Ci impongono la malasanità, ma che colpa abbiamo noi?
Quanti libri e fiumi di articoli scrivono sulla malasanità? Tanti e troppi per essere basati su cognizione di causa, in particolare quando partono dall’individuazione preconcetta dei responsabili, quei medici e infermieri ai quali si addebitano le cause senza quasi mai individuare i mandanti che costringono – con la ultraventennale disorganizzazione programmata dalle istituzioni delegate alla gestione e con i fenomeni strutturali della corruzione diretta e indotta diffusamente anche nel quotidiano lavorativo – a mal lavorare. Eh si, perchè i mandanti sono evidententemente troppo in alto per essere colpiti, mentre risulta facile puntare terra terra. E anche quelle poche volte che la magistratura riesce a puntarli, su “indicazione” di denunce, spesso se la cavano con pochi graffi.
Pochi attenti studiosi e opinionisti – tra i quali brillano per negligenza consapevole i giornalisti delle grandi testate – partono dalle condizioni reali di lavoro delle professioni sanitarie, indotte ad arraggiarsi nel magma delle direttive politiche e aziendali sempre più contorte e per nulla funzionali all’efficacia del servizio prestato in termini appropriatezza e di razionale uso delle risorse umane e finanziarie. Tutti gli altri, una pletora ben retribuita da giornali e tv, si guardano bene dal considerare lo stato di cose presenti.
Con il modello aziendalista dei servizi sanitari, copiato dalle imprese di profitto, ci si preoccupa di stendere grandi strategie cartacee atte a ridurre i costi della salute pubblica – aumentando enormemente i costi per i cittadini spintaneamente indotti a rivolgersi al un maggiore impegno, a minor costo e con minori garanzie. Senza più strumenti li si accusa di non voler o non saper partecipare al miglioramento del “prodotto” sanitario e li si accusa di non voler o non saper partecipare al contenimento della spesa. Non c’è nulla di più evidente di questo meccanismo eppure non c’è comprensione diffusa. Eppure questa è la realtà ma sembra di difficile comprensione e di difficilissima comunicazione dire che il progetto attuale del governo sulla sanità, sulla scia degli ultimi, porterà a sfasciare definitivamente il servizio sanitario nazionale a favore di un sempre più incalzante sistema privatistico, ma noi cittadini e noi lavoratori continueremo a pagare il vecchio e dovremo anche pagare il nuovo, con maggiori costi e con meno diritti. Facciamo un altro esempio: in Piemonte si tagliano risorse e posti letto, la Regione deve pagare grandi e piccole strutture sanitarie private/convenzionate per ricoveri e servizi, ma allora, ci si dovrebbe chiedere, se abbiamo bisogno del convenzionato sia come servizi che come posti letto perché tagliamo nel pubblico? Vuol dire che abbiamo bisogno di quei posti letto e di quei servizi se li usiamo e li paghiamo!!!! E non li paghiamo certamente di meno, infatti se così fosse i sistemi regionali avrebbero dei risparmi veri, e gli istituti privati non avrebbero alcun plusvalore. Allora perché dobbiamo tagliare CONTINUA A PAG. 3 Ci impongono la malasanità, ma che colpa abbiamo noi? privato, a sua volta lautamente finanziato con i soldi dei tagli pubblici in una corruttela legalizzata, e protetta, ma nel contempo si stende, calpestandoli, professionalità, qualità di cura e assistenza e diritti di chi opera sul campo, nei pronto soccorso, nei reparti di degenza e negli ambulatori territoriali.
E allora di cosa cianciano queste penne di corte? La malasanità la si produce rendendo il lavoro dei professionisti della salute sempre più difficile, favorendo l’indistinta, fatua e costosa managerialità e disperdendo le più importanti e fondamentali ricchezze intellettuali e operative che ogni singolo professionista è in grado di offrire se messo nelle migliori condizioni di lavorare. E loro, i gestori politici, cosa fanno? Sbriciolano l’operativa di uomini e donne con logiche incomprensibili, e quando – quelle ormai rare volte – questi e queste hanno l’ardire di rendere pubblico il loro disagio, e tentano una motivata discolpa sui danni prodotti ai cittadini – vengono derisi o messi alla gogna se coinvolge l’opinione pubblica mentre nella realtà quotidiana del lavoro nelle strutture sanitarie si usano provvedimenti disciplinari, mobbing lavorativo e isolamento nell’equipe di appartenenza.
Quindi non pare difficile capire che questi tecnici – con evidente peso politico senza essersi sottoposti a un grado di elezione popolare – che vogliono governare un sistema fatto di lavoro per la salute di tutti, declamando di essere i soli in grado di gestire sono agli ordini di chi ha prodotto lacci e lacciuoli legislativi per regalare il potere economico e sociale delle scelte di salute nelle mani di quei pochi che da questa pianificata crisi economica del sistema capitalista hanno aumentato il loro potere di vita e di morte sui cittadini.
Nella pratica si è sradicata la professionalità dell’impiegato pubblico, penalizzando la sua azione e affiancandogli nel tempo, per poi sostituirlo, personale a contratto privato, di consulenza. Ma non certo e non solo il singolo professionista pubblico viene inesorabilmente esautorato, ma soprattutto il singolo servizio. Gli operatori pubblici vengono privati di strumenti di dialogo, di partecipazione sindacale e li si costringe ad un superlavoro, sul campo, respingendo le loro critiche o analisi e si chiede loro un maggiore impegno, a minor costo e con minori garanzie. Senza più strumenti li si accusa di non voler o non saper partecipare al miglioramento del “prodotto” sanitario e li si accusa di non voler o non saper partecipare al contenimento della spesa.
Non c’è nulla di più evidente di questo meccanismo eppure non c’è comprensione diffusa. Eppure questa è la realtà ma sembra di difficile comprensione e di difficilissima comunicazione dire che il progetto attuale del governo sulla sanità, sulla scia degli ultimi, porterà a sfasciare definitivamente il servizio sanitario nazionale a favore di un sempre più incalzante sistema privatistico, ma noi cittadini e noi lavoratori continueremo a pagare il vecchio e dovremo anche pagare il nuovo, con maggiori costi e con meno diritti.
Facciamo un altro esempio: in Piemonte si tagliano risorse e posti letto, la Regione deve pagare grandi e piccole strutture sanitarie private/convenzionate per ricoveri e servizi, ma allora, ci si dovrebbe chiedere, se abbiamo bisogno del convenzionato sia come servizi che come posti letto perché tagliamo nel pubblico? Vuol dire che abbiamo bisogno di quei posti letto e di quei servizi se li usiamo e li paghiamo!!!! E non li paghiamo certamente di meno, infatti se così fosse i sistemi regionali avrebbero dei risparmi veri, e gli istituti privati non avrebbero alcun plusvalore. Allora perché dobbiamo tagliare i posti pubblici quando poi dobbiamo ricorrere ai privati? Lo scopo è chiaro, definanziare la sanità pubblica e finanziare quella privata, con denaro ma anche con la propaganda della malasanità pubblica, per ridurre a pubblica carità la sanità pubblica, per distruggere ogni parvenza di universalità in ragione di una ideologica idea neoliberista di sostenibilità.
A questa ideologia interessa se cresce il numero dei cittadini che comprano direttamente di tasca propria sul mercato prestazioni private altrimenti definite out of pocket. Ma cresce anche il numero di persone che non si possono permettere né la mutua, né l’assistenza privata e purtroppo (se pensiamo ai ticket) neanche quella pubblica; mentre la sanità pubblica tra eccellenze e miserabilità perde colpi falcidiata dai tagli lineari, sempre più diseguale, deludendo suo malgrado le aspettative sociali delle persone.
L’esempio lampante, e di più facile comunicazione, è il “co-payement” , il ticket per intenderci, quella partecipazione alla spesa che è diventata sempre più pesante per milioni di italiani – non dimentichiamo mai che i dati parlano di oltre undici milioni di italiani che rinunciano alla continuità di cura e addirittura all’inizio cura -. una spesa insostenibile che, comunque, pagheremo sempre di più, in termini di fiscalità generale regalata al privato che fa bella figura, e consenso, perchè ha ticket più bassi e liste d’attesa accettabili.
Noi lavoratrici e lavoratori della sanità pubblica, senza più nessuna distinzione professionale e contrattuale, non ci rendiamo che non potremo risolvere nulla in questo disastro generale che ci coinvolge se non abbiamo una visione d’insieme per una costruzione di orgoglio, idealità e conflitto che parte dalle singole realtà lavorative. Dobbiamo riuscire a comunicare alla gente, riuscire ad agire nelle istituzioni, con vertenze sindacali, anche solo di professione, quando il sindacato è sordo. La malapolitica che ci impone la malasanità la possiamo solo zittire se ci rimettiamo in un cammino conflittuale col presente, lasciandoci alle spalle il lamento davanti al computer o ai salotti televisivi, con una petulante cantilena: ma che colpa abbiamo noi?
Franco Cilenti
editoriale del numero di marzo 2017 www.lavoroesalute.org
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