Cinque passi per rifare la sanità pubblica

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La sanità in Italia negli ultimi anni ha subito numerose trasformazioni che hanno lentamente ma progressivamente modificato l’assetto che il movimento operaio e democratico, le organizzazioni sindacali e più in generale le forze politiche della sinistra, avevano dato al servizio sanitario pubblico in attuazione dell’art. 32 della Costituzione.
Un analfabetismo di ritorno tra le generazioni più anziane degli attivisti di sinistra e degli operatori socio-sanitari e un analfabetismo relativo delle giovani generazioni,complice
l’università, hanno determinato una “damnatio memoriae” del biennio ‘60-’70 e una incapacità di analisi di quanto accaduto, che, anche in modo autocritico, possa porre le basi per nuovi movimenti di lotta per la salute e un servizio sanitario pubblico, in grado di influenzare i partiti politici della sinistra, le organizzazioni sindacali e le istituzioni.
Per fare questo, però, è necessario che il movimento si doti di strumenti di conoscenza e analisi che, partendo da una critica dell’economia politica non dottrinale, si avvalga degli
strumenti culturali che la critica sociale le ha messo a disposizione nei ultimi decenni: dall’economia alla storia, dalla sociologia alla psicologia,dalla statistica all’epidemiologia, per elaborare nuove ipotesi di trasformazione e di lotta.

Abbiamo vissuto di rendita per decenni appollaiati sulle spalle di giganti come B. Ramazzini, A. Giovanardi, G. Maccacaro, G. Berlinguer, F. Basaglia,L. Conti, L. Mara ed altri.
E’ giunto il momento di una nuova elaborazione e di nuovi obiettivi e non solo di difesa di un passato che è durato relativamente poco e che non tornerà nelle stesse forme.
La subalternità al pensiero unico dominante neo liberale, rappresentato in sanità da Bocconi, Cattolica, Ambrosetti, Confindustria, ha prodotto una vera e propria involuzione cognitiva che grava come egemonia sul welfare, influenzandone i gruppi dirigenti politici e amministrativi.
La stessa parola neoliberismo è un eufemismo inventato dal filosofo e senatore liberale B.
Croce, per distinguere gli effetti economici negativi dal pensiero lberale, senza che ciò gli impedisse però di votare la fiducia a Mussolini dopo l’assassinio di Matteotti.
L’Italia sulla scia delle lotte operaie,studentesche e sociali del suo lungo Sessantotto istituisce il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con la Legge n.833/1978.

Tuttavia è bene dire alcune cose: quella conquista, con altre ne che furono al tempo stesso premessa e corollario,come lo Statuto dei Lavoratori (1969), la legge n. 685/1975 (tossicodipendenze), la L. 180/1978 (ospedali psichiatrici), la L. 194/1978 (maternità responsabile e interruzione volontaria di gravidanza) e le numerose normative regionali in materia di sanità, soprattutto nelle regioni “rosse”, furono possibili in virtù del compromesso socialdemocratico che nei paesi industrializzati e a capitalismo avanzato di

democrazia liberale, in particolare in Europa, grazie alla straordinaria accumulazione capitalistica che seguì alla seconda Guerra Mondiale.
Quella accumulazione era al tempo stesso il frutto dello sfruttamento delle risorse dei paesi colonizzati e dell’ambiente naturale, del lavoro umano, ma anche dell’ eccezionale investimento (es.: Piano Marshall) che le democrazie liberali fecero dal 1945 al 1975 (“i 30 gloriosi”) anche per contrastare i processi rivoluzionari che nel mondo stavano facendo seguito alla rivoluzione sovietica che, aldilà del giudizio politico su quei processi, sottraevano vaste aree del pianeta al modello di produzione e consumo capitalistici.

Il welfare come diritto,il liberale Beveridge lo aveva intuito negli anni ‘40 sia come risposta al modello Bismarck, quale concessione assicurativa paternalistico-autoritaria alle classi sociali subalterne, sia come antidoto alla guerra e ai conflitti sociali determinati dalle estreme distorsioni del capitalismo e alle rivoluzioni sociali e politiche che ne conseguirono minando l’economia e le società liberali stesse. Keynes quel modello lo aveva tradotto in politiche economiche statuali e il keynesismo diventò nei paesi a capitalismo avanzato l’orizzonte del conflitto sociale del movimento operaio e democratico mentre veniva meno la spinta delle società post rivoluzionarie.

Ma il welfare senza lo spauraccho di quelle rivoluzioni non sarebbe stato possibile, e comunque, come negli USA, non nelle forme ed estensione che ha avuto in Europa.
Il compromesso keynesiano socialdemocratico fu attuato in Italia negli anni ‘70 dalla DC con i suoi partiti satelliti, dal PCi e dal PSI, che rapprentevano in larga parte il movimento operaio nelle istituzioni. Il SSN ne fu parte integrante seppur nell’ambito di una mediazione normativa che ha segnato gli anni a venire sino ad oggi.
Quando alla metà degli anni ‘70 sulla spinta degli USA con il Golpe in Cile del 1973 quel compromesso iniziò a venire meno, sono iniziati i processi involutivi del welfare nei paesi a capitalismo avanzato, con il punto di svolta nel 1980 con Reagan, Thatcher, il pontificato Wojtyla, fino al crollo dell’URSS nel 1989. La sconfitta operaia alla FIAT nel 1980 e il referendum sulla scala mobile nel 1984.
La guerra fredda era finita con la sconfitta e il recupero all’economia capitalistica, se non alla democrazia, di vaste zone del pianeta, che vi si erano sottratte e quindi non era più necessario investire denaro nelle democrazie liberali per vincere quella competizione politica, sociale e militare.
Così le classi sociali dominanti hanno iniziato riprendersi le conquiste del movimento operaio e democratico.
Ora non è questa la sede di un approfondimento, ma la sconfitta di quella esperienza post rivoluzionaria ci interroga non solo sull’aspetto delle libertà conculcate, ma sul fallimento diquel modello sociale, cosa su cui il movimento operaio e democratico si è soffermato solo da destra con il recupero e l’egemonia attuale del pensiero neo-liberale.

Ma anche quelle conquiste in italia portavano il segno del compromesso politico sociale.
La Riforma sanitaria del 1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è infatti figlia anche del Governo di “unità nazionale” Andreotti con il voto favorevole del PCI,che allora aveva il 34% dei voti, sulla spinta del rapimento e la morte Moro e del Compromesso storico, che nella versione nobile di E. Berlinguer, era l’incontro tra la cultura cattolica e quella comunista, contro il golpismo cileno di matrice statunitense. Ma l’attuazione pratica furono le giunte anomale, non di rado consociative, DC-PCI e atto di nascita del craxismo come reazione ad esse.
Quella Riforma, benché frutto di un compromesso parlamentare, portava il segno delle lotte dei lavoratori e degli studenti degli anni ‘60 e ‘70,del pensiero e dell’impegno scientifico e militante del sindacato e dei consigli di fabbrica, del Collettivo di medicina della Statale di Roma e di Medicina democratica.
Essa conteneva però già al suo interno alcune contraddizioni come bombe a orologeria: le “invarianti” dell’ospedale e del medico di famiglia e le convenzioni con il privato, appunto, sancite dagli artt. 25,26,36,40,41,44 e 46, tramite le convenzioni, strumento con cui la sanità privata accreditata assorbe oggi più del 50% dei finanziamenti pubblici.
Una “rimutualilizzazione “ del SSN e una vittoria postuma dei suoi avversari.
Il D.Lgs. n.229/1999 della Bindi sancirà questo aspetto,superando la concorrenza pubblico-privato del D.Lgs. n. 502/1992 del Ministro della sanità De Lorenzo, del Partito Liberale (unico partito che aveva votato contro la Riforma Sanitaria e poi arrestato con tangentopoli), ma stabilendone la collaborazione e sancendo l’apertura ai Fondi sanitari integrativi nei fatti sostitutivi che le OO.SS. purtroppo stanno introducendo nei CCNL con danni al salario, alle pensioni e alla fiscalità.
E’ difficile dire oggi se la sinistra ne fosse consapevole, se pensasse comunque di controllare o governare quelle contraddizioni, o se invece non fossero tali: nella sinistra non tutti erano d’accordo con il modello Beveridge del SSN.

I processi più recenti di restrizione della spesa pubblica, attuata dai Governi di vario orientamento di centrodestra e centrosinistra e dalle Regioni, in ossequio alle politiche UE di Maastricht, fino al pareggio in bilancio in Costituzione, hanno fatto il resto, con il blocco delle assunzioni di personale nella Pubblica Amministrazione per tagliare la spesa fissa (la sanità è un settore ad alta intensità di lavoro di cura umano) e il passaggio dalla spesa per personale a quella per acquisizione di beni e servi: esternalizzazioni, convenzionamenti esterni, consulenze, partite IVA. Un vero e proprio falso in bilancio.
Un regalo al privato che oltre al costo del lavoro,su cui taglia con bassi salari, scarse tutele e precariato, ci fa pagare il profitto con cui si riappropria del prelievo fiscale.
Da qui l’inganno semantico, che non è solo un errore, per cui il SSN diventa Sistema Sanitario Nazionale non più Servizio, come prevede la L. 833/1978: la parola Servizio ha in sé una valenza etico sociale che la parola Sistema non ha, ma serve a giustificare che il SSN pubblico, propriamente detto, collaborare con il privato accreditato facendo Sistema.
Infine non va dimenticato che sono pochi i paesi del mondo con servizi sanitari pubblici e ancora meno con modelli Beveridge, e che alcuni paesi con sistemi assicurativi obbligatori, come Francia e Germania, hanno ottimi sistemi sanitari, tanto che si può parlare di sistemi Beveridge raggiunti tramite modelli Bismarck.
Anche da queste diversità nasce la difficoltà di movimenti europei e internazionali in difesa dei servizi sanitari pubblici.
Inoltre la globalizzazione, le delocalizzazioni produttive e la finanziarizzazione dell’economia aprono settori di grande interesse per il capitale nella “white economy”, sospinti dal capitalismo delle piattaforme.

Siamo di fronte a frammentari ma vivaci momenti di lotta a livello nazionale a difesa del SSN pubblico, tuttavia privi di una teoria ed un piattaforma con obiettivi unificanti, a volte prigionieri di una logica “NIMBY” (not in my backyard). Però la prassi senza teoria è cieca e viceversa.
Per questo dall’analisi suddetta si possono trarre alcune indicazioni per una piattaforma unificante dei movimenti di lotta per la salute e un SSN pubblico:

  1. richiedere lo sblocco delle assunzioni nel pubblico impiego e in particolare nella sanità, superando anche quanto previsto dalla insufficiente e ambigua normativa vigente (Decreto Calabria: spesa per il personale al 31/12/2018 incrementabile del 10% del FSN del differenziale 2018-19 con un ulteriore 5%per ragioni specifiche accertate per obiettivi in Conferenza Stato-Regioni, L.77/2020 assunzioni a tempo indeterminato che serviranno più che altro per coprire le assunzioni precarie effettuate per l’emergenza Covid, con limiti per le Regioni in Piano di rientro), chiedendo la copertura del turn over al 100%, attraverso concorsi regionali per profilo e disciplina tramite graduatorie regionali a scorrimento come nella scuola;
  2. chiedere le reinternalizzazione dei servizi e degli operatori sociosanitari delle attività esternalizzate (come si è fatto per gli ATA scolastici) e accreditate, anche attraverso obiettivi intermedi e il confronto con le OO.SS., che tengano conto del riassorbimento nel SSN dei lavoratori di tali strutture, che,in assenza di quest’opzione, diventano facile massa di manovra dei datori di lavoro;tra le internalizzazioni anche quelle dei medici,pediatri di famiglia e specialisti ambulatoriali convenzionati, nei bilanci regionali spesa per acquisizione di beni e servizi,e contro le formule generiche del PNRR (ospedali e case di comunità) che non pone limiti al ricorso al privato;
  3. superamento della anacronistica figura monocratica del Direttore Generale (DG), simbolo di una verticalizzazione autoritaria, che si è cercato di imporre anche in altri comparti del welfare (dirigente scolastico manager della Buona Scuola), senza i contrappesi democratici seppure formali di altri settori (collegio dei docenti e consiglio di istituto nella scuola, consiglio di Dipartimento e CdA Università), non potendosi considerare tali il Collegio di Direzione (di nomina del DG) e il Consiglio dei sanitari,organismo elettivo per professioni ma senza competenze, aggravate da Aziende sanitarie e Distretti di grandi dimensioni, il contrario di una sanità decentrata e partecipata;
  4. contro l’autonomia regionale differenziata che aumenta le disparità tra le Regioni con la ulteriore penalizzazione del Sud, già accentuata dalla scellerata riforma del Titolo V
    della Costituzione, ribadendo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 32 e 114 della Costituzione,per cui la Repubblica è formata da Stato, Regioni, Comuni e Province (aree metropolitane) e che è in questo equilibrio solidale che deve essere trovata soluzione ai problemi della sanità nelle sedi istituzionali previste attraverso il ruolo attivo dei Comuni;
  5. rivedere i programmi e le modalità di accesso ai corsi di laurea delle professioni sanitarie, di medicina e delle specializzazioni, superando il numero chiuso, attraverso una formazione sociale e culturale che rimetta al centro la presa in carico, il superamento delle diseguaglianze e la prevenzione.

Edoardo Turi

Medico, Direttore di Distretto ASL Roma

Medicina democratica
Forum per il diritto alla salute

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