Elena vive a Uscerno, un pugno di case lungo la strada di montagna che collega Ascoli Piceno ai Monti Sibillini. Un bar-alimentari-ristorante-tabaccheria, una macelleria e poco altro. Elena ha un marito, tre bambini piccoli e nonostante le tre scosse di terremoto che hanno sconvolto questi posti, ha deciso che da qui non se ne andrà: la sua casa è inagibile e per mesi si è arrangiata in una vecchia roulotte, ma c’è la legna da tagliare nei boschi, ci sono le patate nei campi e i progetti futuri che non possono essere abbandonati. Soprattutto, c’è lo stretto legame con una terra magica e meravigliosa.
Quando bussano alla sua porta Elena apre con il solito sorriso: sono i volontari delle Brigate di Solidarietà Attiva, hanno scatoloni colmi di beni di cibo, vestiti e coperte, e per questa famiglia sono uno dei pochi punti di riferimento.
Per lei, e per centinaia di altre persone che hanno rifiutato la proposta della Protezione Civile di fare i bagagli e andare negli hotel sulla costa adriatica, le BSA sono un sostegno concreto alla loro resistenza tenace. Sanno, Elena e molti altri, che molti di quelli che sono stati costretti ad andarsene qui rischiano di non tornare più, perché se abbandoni il tuo lavoro, trasferisci i tuoi figli in altre scuole e trovi un’altra casa non è facile, poi, mantenere i legami con i luoghi d’origine.
Le Brigate di Solidarietà Attiva sostengono le fasce più deboli tra i cittadini terremotati. Dopo i terremoti del 24 agosto, 26 e 30 ottobre e 18 gennaio sono presenti in tutto il cratere, con due “campi base” ad Amatrice e Norcia e altri due poli logistici a Colli del Tronto e Fermo. “Abbiamo potuto verificare – dicono – in questi cinque mesi, come il terremoto non sia stato che un acceleratore della crisi. Per questo sosteniamo e fasce più deboli con staffette di consegna aiuti a domicilio e spacci popolari, cioè punti di approvvigionamento beni gratuiti. Per questo, anche, abbiamo organizzato sportelli informativi, affinché i cittadini possano ottenere informazioni sui decreti del governo e i loro diritti, che spesso ignorano del tutto”.
C’è chi le ha definite la “Caritas Rossa”. Sbagliato: le Brigate Di Solidarietà Attiva puntano, attraverso pratiche di mutualismo e solidarietà, ad alimentare e sostenere i piccoli comitati di lotta che – a cinque mesi dalla prima scossa – sono sorti un po’ ovunque.
A riflettori spenti, e mentre i mezzi d’informazione sembrano aver smobilitato, i problemi sono molti e importanti.
C’è infatti chi ha trovato nel terremoto nuove occasioni per speculare, come quei proprietari di case che hanno raddoppiato o triplicato gli affitti con l’obiettivo di accaparrarsi l’intero contributo di autonoma sistemazione fornito dal governo alle famiglie terremotate. E soprattutto c’è il “non fatto” del governo, con i container che sono ancora un miraggio e le case di legno che forse arriveranno solo a partire dall’estate. In questo quadro, poi, ci sono le economie di sussistenza di montagna: piccoli produttori agricoli e allevatori costretti a svendere o veder morire di freddo i loro capi di bestiame. Da queste parti, si dice, dei terremotati si ricorda solo il terremoto.
Quello che si respira nei luoghi distrutti dal terremoto è una sensazione di rabbia e incredulità: poco è stato fatto dal 24 agosto per sostenere chi non ha voluto andarsene. Qualche settimana fa è anche spuntata una delibera della Regione Marche che minacciava di denuncia i cittadini che avessero installato i container davanti alle loro vecchie case inagibili. Deturpano il paesaggio, per i dirigenti del settore urbanistica, gli stessi che però hanno benedetto di buon grado il capannone industriale che Diego Della Valle aprirà ad Arquata Del Tronto su una superficie di migliaia di metri quadri. Quello stabilimento, costruito a cavallo tra due parchi naturali (Sibillini e Monti della Laga) lì sembra non deturpare nulla.
Le Brigate di Solidarietà Attiva tentano di convogliare quella rabbia in conflitto e autoorganizzazione.
Dal 25 agosto sono stati centinaia i volontari, per lo più attivisti politici, che hanno dato una mano: quintali di beni consegnati, spacci popolari e decine di roulotte donate in anticipo persino rispetto alla Protezione Civile.
Accanto a ciò, un progetto di filiera antisismica che sostiene i piccoli e piccolissimi produttori agricoli, distribuendo i loro prodotti in tutta Italia e contribuendo così a mantenere gli agricoltori sul posto.
La finalità delle BSA però è un’altra: «Cerchiamo di stimolare partecipazione attiva dei soggetti colpiti dal trauma, coinvolgendoli nelle pratiche di gestione dell’emergenza, per ripristinare una coscienza collettiva che permetta, invece che subire le decisioni, di appropriarsi di un percorso di autodeterminazione e di autorganizzazione sul territorio. Se dove ha operato una BSA la gente poi si organizza e rielabora opinioni proprie sul terremoto, sulla ricostruzione e anche sull’approccio con le istituzioni locali e nazionali, allora il nostro intervento ha un senso. Se dove abbiamo operato non nasce nulla, abbiamo magari assistito benissimo la popolazione, ma tecnicamente, per quanto ci riguarda, è come aver fallito perché non si è prodotta su quel territorio la possibilità di un percorso che continui».
A quasi cinque mesi dalla prima scossa, quella del 24 agosto, i volontari e le volontarie delle Brigate di Solidarietà Attiva sono ancora nel cratere, senza nessuna intenzione di andarsene nonostante la neve e i nuovi terremoti. La loro presenza è oggi un riferimento per centinaia di persone, molte delle quali sarebbero altrimenti completamente sole.
Davide Falcioni
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