Centralizzazione capitalistica e catastrofe democratica
Ho intitolato queste mie note con il titolo “Centralizzazione capitalistica e catastrofe democratica” perché ho lavorato su questo tema, alcuni anni fa, sotto la guida del grande maestro costituzionalista Gianni Ferrara; che, soprattutto nell’attuale contesto, ci manca molto.
E’ la tesi che Emiliano Brancaccio, nel suo ultimo testo, Democrazia sotto assedio, sintetizza con queste parole:” la centralizzazione capitalistica spinge verso un accentramento del potere, non solo economico ma a lungo andare anche politico, e per questo è destinato a compromettere la divisione dei poteri e il sistema dei diritti su cui reggono le democrazie liberali contemporanee. La tendenza verso la centralizzazione del capitale ha due caratteristiche: da un lato accresce i rischi di catastrofe democratica dei diritti, ma dall’altro determina anche polarizzazione tra le classi sociali e uniformizzazione della classe lavoratrice”. A questo processo strutturale, già analizzato da Marx, si aggiunge oggi la guerra in Europa all’interno del contesto pandemico: gli assetti democratici stanno rischiando la dissoluzione. I processi decisionali delle democrazie liberal/liberiste subiscono, infatti, una forte torsione oligarchica ed autoritaria. Dopo la caduta del Muro di Berlino ci avevano promesso “magnifiche sorti e progressive” alimentate dalla globalizzazione liberista ad assoluta egemonia statunitense. Non è andata così (ed osammo prevederlo subito, controcorrente). Si è, invece, accentuata la competitività capitalistica e il feroce scontro internazionale tra capitali. Le diseguaglianze globali si sono accentuate, non solo sul piano sociale ma anche sul piano territoriale , seguendo anche un tracciato geopolitico. L’egemonia USA sul processo si è indebolita; e la competizione con altri sistemi economici in espansione accentua l’aggressività espansionista , proprio nel rifiuto USA di un assetto multipolare. E’ lo schema delle nuove “guerre fredde”. I due principali poli contrapposti saranno sempre più USA e Cina, ovviamente. Ha assunto un ruolo fondante il complesso militar-industriale ; il militarismo cresce a dismisura nello scacchiere geopolitico globale. L’Unione Europea oscilla tra la piena subalternità alla Nato e velleità di una difesa comune europea in parte autonoma. Divisa nettamente tra la “vecchia” Europa a traino franco /tedesco , che vive, comunque, dopo Merkel, un riassetto dei poteri al suo interno; e la “nuova” Europa, a stretta osservanza USA. Ovviamente la guerra in corso, il cui esito ancora non conosciamo mentre scrivo, produrrà, soprattutto in Europa, sconvolgimenti profondi sul piano strutturale, finanziario, di rapporto tra popoli. Il “sistema di sicurezza” europeo, comunque, vedrà un forte aumento delle spese militari e la formazione di un “esercito europeo” professionalizzato ed imperialista. E’ intanto già caduto l’ultimo “tabù” della Seconda Guerra Mondiale: il riarmo esplicito, non più ipocritamente nascosto, della Germania. In Europa la discriminante nazismo/antinazismo è un residuo di un passato ormai negato dagli Stati più potenti. Un corollario niente affatto trascurabile dei nuovi assetti militaristi sono il “liberismo xenofobo” e il “fascismo delle frontiere”. Come già quindici anni fa aveva intuito Dahl, il collasso del capitale liberaldemocratico determina quella che efficacemente chiama “fuga dalla democrazia”. L’intervento pubblico, che cresce, dentro una tendenza protezionista e, in alcuni casi, predatoria, supporta la forma contemporanea di “capitalismo statalizzato”; le risorse per ricostruire le catene del valore del capitale ce le mette lo Stato con la fiscalità pubblica. La centralizzazione capitalistica evoca, di conseguenza, anche una potenzialità per le sinistre anticapitaliste: l’argomento forte di rilanciare la concezione dell’intervento pubblico, della programmazione democratica . Aprendo una grande discussione, da decenni rimossa: ripensiamo lo Stato. Non solo “quanto” Stato. Anche: “quale” Stato? Quale autogestione, quale autorganizzazione? Il nobile, antico stato sociale che il movimento operaio ha costruito eroicamente, dovrà diventare anche Stato meticcio, nella società degli “scarti”, degli “invisibili”, della precarietà come dimensione antropologica. Nella moderna contraddizione capitale/vita. Ricostruire conflitto sociale, programmazione democratica, soggettività politiche significa anche egemonia dei diritti.
DEMOCRAZIA ASTRATTA E DISEGUAGLIANZE REALI
Già Marx ne La questione ebraica denunciava il tentativo borghese di creare una eguaglianza astratta rimuovendo le enormi disparità sociali. La libertà politica è forte solo quando è aperto il conflitto sulle condizioni sociali. Crescono, altrimenti, populismo penale e securitarismo dello “Stato penale”. Si sta ora rafforzando, non a caso, una vera e propria architettura globale di sorveglianza. Sono cresciute una miriade di imprese specializzate nel mercato del “controllo securitario”: riconoscimento facciale, sorveglianza biometrica, ecc. Lo Stato del “controllo” vive di prevenzione, di omologazione, di massificazione, ma anche di repressione dei conflitti e delle “diversità”. Pandemia e guerra sono nuovi principii ordinatori : formano il senso comune, e lo “Stato di eccezione” rischia di diventare norma, supinamente accettata. Lo scontro presunto tra “sovranismo” e ” liberismo” (tanto esaltato ,in Italia, dal centrosinistra) è in massima parte finto ( come fu, del resto, in condizioni storiche diverse, con il nazismo ed il fascismo). L’attuale fase della globalizzazione, in Italia, come in Francia, nella Gran Bretagna, è retta dal “populismo tecnocratico”, di cui il “bonapartismo” dei signori della moneta diventa protesi di governo. Esso non tollera pensieri critici e cancella il conflitto antiliberista dalla scena pubblica, in una società fievole e frantumata. E’ l’altra faccia della crisi della democrazia costituzionale, che si intreccia con la quasi completa dissoluzione dei canali della rappresentanza (partiti, associazionismo, corpi sociali intermedi). Il maggioritario, in fin dei conti, è l’espressione istituzionale della tendenza oligarchica. I fenomeni di centralizzazione hanno una doppia implicazione: da un lato la catastrofe dei diritti; dall’altro, per un movimento sociale oggettivo, concentrano anche le forze sociali sfruttate, perché si semplifica la loro interna eterogeneità. La valorizzazione in direzione anticapitalista di questa oggettività dipende dalla capacità di costruzione di punti di vista e soggettività politiche antisistema, dalla individuazione di chiavi di lettura e proposte di intelligenza collettiva che diventino campagne di massa.
PIANIFICAZIONE COLLETTIVA
Concordo con Brancaccio: è, a questo punto, centrale la rilettura della pianificazione collettiva come “propulsione anche di libera individualità sociale”. Del resto, la crisi della globalizzazione è crisi costituente , è nuovo sistema di governo. Mutano nel profondo le stesse forme democratiche. Come ricorda D’Alessandro nel suo testo L’uomo neoliberale : Capitale globale e crisi della democrazia, già la Commissione Trilaterale nel 1977 indicava la strada della verticalizzazione delle decisioni. Si svuotano luoghi e spazi democratici. Nella crisi, i padroni sigillano l’affermazione dell’ordine neoliberale. Richard Sennet scrive di “corrosione dei caratteri” provocata dalla precarietà come fattore di identità sociale; nel vuoto assoluto di una visione del mondo anticapitalista.
LA CRISI DEL DIRITTO
La crisi della globalizzazione è anche crisi del diritto; “il diritto è determinazione umana della condizione umana e, perché umana, sociale”, come già nel 1826 scriveva Hegel in Lineamenti di filosofia del diritto. Marx reinterpretò il concetto. Il diritto nasce dallo scontro tra due soggetti strutturati: tra sfruttatore e sfruttato. I rapporti di produzione entrano nella dimensione del giuridico. Il nesso è illustrato da Marx nei Manoscritti economico – filosofici del 1884:” su che cosa riposa il capitale , cioè la proprietà privata dei prodotti del lavoro altrui? Come si diventa proprietari di capitali produttivi? Come si diventa proprietari dei prodotti, creati per mezzo di questi capitali? Mediante il diritto positivo”. Il capitale, infatti, ha necessità di apparati normativi. Oggi chiamiamo “ordoliberismo” il tessuto sistemico che protegge e alimenta i percorsi di accumulazione. Ma il diritto è, storicamente, anche leva di organizzazione democratica della società, della comunità. Penso a J.J. Rousseau: il “terreno cintato” è il fondamento della disuguaglianza tra le persone; ma vanno “abbattuti paletti e fili spinati” posti dal padrone costruendo il nuovo contratto sociale. E’ anche il tema dell’oggi. Chi decide cosa sia lecito e cosa sia illecito? La liceità alternativa sarà parte della soggettività anticapitalista. Aggiungo che andiamo speditamente verso la digitalizzazione veloce. Serge Halimi ci ammonisce:” in tempi di catastrofe i dispositivi di sorveglianza sono molto popolari. Ma essi sopravvivono sempre alle condizioni che li hanno generati. In questo senso, la crisi del corona virus potrebbe costituire una prova generale che prefigura la dissoluzione degli ultimi focolai di resistenza al capitalismo digitale ed all’avvento di una società senza contatto”. E’ tempo, allora, di osare, di azzardare pensieri forti. O saremo antisistema , molto radicali e molto plurali; o non saremo.
Giovanni Russo Spena
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