Che fine hanno fatto i rider?
Negli ultimi tempi è calata l’attenzione mediatica per le battaglie dei rider eppure sono in corso cambiamenti e conflitti che agitano il mondo del food delivery. E a settembre si discuterà la direttiva europea sui diritti dei lavoratori di piattaforma
Negli ultimi tempi le battaglie delle e dei rider sembrano essersi affievolite. Eppure, anche se l’attenzione mediatica è indubbiamente calata, numerosi sono i cambiamenti e i punti di attrito che continuano ad agitare il mondo del food delivery.
Il contratto collettivo pirata firmato dalle principali sigle del settore e Ugl andrà in scadenza il prossimo 3 novembre. Nel frattempo, alcune aziende – da UberEats a Getir – hanno deciso di abbandonare il mercato italiano per concentrare i propri sforzi economici altrove. Quel fronte compatto di aziende contrarie al riconoscimento di maggiori diritti e tutele per i rider sembra essersi sfaldato sotto i colpi della concorrenza, del calo di consumi dovuto all’inflazione e alla minore disponibilità di investimenti finanziari. Così, mentre a livello europeo prosegue il dibattito per l’approvazione di una direttiva che fa della presunzione della subordinazione il proprio cardine di azione, i lavoratori e le lavoratrici del food delivery sono di fronte a una nuova finestra di opportunità.
L’ambigua natura di Assodelivery
Assodelivery, l’associazione datoriale maggiormente rappresentativa nel food delivery e che all’origine includeva oltre a Deliveroo anche Glovo, Uber e Just Eat, è stata fondata il 7 Novembre 2018, pochi giorni dopo il primo incontro convocato dall’allora Ministro del Lavoro Luigi Di Maio. All’epoca la notizia fu accolta positivamente, solitamente infatti la costituzione di nuove associazioni datoriali precede la volontà delle parti datoriali di firmare un accordo collettivo. La popolarità raggiunta dalle mobilitazioni dei rider e la priorità che l’appena insediato governo gialloverde attribuiva alle rivendicazioni dei lavoratori faceva ben sperare rispetto a un esito positivo del tavolo di contrattazione.
Ben presto però le cose hanno preso una piega diversa. La postura adottata da Assodelivery negli incontri successivi tramite il suo rappresentante, il General Manager di Deliveroo Italia Matteo Sarzana, di certo non ha dato continuità alla volontà di intraprendere una contrattazione con i lavoratori. La controparte datoriale, infatti, non solo ha continuato a delegittimare le rappresentanze dei lavoratori sedute al tavolo, ma ha rivendicato per sé stessa la titolarità a rappresentare la volontà dei lavoratori. Il copione era sempre lo stesso: Matteo Sarzana – sempre solo lui – leggeva un testo elaborato giorni prima, senza degnare di risposta non solo le domande delle unions autorganizzate di rider, ma neanche quelle che provenivano dal governo e dalle altre parti convocate al tavolo. Così, dopo diversi incontri senza concludere nulla, apparve evidente come il fine di Assodelivery non fosse quello di raggiungere un accordo con i lavoratori, né di collaborare con il governo alla ricerca di soluzioni condivise, ma di ostacolare il più possibile ogni tentativo di normazione del settore. L’atteggiamento tenuto da Assodelivery durante le negoziazioni rivelava quindi l’ennesimo paradosso delle piattaforme digitali: impiegare gli strumenti tipici delle relazioni industriali per sabotarle. Invece di adattare il loro modello di business alla normativa, l’obiettivo era quello di adattare la normativa a quello che è sempre stato rivendicato come «l’unico modello possibile per il food delivery».
La determinazione delle altre parti in causa – in particolare delle unions – ha però spinto Assodelivery verso un cambio di passo: normare loro stessi il settore tramite una certificazione dello status quo basato sul cottimo e la presunta autonomia dei fattorini. Sono, infatti, questi i capisaldi dell’accordo stipulato assieme all’Ugl. Un accordo che arrivava a pochi mesi dall’entrata in vigore del decreto rider che prevedeva – attraverso il riconoscimento dell’etero-organizzazione, ex Art. 2 del Jobs Act – la possibilità per i rider di accedere ai diritti della subordinazione. Ad eccezione, però, nel caso della presenza di un accordo collettivo che ne derogasse la piena applicazione. Una clausola frutto del tentativo del governo di trovare una mediazione tra le varie esigenze che hanno popolato i tavoli di trattativa da maggio a novembre 2019, tra cui quella espressa dai sindacati confederali di favorire una regolazione del settore tramite contrattazione collettiva, e non per via legislativa come il governo aveva inizialmente proposto. Come spesso accade però, fatta la legge trovato l’inganno: in questo caso approfittando della complicità di un sindacato, Ugl, che fino ad allora non aveva partecipato a nessuna negoziazione in quanto considerato non rappresentativo per il settore. Tuttavia, la stipula di un accordo con Ugl ha consentito alle piattaforme associate ad Assodelivery di continuare a evitare il riconoscimento della subordinazione, riuscendo così a salvaguardare il modello di business definito dalle aziende, basato sulla retribuzione a cottimo e sull’assenza di una protezione lavoristica dentro e fuori il lavoro.
Un inaspettato momento di svolta si è verificato però pochi mesi dopo la firma tra Assodelivery e Ugl, quando Just Eat – nel frattempo acquisita dalla multinazionale takeaway.com – ha deciso di uscire da Assodelivery e di applicare il Contratto collettivo nazionale Logistica Trasporti e Spedizioni, negoziando un accordo aziendale con sindacati confederali e unions raccolte nella sigla «Rider per i diritti». Ne è venuto fuori un accordo in cui sono ben visibili i compromessi che le rappresentanze dei lavoratori hanno dovuto accettare, in primis sul versante salariale, ma anche con l’esclusione di Unions e Nidil dalla possibilità di esercitare i diritti di rappresentanza. Nonostante questo, l’accordo non solo ha riconosciuto per la prima volta in Italia i rider come lavoratori subordinati, ma ha rotto il fronte di Assodelivery che fino ad allora aveva rifiutato qualsiasi opzione andasse in quella direzione. Il mercato del food delivery italiano si è così polarizzato: da un lato il modello Just Eat che, pur incontrando significative difficoltà nella sua implementazione, ristruttura i propri processi produttivi attorno alla figura subordinata del rider; dall’altro il modello Assodelivery, sempre più avviato verso una giungla contrattuale nel quale i contratti e la rappresentanza vengono utilizzati contro gli stessi lavoratori negando loro la possibilità di accedere anche ai più basilari diritti di rappresentanza.
Dai tribunali alle piazze (e ritorno)
Sarebbe però scorretto appiattire l’evoluzione delle forme contrattuali nel settore del food delivery in Italia a una partita fra aziende. Anzi, è interessante notare come il «Ccnl Rider» di Assodelivery costituisca una risposta a una spinta verso la regolamentazione del settore partita primariamente dai e dalle rider. Glovo, Deliveroo e UberEats hanno dovuto adattare le proprie strategie di mercato a quelle che dal loro punto di vista erano delle anomalie, ovvero le rivendicazioni di maggiori diritti e salari più equi da parte delle e dei fattorini.
Questa spinta conflittuale non si è esaurita davanti alla firma del Ccnl con Ugl. Al contrario, dopo la firma del contratto capestro avvenuta il 9 settembre 2020, numerose sono state le azioni di protesta davanti alle sedi del sindacato e gli scioperi con cui i fattorini hanno risposto all’accordo – da Roma a Torino, da Milano a Bologna, da Napoli a Firenze.
Di più, la costituzione di un cartello di aziende attorno ai capisaldi del pagamento a cottimo e del regime contrattuale dell’autonomia ha avuto come corrispettivo la definizione di una rete nazionale – Rider per i diritti – che ha messo insieme tanto le unions metropolitane quanto le sezioni locali dei sindacati confederali. Il 30 novembre 2020 più di 20 città si sono fermate da nord a sud per chiedere lo stralcio del Ccnl di Assodelivery.
Nel frattempo, però, è scoppiata la pandemia, le città si sono svuotate e i rider sono tra i pochi rimasti in giro entrando così a pieno titolo a far parte di quei lavoratori considerati «essenziali» nell’attuale sistema di produzione e circolazione. Inevitabilmente, un evento del genere ha impattato anche sulle possibilità di attivazione dei ciclofattorini, i quali si sono ritrovati davanti alla necessità di tutelare la propria e altrui salute a proprie spese data la natura autonoma dei loro contratti. Per certi versi, dunque, la battaglia è proseguita nelle aule dei tribunali. Sono numerosi i giudici del lavoro che si sono trovati a doversi esprimere rispetto alla legittimità o meno del Ccnl di Assodelivery. In molti casi, le sentenze hanno dato ragione ai e alle rider che hanno impugnato il contratto.
Il 30 giugno 2021 il tribunale di Bologna conclude che «il tentativo della Deliveroo di subordinare la prosecuzione del contratto con i riders all’accettazione dei termini previsti dal Ccnl, a pena di risoluzione del rapporto, appare evidentemente illegittima. E conseguentemente, la risoluzione dei rapporti per il rifiuto di adesione appare parimenti illegittima». Non solo, anche il sostegno dato da Assodelivery a Ugl viene dichiarato illegittimo. L’antisindacalità dell’imposizione da parte di Deliveroo del contratto viene confermata dallo stesso tribunale il 12 gennaio 2023.
La sentenza del Tribunale di Firenze n. 781 del 23 novembre 2021 giudica antisindacale la condotta di Deliveroo che aveva risolto tutti i contratti dei rider che non avevano accettato l’applicazione del Ccnl Assodelivery. Ugl rider viene definito un sindacato di comodo e privo di rappresentatività. Stesso giudizio viene emesso il giorno seguente dalla Corte d’appello di Palermo nei confronti di Social Food che aveva aderito al Ccnl discriminando le sigle sindacali contrarie.
La difficile sfida della regolazione del food delivery
Assodelivery, dopo aver lavorato attivamente per sabotare i tavoli convocati dal ministero, ha beneficiato della caduta del Governo Conte 2, con l’insediamento prima di un esecutivo tecnico, il governo Draghi, e poi di un governo di centrodestra a trazione sovranista come quello di Giorgia Meloni, tanto che l’unico provvedimento preso a proposito del lavoro di piattaforma difende in maniera netta ed esplicita gli interessi delle aziende a discapito dei lavoratori. Nell’articolo sulla trasparenza algoritmica e il diritto di informazione, il Consiglio dei Ministri ha deciso infatti di fare un passo indietro rispetto alla normativa vigente e all’orientamento generale europeo, scegliendo di proteggere la parte datoriale dall’azione sindacale, contrapponendo il segreto d’impresa alla necessità di trasparenza dei sistemi digitali sulla tutela dei lavoratori.
Oggi la situazione nel settore appare particolarmente frastagliata e disorganica. Ubereats il 15 giugno 2023 ha dichiarato con una nota stampa il proprio ritiro dal mercato italiano entro un mese, in quanto non abbastanza competitiva rispetto ai piani di espansione del gruppo. Uber ha messo in liquidazione l’intera unità di consegna del cibo a domicilio, aprendo la procedura di licenziamento collettivo per i 50 lavoratori degli uffici italiani e provando a non pagare nessun indennizzo ai rider, usando per svincolarsi l’argomento del loro status formale di lavoratori autonomi. I sindacati coinvolti nell’apertura della pratica del licenziamento collettivo – nel frattempo Assodelivery si è associata a Confcommercio nel 2022 determinando anche un cambio anche nel registro formale delle relazioni industriali che dal settore della logistica si sono spostate verso il commercio – hanno chiesto che venisse riconosciuto un rimborso anche ai fattorini del delivery, trattandosi in riferimento alla normativa nazionale di lavoratori etero-organizzati a cui spetta la disciplina e quindi la tutela della subordinazione, compresa quella del licenziamento. Una richiesta portata avanti soprattutto dalle categorie degli atipici (Nidil, Felsa, Uiltemp) che sono presenti al tavolo insieme alla categoria firmataria del Ccnl del Terziario. Dopo aver in un primo momento negato questa possibilità, Ubereats ha proposto nel secondo incontro che si è tenuto il 12 luglio la possibilità di riconoscere un rimborso per il licenziamento ai rider attivi (che dichiara essere 2.200 su 3.500 presenti sulla piattaforma) per una quota di un milione di euro. Cifra che sarebbe da dividere in base al numero di consegne effettuate da ciascun rider, con una forbice che va da poco più di 50 euro a oltre 5 mila euro di buonuscita per coloro che hanno effettuato il numero maggiore di consegne. Alcuni sindacati nel frattempo, tra i quali Deliverance Milano, Nidil Cgil e Usb, hanno deciso di impugnare i licenziamenti per dare battaglia alla piattaforma senza aspettare l’esito della negoziazione, convinti che la multinazionale in dismissione intenda riconoscere ai lavoratori il meno possibile e, soprattuto, che questi compensi difficilmente arriveranno ai lavoratori senza che questi si mobilitino – anche per via giudiziaria – per ottenerli.
Mentre scriviamo, inoltre, arriva l’annuncio che anche Getir, azienda turca che applicava il contratto del Commercio ai rider e ai picker, lascia l’Italia con le stesse motivazioni di Uberats: la scelta strategica di puntare sui mercati nazionali in cui godono di un posizionamento più solido (Gran Bretagna, Stati Uniti) e di ritirarsi dove la fetta di mercato e il margine di profitto (già risicato nel settore) è minore (Italia, Spagna e Portogallo). Ciò a conferma di come i cambiamenti del mercato italiano siano parte di una più generale ristrutturazione del settore che sta avvenendo su un piano transnazionale.
Nel frattempo ad Assodelivery restano superstiti i fratelli coltelli di Deliveroo e Glovo, con un tavolo di contrattazione in corso all’interno della partita per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del Terziario. A Bologna il 21 luglio si è tenuta una manifestazione unitaria dei sindacati di categoria del Commercio, in cui un rider è intervenuto dal palco chiedendo la regolamentazione del settore e il riconoscimento dei diritti della subordinazione. Assodelivery sta dimostrando di essere un semplice specchietto per le allodole, un cartello più che un’associazione di categoria.
La situazione però non è delle migliori, dopo aver perso una serie di cause per il riconoscimento della subordinazione, Glovo sta meditando il cambio di modello che già Deliveroo aveva approntato nel proprio sistema organizzativo nel 2022. Le sperimentazioni già in corso in alcune città d’Italia mostrano infatti come anche Glovo stia approntando il passaggio al free login con il relativo smantellamento del sistema in turni, modello che Ubereats ha sempre adottato e che, come abbiamo avuto modo di vedere, nonostante le consentisse di essere la piattaforma con il minor costo del lavoro in assoluto, non ha incrementato la sua competitività sul mercato, nè l’ha preservata dalla chiusura. Significativo è il fatto che circa un paio di mesi fa si sia generata una nuova ondata di proteste culminata con una serie di scioperi spontanei e manifestazioni autorganizzate a cui hanno aderito in contemporanea diversi territori (Torino, Genova, Firenze e Roma) partecipando a una data di mobilitazione nazionale convocata dal Si Cobas che in quel periodo aveva captato il malcontento generato da un sensibile peggioramento delle condizioni salariali soprattutto a Deliveroo, con il taglio lineare delle paghe e l’abbassamento delle tariffe medie per ogni singola corsa.
Quali prospettive per i rider?
Finora ci siamo concentrati sul piano nazionale, ma la partita più importante si sta giocando a livello europeo. All’indomani della terza fase di discussione e negoziazione della direttiva europea sui diritti dei lavoratori di piattaforma, il cui inizio è previsto per settembre, lo scenario internazionale appare complesso e il tutto lascia presagire che le attività di lobby delle piattaforme riescano nel loro intento di mitigare gli effetti della direttiva. La partita è ai tempi supplementari, ma stiamo pur sempre giocando la finale assieme ai gruppi parlamentari che più si sono spesi per i diritti dei rider in questi anni, The Left e S&D, e al sindacato europeo, e si proverà a giocare fino all’ultimo minuto.
In Italia il tavolo di contrattazione sindacale aperto con Confcommercio, la categoria del Terziario e le aziende di Assodelivery (ormai principalmente Glovo e Deliveroo) sembra arenato, complice la trattativa in corso per il rinnovo del Ccnl del Commercio. Tuttavia, se da un lato Assodelivery sembra intenzionata a raggiungere un contratto più solido del Ccnl rider, includendo anche i sindacati confederali precedentemente esclusi, dall’altro gli stessi sindacati hanno tutto l’interesse a chiudere la partita della regolazione del settore una volta per tutte. Appare quindi ragionevole supporre che gli interessi delle parti portino a riprendere al più presto la negoziazione.
Attualmente l’unica azienda che opera nel nostro paese applicando un contratto di lavoro ai propri fattorini è Just Eat, con il contratto integrativo della Logistica, esperienza che, nonostante tutti i limiti discussi in precedenza, ha sicuramente il merito di aver messo dei vincoli a una deregulation pericolosa nel settore, consentendo per la prima volta il pieno riconoscimento della subordinazione dei rider. Tornare indietro da questo risultato, consentire la strutturazione di modelli alternativi a quello definito con Just Eat, per quanto possa garantire alla maggioranza dei rider tutele migliori di quelle di cui godono oggi, è un rischio troppo grosso da correre. Ciò ancora di più nel momento in cui è in corso una discussione per definire il lavoro subordinato come lo standard di riferimento a livello europeo attraverso il riconoscimento della «presunzione di subordinazione».
Come connettere quindi la partita per la direttiva sul piano europeo con quella nazionale sul contratto Assodelivery? In primis, è fondamentale bloccare qualsiasi possibilità di proroga o rinnovo del contratto pirata Assodelivery/Ugl, evitando al contempo di dar vita a un modello alternativo che possa insidiare le conquiste ottenute nella trattativa con Just Eat. Nel frattempo, occorre fare pressione per portare a casa una direttiva europea il più favorevole possibile al riconoscimento di pieni diritti ai lavoratori di piattaforma.
La direttiva – che poi andrà recepita a livello legislativo da ogni singolo paese dell’Ue – non costituisce un punto di arrivo, quanto piuttosto uno spazio di contrattazione che può essere agito se si rimette in moto l’altro perno delle relazioni industriali, la mobilitazione. Anche perché le recenti vicende di Ubereats e di Getir mettono in evidenza come la discussione sulla direttiva avvenga nel momento in cui è in corso un cambio di fase nel mercato del food delivery. Rispetto agli anni iniziali del boom, in cui si è registrata una crescita verticale del mercato delle consegne di cibo come del numero dei player, la disponibilità di accedere a crediti finanziari per crescere prima di fare profitti si è significativamente ridotta. Indubbiamente, da un lato, la crescita dell’inflazione sta avendo un contraccolpo sui livelli dei consumi, dall’altro siamo di fronte a un processo di più lungo periodo. I tassi di crescita delle aziende degli ultimi anni ci dicono che la fase iniziale è ormai giunta al termine e che il mercato del food delivery tende ormai verso una strutturale stagnazione. Tutti indicatori che fanno presupporre il sopraggiungere, a seguito dei successi iniziali, di una fase di fisiologica stabilizzazione del settore del food delivery.
Questo vuol anche dire, però, che le piattaforme meno attrezzate rischiano di essere espulse dai mercati nazionali dove sono più deboli. La competizione feroce e la fragilità del modello di business delle piattaforme stanno spingendo sempre di più le aziende a scegliere i mercati in cui concentrare gli investimenti, evitando di sperperare capitale nel difendere la loro presenza dove invece la posizione di dominio sul mercato è ormai già ricoperta da altre piattaforme. Così la tanto sbandierata competizione lascia sempre più spazio al dominio di pochi player, quindi a una tendenza sempre più evidente verso il monopolio. Se questo però rafforza le loro rendite di posizione sul mercato, rendendole sempre più in grado di influenzare le tendenze dei mercati nazionali e continentali, allo stesso tempo le espone ancora di più alle richieste dei lavoratori e alla possibilità di una regolazione del settore. È quindi su questa complessa articolazione che impatterà la direttiva europea, in modalità che sono ancora tutte da definire ma che saranno determinanti per il futuro del mercato delle piattaforme in Europa. Per quanto possano apparire forti, le pioattaforme non sono le uniche padrone del loro destino, con scenari che appaiono ancora del tutto aperti all’influenza dei lavoratori.
Infatti, anche se le mobilitazioni dei rider non si trovano più nella loro fase iniziale e abbiano inevitabilmente perso la visibilità mediatica di cui hanno goduto, sono state in grado di sedimentare un paradigma di protesta. In questi anni i rider hanno sperimentato un considerevole bagaglio di strumenti e pratiche di conflitto – dall’organizzazione di strike mass, ad azioni di shaming davanti ai ristoranti, alle istituzioni o alle sedi delle aziende, passando per il blocco delle consegne di fronte ad alcune catene, dal rifiuto delle consegne per mezzo dell’app, sino all’organizzazione di scioperi nazionali – non solo chiaramente distinguibile, ma anche facilmente replicabile in ambiti diversi da quello del food delivery e da attori diversi dalle unions. In questo senso, le mobilitazioni dei rider sono state le protagoniste di un’opera di sperimentazione, socializzazione e codificazione di pratiche sindacali che, attraverso meccanismi di contagio virtuosi, ha permesso l’elaborazione di un linguaggio comune all’interno di tutta la categoria e nel quale si riconoscono una fetta sempre più ampia di precari e gig workers.
Probabilmente la soluzione alla fase di confusione che caratterizza il food delivery c’è ed è a portata di mano. Basterebbe trarre ispirazione da ciò che si è già provato in precedenza: ampliare le reti di solidarietà, innescare un dibattito pubblico e politico plurale, costruire un’azione collettiva che a partire dal protagonismo dei territori e del diretto coinvolgimento dei lavoratori possa aprire uno spazio di conflittualità trasversale e convergente. Come nel biennio 2020/2021 la pandemia fece esplodere tutte le contraddizioni in seno al modello economico delle compagnie, segnando al contempo l’apice del movimento italiano dei rider con l’organizzazione dei due scioperi nazionali, è impossibile immaginare un esito positivo del rinnovo del contratto di Assodelivery senza la creazione di presidi locali attivi da parte di una base significativa di lavoratori, senza la formazione di un coordinamento nazionale e una spinta dal basso capace di esercitare la pressione necessaria a incentivare il dibattito tra le parti sociali e a rompere l’impasse in cui siamo.
Nonostante le complessità che abbiamo qui presentato e che segnano il presente e il futuro prossimo del food delivery, siamo quindi di fronte a una nuova finestra di opportunità per la costruzione di diritti, non solo per i rider, ma per tutti quei lavoratori e lavoratrici che si trovano a fronteggiare le medesime logiche dello sfruttamento che le mobilitazioni dei rider hanno messo in evidenza nel corso di questi anni. Non vale il noto proverbio cinese secondo cui «basta sedersi sulla riva del fiume per vedere passare il cadavere del proprio nemico». La storia di questi anni ci ha insegnato che nessuna legge, nessun manager illuminato darà ai rider i diritti che da anni stanno domandando, ma è solo la mobilitazione dei lavoratori, la costruzione di legami sempre più estesi di solidarietà e di forme di coordinamento sempre più efficace, a poter scrivere un finale diverso da quello che le piattaforme sembrano aver già ipotizzato.
Marco Marrone, ricercatore in sociologia all’Università del Salento, è uno dei fondatori di Riders Union Bologna. Maurilio Pirone è ricercatore in filosofia politica presso l’universita di Bologna e membro del collettivo into the Black box. È tra i fondatori di riders Union bologna. Angelo Junior Avelli è un attivista e poeta, membro di Deliverance Milano e del collettivo GigaWorkers, si occupa di lavoro e diritto alla città.
4/8/2023 https://jacobinitalia.it/
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