Chiedi di Demetrio Stratos. Chiedi di Massimo Troisi
Chiedi di Demetrio Stratos
Se chiedi di Demetrio Stratos, non saranno in molti a ricordare. La musica è vitalità, esiste il musicista e l’artista. Demetrio Stratos, nacque nel 45, ad Alessandria d’Egitto da genitori greci. Stratos era l’artista per eccellenza, voce sopra le righe, capace di allacciare note, da allora, mai raggiunte. Il prof. Franco Ferrero, del centro studi per le ricerche di Fonetica del CNR dell’Università di Padova, disse a proposito di Demetrio Stratos “La frequenza era molto elevata (le corde vocali non riescono a superare la frequenza di 1000-1200 Hz). Nonostante ciò Demetrio otteneva non uno, ma due fischi disarmonici, uno che da 6000 Hz scendeva di frequenza, e l’altro che da 3000 Hz saliva. La strabiliante ricerca di Stratos porta molte suggestioni e piste di ricerca ancora da studiare.
Vorrei limitarmi a due sottolineature particolarmente stimolanti ed innovative per il nostro tempo: la preminenza del significante rispetto al significato e il valore rituale della voce in ordine all’accesso alla scaturigine del corpo”. Chiedi di Demetrio Stratos quando puoi. Forse poche persone sapranno rispondere e chi sa, abbasserà il capo in segno di rispetto. Il rispetto dovuto al talento indiscusso, messo a disposizione della massa, a portata di mano. Non parliamo di un divo d’oltreoceano, se solo si fosse lasciato andare alle lusinghe del mercato, vivrebbe ancora e navigherebbe nell’oro.
Troverete la sua storia, la storia del gruppo Area e l’aspirazione di abbattere le barriere tra musica e società, in molti editoriali. Non sono in molti a evidenziare, però, l’aspetto più torbido della nostra innata esterofilia. Il gruppo Area, italiano, e il suo creatore Stratos rappresentavano l’aspetto meno formale della musica. Rappresentavano la sperimentazione, la ricerca, il rock progressivo con la chiara essenza artistica mediterranea. In quegli anni, la creazione artistica italiana e non “made in Italy”, stava innalzando il valore del sapere, con personaggi illustri e Stratos dovrebbe essere inserito tra le massime figure.
La nota dolente è che gli italiani del tempo andato, ricordano bene i Doors, Led Zeppelin, Deep Purple, David Bowie e non Demetrio Stratos. Gli Area sopravvissero poco. La morte prematura del suo leader, nel 79, accorciò i tempi della ricerca e altri sogni s’infransero in quel frastuono di musica d’importazione. Molti gruppi italiani nati in quegli anni, forti della propria identità, forti del sapere incondizionato, illuminati dall’incessante confronto hanno mantenuto la loro integrità.
Tutto ciò, dovrebbe mettere in risalto, quanto l’influsso delle presunte magie anglosassoni abbiano intralciato il percorso culturale di un paese, in via di guarigione. Chiedi di Demetrio Stratos! In mezzo a tanti, qualcuno proverà a cantare “Gioia e Rivoluzione”. Potrebbero solo provare, perché lui non è imitabile.
Il colore, il valore artistico di Demetrio Stratos si avvolge, si esprime dentro la ricerca. Nell’espressione vocale è difficile qualsiasi confronto, tanto che i riflessi delle sue estensioni teatrali sono ancora al vaglio di studiosi ed esperti musicali.
Chiedi di Demetrio Stratos in giro, di quel cantante affabile, figlio della strada ed eroe di frontiera, orgoglio di un tempo andato, di rimpianti, ancora troppo lungo da spiegare.
Chiedi di Demetrio Stratos, forse qualcuno ti spiegherà con il testo della PFM dedicato a lui.
Maestro della voce
Uno come me scarpe bianche come me abitava le ringhiere a nord della città cantava come un matto di notte e di giorno viveva la sua etate anche d’inverno. Di giorno e di notte io per campare parlo di stelle, di donne ed ho canzoni da imparare in giro per Milano sotto un cielo sempre nero occhi chiari e un espressione da guerriero Con le nostre facce stanche un mattino ci trova insieme a camminare parli con me ore ed ore non nascondi le paure Maestro della voce solo una canzone Maestro della voce per cantare dammi una canzone. Uno come me scarpe bianche come me canta sempre per la gente quante volte ci ho provato quante volte ci proverò a far cantare le mie mani Maestro della voce per cantare dammi una canzone Maestro della voce per cantare dammi una canzone. Dammi una tua canzone.
Antonio Recanatini
Pubblicato sul numero1 – gennaio 2017 www.lavoroesalute.org
——————————
Chiedi di Massimo Troisi
Non è mai fuori tempo parlare di un artista, di un teatrante, di un uomo che seppe congiungere e non mescolare, la poesia alla comicità, la comicità alla poesia. Se sei giovane, chiedi a tuo padre di Massimo
Troisi, sicuramente ti risponderà sorridendo. A quel tempo molti sogni parevano ancora possibili, noi di quella generazione avevamo la fortuna di poter ammirare un nuovo Pulcinella in prima serata.
Entrava nelle case dalla tv e il silenzio intorno sembrava infinito. .
Al primo cenno, si sentiva qualcuno ridacchiare, il riso si propagava e accompagnava ogni mossa, ogni parola di Troisi. Il teatro, il cabaret, il cinema, la tv e la poesia, ovunque cospargeva talento, arte e la napoletanità, mai troppo decantata e mai tralasciata.
La vita, i modi, l’eleganza, l’ironia di quel comico nato a San Giorgio a Cremano, le sue prime uscite con La Smorfia, insieme a Lello Arena e Enzo Decaro rimarranno per sempre impresse a chi, come
me, sognava un mondo migliore e, intanto, rideva di cuore, proprio quel cuore che lo tradì da giovane.
Se sei giovane, chiedi a tuo padre di Massimo Trosi, si fermerà a pensare a quel mondo così diverso, a quella maschera blasfema, ma mai offensiva, a quel disprezzo artistico verso la borghesia,
accompagnato dalla risata collettiva. “Troisi che ne pensi del terremoto in Campania?”
“Picchè tu i visti mai nu terremoto a Montecarle?”
A lui serviva poco, gli bastava aprire l’album dei ricordi per trovare il volo da offrire a quell’Italia, non senza il rispetto dovuto per la rabbia dell’uomo qualunque. Il suo “dialogo con dio”, la scanzonata anima da ribelle, l’innato senso dell’umorismo e la pausa come momento folgorante, dipinsero di bei colori l’entusiasmo e l’ambizione di noi fuori dal coro.
“Gli americani per aiutare il cinema, fanni li guerre e quande ni fanne li invendine, come guerre stellari; tenne pure o presidente ch’ere n’attore: Reagan”.
Se sei giovane, chiedi a tua madre di Massimo Troisi, avrà un sussulto, perché ricorderà dei dialoghi tra il postino e Pablo Neruda, la poesia e la grandezza di un mito, mai troppo fuori dagli schemi perché seguiva la sua direzione e colpiva duramente l’anima del sistema.
A volte mi sembra di esagerare quando parlo di lui, ma non ricordo persone che l’abbiano denigrato. A quel tempo dalle mie parti, ogni estate veniva una famiglia napoletana in vacanza. Entrarono subito nelle abitudine del posto, subito si conquistarono la simpatia di tutto il quartiere. Un’estate dei miei 13 anni, un giornalino pubblicò parecchi miei lavori, di cui un po’ mi vergogno ancora oggi. A parte il misero successo tra gli amici, potevo contare sul consenso di questa famiglia napoletana, anzi del padre di Nicola, Augusto. Un giorno afoso di tanti anni fa, mi fece un appunto “ma hai scritto mai
una poesia per Massimo Troisi?”
Mi piacque subito l’idea, ma non credevo d’essere all’altezza. Ogni volta che tornavano in vacanza, Augusto mi chiedeva “ma hai scritto la poesia per Troisi?” e ogni volta inventavo una scusa. L’anno dopo la sua morte, finalmente la scrissi. Era il 1995, ma quell’estate la famiglia napoletana non venne, per motivi da tenere in un cassetto, infatti anche la poesia finì in un cassetto.
Ho immaginato Trosi, con quella calzamaglia nera a parlare con gli altri defunti, in un giardino immaginario delle sue parti.
Il battito del tempo malato
Una volta pensavo al tempo,
al tempo che poteva fuggirmi di
mano e avevo paura, ora no,
temo l’arresto.
Sapevo di dover bruciare le
tappe e godermi poco.
Non conoscevo le bandiere del
mondo e non c’erano troppe
panchine qui, sorridevo alla vita
ovunque fossi.
C’era un tempo in cui ero felice,
un tempo non conoscevo la fine,
ovunque fossi.
Guardate che mi sto forzando a
parlare italiano, io non dovrei
conoscere sta lingua vostra!
Pensavo a come è strano,
saper d’esser stati parcheggiati
al mondo, che tutto era stato
deciso, prima che potessi
scegliere.
Ho imparato a sorridere, perché
mi gratificava, non il mio, ma
quello che riuscivo a strappare.
La vita mi ha reso strano, volevo
fare il poeta e mi sono ritrovato
comico e Napoletano.
Sono nato pigro e nel tempo son
peggiorato, non ho mai
denunciato chi mi derubava
quel che avevo apparteneva agli
altri.
Non sono stato come gli altri
giullari.
Non sapevo cantare, a memoria
ricordavo solo i nomi, alla fine
è stato il tempo a decidere tutto.
Ad un tratto la favola è finita e
Tutti i napoletani so tornati
bastardi, io non posso difenderli
da qui, “sapreì bene cosà ricere
io a chisti”.
No, non tengo più rancore, si
muore per riposare, nun ppe fa’
atre guerrè.
Ma se è risorto Cristo,
pecché nun dovrébbe risorger
Massimo Troisi?
Antonio Recanatini
Pubblicato sul numero 6 – novembre 2016 www.lavoroesalute.org
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!