“Che cosa ricordo del G8 di Genova? Ricordo Tutto. Dobbiamo ricordare tutto”
Ricordo i sacchi a pelo, gli zaini, le persone nella palestra della scuola Diaz-Pertini che parlottano; quelli che già dormono, per terra; il mio zaino nell’angolo a sinistra; il sonno che arriva presto; ricordo i rumori che mi svegliano; l’ingresso degli agenti, di corsa, urlando; le persone con le mani alzate che dicono, nemmeno urlando semmai implorando “no violence”; gli agenti che corrono, urlano e picchiano, a calci e colpi di manganelli tutti quelli che si trovano di fronte; ricordo gli agenti che arrivano nella mia direzione; due di loro che prendono a calci in faccia la ragazza seduta vicino a me; ricordo i due agenti che mi prendono a manganellate; i colpi spaventosi che mi arrivano sulle braccia, fortissimi, mentre mi riparo la testa; le braccia sanguinanti, deformate, gonfiori che sembrano palline da ping pong sotto la pelle; ricordo il sangue che scorre sugli avambracci e sotto le ginocchia; il dolore che mi impedisce di muovermi; gli agenti che picchiano altre persone; le grida di paura e di dolore; i pianti; l’agente con la camicia bianca che torna verso di me e mi riempie di botte sulla schiena, mentre sono adagiato a terra e tento di proteggermi la nuca; ricordo gli agenti che ci minacciano; la gente che piange; io che mi sposto strisciando alla parete di fronte, per eseguire l’ordine di radunarsi su quel lato; ricordo la gente che piange e dice mamma mamma; il ragazzo in crisi epilettica; la ragazza che mi consiglia di togliermi la maglia per tamponare una ferita sul braccio; io che non riesco a togliermi la maglia per il dolore al torace; ricordo il tempo che non passa; l’infermiere che arriva a mani nude e non sa da dove cominciare; il medico che separa i feriti più gravi dagli altri; le barelle che cominciano a caricare e portare via i feriti; il medico che dice di me: questo ha tutte e due le braccia rotte; ricordo l’infermiere che mi stecca le braccia con i cartoni rigidi di due quadernoni; ricordo la barella che mi porta fuori; l’agente con la camicia bianca che chiede all’infermiera dei guanti di lattice per non sporcarsi le mani con il sangue altrui; la gente al cancello che urla; gli agenti che fanno cordone; l’elicottero assordante sopra le nostre teste.
Ricordo l’ambulanza che mi porta in ospedale; le mie prime telefonate agli amici; il corridoio del pronto soccorso pieno di lettini; i medici che mi tolgono gli abiti e scoprono le ferite, gli ematomi; le radiografie; i punti che mi ricuciono le ferite; ricordo l’arrivo all’alba nella camera d’ospedale; i poliziotti che mi aspettano e mi dicono che sono in stato d’arresto ma non sanno dirmi perché; ricordo la disperazione; i poliziotti che parlano con me e sembrano stupiti; le batterie del telefono che si scaricano; i colleghi che vengono a trovarmi, anche se non potrebbero; i medici che mi visitano; le ore che non passano; il Corriere della Sera che racconta la mia storia e dice che sarò portato in carcere; ricordo gli agenti che mi sorvegliano anche in bagno; io che supplico i medici di non mandarmi in carcere; Arnaldo che viene portato nella mia camera; lui che conciona, con un braccio e una gamba rotti, sulla grande partecipazione ai cortei; gli agenti che ridono; il poliziotto di Bologna che conosce il mio collega che fa la nera; ricordo i magistrati che arrivano a interrogarmi; le strane domande che mi fanno: ha visto delle bombe molotov sopra un tavolo all’ingresso della scuola?; ricordo il terrore d’essere portato in carcere; l’agente che porta l’ordine di scarcerazione; i poliziotti che lasciano la camera; la signora che in piena notte è ancora sveglia e mi presta un caricabatterie; ricordo la telefonata per dire che mi hanno liberato; gli amici che da Milano vengono a prendermi per riportarmi a casa.
Di Genova 2001 ricordo tutto perché Genova stava cambiando molto, se non tutto. E molti altri, forse tutti quelli che si trovarono a Genova in quei giorni potrebbero raccontare quel che fecero, quel che videro, quel che subirono fino nei minimi dettagli, tale fu il trauma personale e collettivo. Un movimento competente e creativo fu fermato, anche se non distrutto, in quella calda estate del 2001. Non era troppo tempo fa ed è giusto ricordare tutto perché vorrebbero farci credere che siamo alla fine della storia, che la navigazione di piccolo cabotaggio è l’unica possibilità che abbiamo. È bene ricordare tutto, fino nei minimi dettagli, anche la parte più dolorosa di quei giorni, perché viviamo nel Paese della menzogna e dell’oblio e invece il futuro ha bisogno di poggiare sul meglio avvenuto in passato, pur senza dimenticare il peggio. Un movimento popolare è stato soffocato nel sangue e questo non si può perdonare, perché il Paese è stato spinto alla rassegnazione e alla mediocrità e la violenza delle istituzioni è stata proposta -e da molti accettata- come una soluzione. Ma dobbiamo ricordare ogni minuto che meno di vent’anni fa si è pensato di fare insieme, in tanti, con intelligenza, superando le frontiere, qualcosa di importante per il bene comune. È accaduto e quindi accadrà di nuovo. Dobbiamo ricordare tutto perché non è vero che la storia è finita.
Lorenzo Guadagnucci
18/7/2019 www.osservatoriorepressione.info
da Altreconomia
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