa da diversi mesi a questa parte, spaccia per nuovi posti di lavoro quelle che di fatto sono trasformazioni di contratto esistenti. Non è una novità: Renzi va avanti in questo modo da molto tempo, raccontando balle sull’occupazione di un Paese che non mostra segni di ripresa. I nuovi contratti, infatti, sarebbero poco più di 100.000. E se il presidente del consiglio lo chiama Jobs act, dovrebbe smentire se stesso.
Poco più di un anno fa, infatti, Renzi guardava il bicchiere mezzo pieno e affermava che «Gli occupati stanno aumentando, con più di centomila posti di lavoro da febbraio». (v. la Repubblica, 28 novembre 2014) Anche in quel caso stava manipolando i dati a proprio piacimento, ma la questione da sottolineare è che quando l’imbonitore di Palazzo Chigi diceva quelle cose il Jobs act non era stato approvato. Ma con quel provvedimento il governo ha regalato alle imprese diversi miliardi di euro, senza ottenere alcun significativo miglioramento dell’occupazione, mentre è aumentata la precarietà, che rimane la forma contrattuale preferita dalle imprese, come mostrano anche le ultime elaborazioni sul Jobs act.
Secondo la Cgil, i provvedimenti del governo Renzi di «deregolazione del lavoro che vanno sotto il nome di Jobs Act e dei connessi incentivi previsti dalla precedente Legge di stabilità», sono costati 5,9 miliardi di euro solo nel 2015. Ma a questa spesa ha corrisposto un aumento degli occupati a tempo indeterminato di (udite udite!) meno di 2.400 unità. Due milioni e mezzo di euro per ogni nuovo occupato a tempo indeterminato. E comunque le imprese continuano ad assumere soprattutto con contratti precari, come dimostrano i 178.000 neoassunti con contratti a tempo determinato rilevati dalla Cgil.
C’è un altro studio che conferma il totale fallimento del Jobs act in termini di politiche per l’occupazione: il Labour Market Reforms in Italy: evaluating the effects of the Jobs Act, elaborato da Marta Fana, Dario Guarascio e Valeria Cirillo, tre ricercatori italiani che hanno curato il progetto per conto della Isi Growth.
Secondo questo studio il Jobs act sta fallendo rispetto ai suoi principali obiettivi: promuovere l’occupazione e ridurre la quota di contratti atipici. Viene segnalato, infatti, che l’aumento dei contratti a tempo indeterminato è dovuto principalmente a trasformazioni contrattuali e non alla creazione di posti di lavoro: «In particolare, gli incentivi monetari per le imprese non sembrano tradursi in nuova occupazione permanente ma soprattutto in trasformazione dei contratti a tempo determinato in permanenti».
Inoltre, lo studio di Fana, Guarascio e Cirillo mostra come «una possibile spiegazione del tale calo dei contratti a tempo indeterminato – che va contro le dichiarate intenzioni sia della legge Jobs e il sistema di incentivi – può essere correlata alla ulteriore liberalizzazione nell’utilizzo di contratti a tempo determinato». E ciò, nonostante «questi nuovi contratti a tempo indeterminato sono tali solo nominalmente in quanto rendono estremamente conveniente (per le imprese) il licenziamento e privano i lavoratori della reintegrazione».
Insomma, niente di nuovo sul fronte del lavoro. Le menzogne di Renzi non possono nascondere i suoi fallimenti che si traducono con l’occupazione che non aumenta, a differenza dei soldi regalati alle imprese insieme alla precarietà estesa a tutti i livelli.
Con il Jobs act il governo guidato dal segretario del Pd ha finanziato con la fiscalità generale, praticamente con i soldi dei lavoratori, l’aumento della precarietà e della ricattabilità degli stessi lavoratori. I padroni, sentitamente, ringraziano.
Carmine Tomeo
19712/2015 www.lacittafutura.it
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