C’era una volta l’abuso d’ufficio

Il governo ha approvato un disegno di legge che abroga il reato di abuso di ufficio. Lo si giustifica con la “paura della firma” dei funzionari pubblici. Ma quali saranno le ricadute sul rispetto di principi costituzionali da parte dei dipendenti della Pa?

La paura della firma

Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge che contiene “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziari”. Tra le otto norme, vi è quella che abroga il reato di abuso d’ufficio previsto dall’art. 323 del codice penale..

Le ragioni ispiratrici sono contenute nella relazione di accompagnamento nella quale si evince che il numero delle iscrizioni nel registro degli indagati resta ancora alto, 4.745 nel 2021 e 3.938 nel 2022, e che di questi procedimenti 4.121 sono stati archiviati nel 2021 e 3.536 nel 2022. Nella sua audizione in commissione Giustizia alla Camera, per la presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero, il ministro Nordio ha definito l’abuso d’ufficio un reato “evanescente”, da rimuovere affinché la ripresa del paese possa essere facilitata da una più puntuale delimitazione delle responsabilità. In troppi casi, i pubblici funzionari si astengono dall’assumere decisioni, che pur riterrebbero utili per il perseguimento dell’interesse pubblico, preferendo assumerne altre meno impegnative per il timore di esporsi a possibili addebiti penali (la cosiddetta “paura della firma”).

“Paura della firma” e “burocrazia difensiva”, indotte dal timore di un’imputazione per abuso d’ufficio, si tradurrebbero oggi, in quanto fonte di inefficienza e immobilismo, in un ostacolo al rilancio economico richiesto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che necessita, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente. Il solo rischio del coinvolgimento in un procedimento penale, con i costi materiali, umani e sociali (per il diffuso clamore mediatico) che comporta, basta a generare un “effetto di raffreddamento”, che induce il funzionario a imboccare la via per sé più rassicurante.

Un reato tormentato

La figura criminosa dell’abuso d’ufficio è stata percorsa nel tempo da una perenne tensione tra istanze legalitarie, che spingono verso un controllo a tutto tondo, atto a fungere da freno alla cattiva gestione della cosa pubblica, e l’esigenza di evitare un’ingerenza pervasiva del giudice penale sull’operato di pubblici amministratori e di pubblici funzionari, lesiva della sfera di autonomia a loro spettante. Per tale ragione, questo reato, nato nel 1930, ha subito modifiche nel 1990, nel 1997 e più di recente nel 2020, nel tentativo di delineare contorni più definiti del fatto tipico, nel rispetto delle ragioni di garanzia che governano la materia penale e con l’obiettivo di contenere l’uso dell’astratta incriminazione penale.

Gli impegni internazionali

Il nostro paese si è vincolato all’osservanza della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a Merida dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003, con la legge di ratifica n. 116/2003. L’art. 19 della Convenzione, rubricato “Abuso d’ufficio”, così recita: “Ciascuno stato parte esamina l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona o entità”.

Peraltro, alcuni mesi dopo lo scoppio del “Qatargate”, la Commissione europea ha presentato una “Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione mediante il diritto penale”, con l’obiettivo di garantire che tutte le forme di corruzione siano considerate reato in tutti gli stati membri, che anche le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili di tali reati e che i reati, tra i quali l’abuso di funzioni, siano puniti con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive. 

I principi costituzionali

A questo punto occorrerebbe anche riflettere sulle ricadute che l’abrogazione avrebbe sui valori di riferimento costituzionale che hanno fin qui alimentato il reato: il rispetto del principio di buon andamento e imparzialità della Pa (art. 97 Cost.), l’adempimento con disciplina e onore delle funzioni pubbliche affidate ai dipendenti della stessa (art. 54, comma 2, Cost.) e lo svolgimento delle funzioni pubbliche da parte dei dipendenti al servizio esclusivo della nazione (art. 98, comma 1, Cost.).

Se è infatti vero che le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono in quella penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni e che l’incriminazione costituisce anzi un estremo rimedio, cui il legislatore ricorre quando nel suo discrezionale apprezzamento lo ritenga necessario per l’assenza o l’inadeguatezza di altri mezzi (Corte cost. sent. n. 37/2010), è altrettanto vero che il disegno di legge in questione non prevede alcuna misura alternativa all’abrogando reato. Né tale rimedio risulta già presente nell’ordinamento. Infatti, al netto del giudice amministrativo (che notoriamente viene attivato solo da chi si ritiene leso dalla condotta del funzionario infedele), della Corte dei Conti (che agisce solo nel caso in cui da tale condotta derivi un danno per l’erario) e della rara ipotesi di responsabilità disciplinare promossa dall’attento superiore gerarchico, nessuna sanzione sarà più irrogata al pubblico funzionario o al pubblico amministratore che con coscienza e volontà deciderà di rilasciare una concessione edilizia in un’area non edificabile, al presidente di commissione d’esami che altererà il risultato di un concorso pubblico, di un presidente di seggio elettorale che attribuirà volutamente un voto ad altro candidato o di un funzionario che suggerirà informazioni strategiche a un imprenditore per consentirgli di aggiudicarsi una fornitura. La casistica sarà tanto vasta quanto vaste sono le tipologie di azioni amministrative quotidianamente promosse nella galassia dei pubblici poteri. L’infedele funzionario della Pa, che dovrà solamente avere cura di non intascare danari, o prebende equiparate, per non scivolare nei diversi e più gravi reati corruttivi, potrà abusare tranquillamente delle proprie funzioni pubbliche senza avere più lo scrupolo di osservare la fedeltà alla Repubblica richiesta dalla Costituzione e le correlate leggi con disciplina, onore ed etica professionale. 

Massimo Greco

23/6/2023 https://lavoce.info/

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