CLIMA. NON È MAI TROPPO PRESTO
Non è mai troppo presto: gli effetti già presenti del cambiamento climatico su salute, diritti umani e giustizia sociale
Anche nei Paesi sviluppati, per un numero sempre crescente di persone, il surriscaldamento del clima, con le sue tragiche conseguenze, inizia a non essere più solo una notizia letta sul giornale. Episodi tristemente noti di eventi climatici estremi che mettono in ginocchio gli equilibri ambientali sono ormai all’ordine del giorno, allargando costantemente la platea delle comunità costrette a pagarne le conseguenze. Proprio in questi giorni pare che questi eventi stiano subendo una rapida accelerazione anche in Italia, cagionando danni degni di un bollettino di guerra. Ne sono una dimostrazione la pesante perturbazione che ha colpito il Veneto, causando 110 feriti, unitamente ai danni alle abitazioni, alle auto e alle campagne [1], i violenti temporali in Lombardia che hanno spinto la regione a chiedere lo stato di calamità per i danni inferti a strutture e coltivazioni [2], il record assoluto di temperatura per la nostra capitale, che ha fatto notizia in tutto il mondo [3], come anche gli incendi divampati in molte aree della Sicilia, unitamente ai disagi provocati in città come Catania [4] e Palermo [5], solo per citare alcuni esempi. Dinanzi ad una simile dirompenza, persino all’interno dell’attuale maggioranza di governo iniziano ad emergere delle ammissioni che palesano la gravità senza precedenti del cambiamento climatico, come denunciato dal Ministro per la Protezione civile Nello Musumeci [6] e, più recentemente, dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia [7]. Proprio per quest’ultimo, se attiviste come Greta Thunberg hanno un approccio non condivisibile al problema climatico, oggi non di meno diventano potenziali alleate per condurre una battaglia insieme ai giovani. Condivisibili o meno che siano gli approcci, sarà poi da valutare come Zaia intenderebbe conciliare le istanze di Greta con gli interessi dei gruppi imprenditoriali che lo sostengono. Sarà altresì interessante scoprire quale posizione ufficiale verrà presa nei confronti dei tanto mistrattati e criminalizzati attivisti di movimenti ambientalisti come Ultima Generazione. Peccato però che, come al solito, alle dichiarazioni dei politici italiani non facciano seguito i fatti, dal momento che il governo ha contemplato di omettere nelle sue voci di spesa i 16 miliardi del PNRR che avrebbero dovuto venire destinati per fronteggiare il dissesto idrogeologico.
Nel contempo, la Commissione europea ha finalmente proposto il suo green deal, con l’ambizione di traghettare l’economia e la società verso una direzione sostenibile per l’ambiente [8], ma come ha fatto ad esempio notare il fisico Bruno Buonomo nel suo seminario dal titolo “La Prospettiva Energetica Capitalista” [9], il tentativo di transizione in atto continua a prevedere nella sua agenda un consumo consistente di petrolio, carbone e gas per il fabbisogno energetico dei processi industriali anche per il 2050, secondo le proiezioni fornite dalle grandi industrie. In aggiunta, questa idea di transizione non valuta l’impatto che l’impostazione capitalistica della produzione avrà sull’ambiente e sui rapporti di forza internazionali per quanto concerne l’approvvigionamento e la trasformazione delle materie prime da utilizzare per la costruzione dei veicoli elettrici e dei dispositivi per la produzione di massa di energie alternative. Sempre secondo l’analisi di Buonomo, qualsiasi scelta energetica da parte dei Paesi industrializzati non riesce mai a prescindere dall’aspetto competitivo legato alla ricerca di fonti energetiche a basso costo, come lo sono i combustibili fossili, nonché dall’intento dato per assodato di perseguire la crescita del PIL ad ogni costo. Stando ai numeri sui millantati interventi a favore del clima, Buonomo denuncia anche i costi impressionanti che sarebbe necessario sostenere per catturare la CO2 emessa nell’atmosfera, sempre che questo sia davvero possibile, unitamente al consumo di superfici coltivabili richiesto per la costruzione dei relativi impianti di cattura. Inoltre, se da un lato la Commissione europea sembri attivarsi in favore del clima, dall’altro lato il Parlamento europeo ha indulgentemente fatto delle concessioni ai grandi allevamenti intensivi per quanto concerne la direttiva sulle emissioni industriali e la direttiva sulle discariche di rifiuti, mantenendo le norme in vigore per gli allevamenti di suini e di pollame [10]. Tutto questo accade mentre in Polonia arrivano le prime avvisaglie di una nuova emergenza pandemica, stavolta causata dal virus H5N1 dell’aviaria [11], che, con un serbatoio di oltre 33 miliardi di polli degli allevamenti intensivi, necessiterebbe di una sola mutazione per fare il salto di specie che gli consenta di infettare l’uomo [12].
Pertanto, al netto delle timide prese di coscienza della politica sulla gravità della situazione climatica, non fa ancora seguito la consapevolezza che l’unico modo per fronteggiare il problema è quello di mettere in discussione il modo di produzione del sistema neoliberista. Le misure che si stanno iniziando a prendere per contrastare il cambiamento climatico sono inoltre commisurate ad obbiettivi che si auspicherebbe di centrare solo tra qualche decennio, lasciando ancora credere che a pagare il vero prezzo del devastamento potrebbero essere solo le generazioni future. Meno che mai si vuol far passare la notizia che il cambiamento climatico è anche foriero di conseguenze che già oggi hanno pesanti ricadute sui diritti umani e sulla giustizia sociale.
Per avere contezza di come gli eventi climatici stiano già da diverso tempo avendo un impatto su aspetti che riguardano la salute, la giustizia, i diritti politici, civili, economici e sociali, la sicurezza, nonché l’identità culturale delle popolazioni del pianeta, ci viene in aiuto una review scientifica scritta dai ricercatori Barry S. Levy e Jonathan A. Patz, dal titolo “Climate Change, Human Rights, and Social Justice” e pubblicata già nel 2015.
Stando a questo studio, gli effetti della crisi climatica mondiale minacciano i diritti sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, compreso il diritto alla sicurezza. Gli autori si riferiscono anche al problema legato al mantenimento della salute, del benessere e del tenore di vita, che copre necessità come cibo, abbigliamento, alloggio, assistenza medica, servizi sociali di base, ecc… Inoltre, diritti civili e politici, come il diritto alla vita, diritti culturali, religiosi e linguistici – come sancito dal Patto internazionale sui diritti civili e politici – sono anch’essi minacciati. Si aggiunge anche la minaccia dei diritti economici, sociali e culturali, compresi il diritto all’istruzione e a condizioni di vita adeguate.
Viene messo in luce il fatto che esistono disparità significative tra i Paesi per quanto riguarda le emissioni di gas serra (GHG) e l’entità delle conseguenze negative per la salute derivanti dai cambiamenti climatici. In generale, i Paesi con le più basse emissioni di GHG contribuiscono meno all’inquinamento, ma subiscono le conseguenze più gravi per la salute a causa del cambiamento climatico. Ad esempio, nel 2004, Stati Uniti, Canada e Australia avevano emissioni di GHG pro capite vicine a 6 tonnellate metriche (mt), mentre quelle di Giappone ed Europa occidentale variavano da 2 a 5 tonnellate. Al contrario, i Paesi in via di sviluppo avevano un’emissione media pro capite di circa 0,6 tonnellate, con oltre 50 Paesi tra questi con emissioni pro capite inferiori a 0,2 tonnellate. Questi Paesi più poveri, pur generando minori emissioni, affrontano sfide significative a causa del cambiamento climatico: con l’aumento delle temperature globali, le economie delle nazioni ricche continuano a prosperare, ma la crescita economica dei Paesi poveri è gravemente ostacolata, con conseguenze peggiori di quanto precedentemente stimato. Se continuiamo su una traiettoria “business as usual” di aumento delle concentrazioni di anidride carbonica e di rapido cambiamento del clima, il tasso di crescita annuale medio dei Paesi poveri scenderebbe significativamente. I Paesi poveri sono più vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico per diversi motivi. In primo luogo, sono più frequentemente esposti a temperature estremamente elevate. In secondo luogo, le loro economie dipendono fortemente dall’agricoltura, dall’estrazione di risorse naturali e da altri settori suscettibili all’estrema variabilità meteorologica. Infine, questi Paesi hanno un accesso limitato a risorse come aria condizionata, assicurazioni e altre strategie di gestione del rischio che sono invece più facilmente disponibili nelle nazioni più ricche.
Esistono molti fattori di rischio, inclusi quelli socioeconomici, demografici, sanitari e geografici, che contribuiscono alla vulnerabilità delle popolazioni o dei sottogruppi all’interno delle popolazioni a causa degli effetti nocivi dei cambiamenti climatici sulla salute, colpendo in modo sproporzionato le comunità a basso reddito che vivono vicino all’equatore a causa di fattori come siccità e mancanza di cibo.
Gli effetti negativi del cambiamento climatico colpiscono in modo sproporzionato anche le popolazioni che già subiscono violazioni dei diritti umani, ivi includendo coloro che vivono in Paesi a basso reddito e che rientrano nelle categorie di gruppi minoritari, disoccupati, persone con malattie croniche e disabilità, nonchè coloro che vivono in aree insicure o emarginate.
Come se non bastasse, il cambiamento climatico colpisce profondamente le donne in modi diversi. Nei Paesi a basso reddito, le donne spesso hanno una responsabilità primaria per quanto concerne l’approvvigionamento di acqua, cibo e carburante per le loro case. La siccità indotta dal clima rende questo lavoro più difficile poiché la disponibilità di acqua diminuisce, diminuisce la produzione agricola, aumenta la domanda di legna da ardere da aree remote e diviene maggiore il rischio di essere ferite e di subire violenze sessuali. Le donne hanno anche più probabilità degli uomini di morire in eventi meteorologici estremi come uragani e tornado. Le donne incinte sono particolarmente soggette a infezioni del sangue e del tratto urinario. A causa di pregiudizi e discriminazioni preesistenti, le donne spesso hanno poche risorse per far fronte alla devastazione e alle perdite causate da eventi meteorologici estremi.
Le popolazioni indigene affrontano una maggiore vulnerabilità alle conseguenze negative del cambiamento climatico a causa della loro stretta connessione con l’ambiente naturale. Gli impatti ambientali del cambiamento non influenzano solo il loro benessere fisico, ostacolando il loro accesso a cibo, acqua e riparo, ma anche il loro benessere interiore, poiché la terra ha spesso per loro un significato culturale e spirituale. I fattori geografici influenzano ulteriormente la vulnerabilità delle comunità indigene. Ad esempio, le comunità artiche, inclusi gli Inuit, stanno subendo conseguenze significative a causa del riscaldamento insolito della loro regione. Il cambiamento climatico ha anche aumentato la probabilità di eventi meteorologici estremi come uragani, tifoni e inondazioni in alcune aree e siccità in altre. Le comunità povere ed emarginate che vivono in aree soggette a simili eventi sono più vulnerabili alle condizioni estreme, accusando effetti negativi sulla propria salute e sui propri diritti.
Per quanto concerne il lavoro, sono numerose le occupazioni che espongono i lavoratori a maggiori rischi associati al cambiamento climatico. Queste includono:
- lavori all’aperto in condizioni di caldo estremo.
- lavori che richiedono esposizioni a temperature estreme o a precipitazioni.
- lavori che richiedono esposizioni a inquinanti atmosferici, agenti infettivi, incendi, eventi meteorologici estremi e/o stress psicologico.
- lavori in settori specifici come servizi pubblici, trasporti, risposta alle emergenze, assistenza sanitaria, risanamento ambientale, edilizia, demolizione, paesaggistica, agricoltura, silvicoltura, gestione della fauna selvatica, produzione pesante e attività di magazzino.
L’innalzamento del livello del mare è un’altra conseguenza del cambiamento climatico, con un aumento globale di circa 20 centimetri nell’ultimo secolo. Questo aumento causa erosione costiera e mareggiate. La bassa marea e la salinità costiera rappresenta una seria minaccia per Paesi costieri bassi come il Bangladesh. Piccoli stati insulari che si trovano nel Pacifico, come Tuvalu e Kiribati, sono minacciati dal rischio di migrazione forzata dal proprio territorio, proprio a causa del cambiamento climatico.
Negli ultimi anni, le ondate di caldo sono diventate più frequenti, causando una serie di malattie e gravi condizioni cardiorespiratorie, oltre alle alte temperature che incidono negativamente sulla produttività lavorativa e sulle attività quotidiane. Gli studi sulle ondate di calore hanno individuato popolazioni anziane, sole, urbanizzate e vulnerabili prive di aria condizionata, in particolare in Europa. Si prevede che l’aumento dei livelli di inquinamento atmosferico avrà un impatto significativo sui disturbi respiratori, che sono già prevalenti tra le popolazioni a basso reddito e minoritarie. Inoltre, poiché l’anidride carbonica stimola la crescita di piante allergeniche, il cambiamento climatico può portare a una più ampia distribuzione di pollini e altri aeroallergeni. Di conseguenza, la prevalenza e la gravità dei disturbi respiratori allergici dovrebbe essere destinata ad aumentare.
I cambiamenti climatici e le condizioni ambientali associate, come siccità e inondazioni, minacciano la sicurezza alimentare e la disponibilità dei nutrienti. La capacità di produrre cibo a sufficienza per una popolazione in rapida crescita potrebbe essere compromessa. Come già discusso, ciò colpirà in particolare le persone povere che vivono nei Paesi a basso reddito, aggravando ulteriormente l’insicurezza alimentare e nutrizionale. La crescente prevalenza di malnutrizione acuta e cronica nella prima infanzia compromette ulteriormente lo sviluppo fisico e mentale degli individui, soprattutto nei Paesi già denutriti. Le malattie infettive vedono cambiamenti significativi nella loro distribuzione e nei numeri sotto l’impatto del cambiamento climatico, della crescita della popolazione, dell’urbanizzazione e dei viaggi internazionali: malaria, febbre della Rift Valley, encefalite da zecche e malattia virale del Nilo occidentale stanno vivendo evoluzioni drammatiche. Gli individui nei Paesi a basso reddito e le persone povere nei Paesi a medio reddito sono generalmente più suscettibili a queste malattie. Il cambiamento climatico influisce anche sulle malattie trasmesse dall’acqua e dagli alimenti attraverso vari meccanismi. Le precipitazioni eccessive e le conseguenti inondazioni possono contaminare le riserve idriche, portando a un aumento delle malattie gastrointestinali. D’altra parte, la siccità riduce l’accesso all’acqua potabile sicura, contribuendo ad un aumento delle malattie diarroiche a causa di cattive pratiche igieniche. Gli eventi metereologici possono colpire pesantemente i sistemi fognari obsoleti nelle città, rappresentando una nuova minaccia per la salute pubblica. Il cambiamento climatico può contribuire all’aumento della violenza in tutto il mondo, compresi i conflitti armati, la violenza promossa dallo stato, la criminalità organizzata, ecc. Sono stati trovati legami significativi tra diversità, instabilità sociale e conflitto, evidenziando l’impatto degli eventi climatici sui conflitti a diversi livelli. La mancanza di risorse ambientali critiche come terreni agricoli, foreste, accesso all’acqua e alla pesca può esacerbare questi conflitti violenti. Queste scarsità hanno creato tensioni sociali che possono portare a rivolte urbane, conflitti tra gruppi etnici e culturali e campagne di insurrezione. Le popolazioni dei Paesi a basso reddito e le persone povere nei Paesi a reddito medio e alto hanno maggiori probabilità di essere colpite negativamente dalla violenza di massa. La violenza delle bande ha un impatto negativo significativo sulle popolazioni nei Paesi a basso reddito e sulle persone povere dei Paesi a medio reddito, ma anche nei Paesi ricchi l’aumento delle difficoltà sociali può portare a un aumento della violenza a causa di temperature insolitamente calde. Il cambiamento climatico ha implicazioni anche per la salute mentale. Questi includono l’impatto diretto di eventi meteorologici estremi, disastri e cambiamenti ambientali. Indirettamente, le persone possono sviluppare malattie mentali a causa dell’osservazione di eventi globali e delle preoccupazioni sui rischi futuri. Inoltre, anche le influenze psicosociali a livello locale e regionale possono influenzare il benessere psicologico. Questi esiti di salute mentale colpiscono in modo sproporzionato gli individui provenienti da contesti socioeconomici inferiori. In effetti, anche in Italia da qualche tempo si inizia a parlare di un disturbo noto come “Ecoansia”[13]. È quindi importante riconoscere le complesse interazioni tra deficit ambientali, violenza e salute mentale sulle diverse popolazioni. Secondo la review in questione, le strategie per affrontare il cambiamento climatico possono essere ampiamente classificate in due approcci principali: mitigazione e adattamento. La mitigazione si concentra sulla prevenzione primaria stabilizzando o riducendo le emissioni di GHG, mentre l’adattamento si concentra sulla prevenzione secondaria riducendo gli impatti del cambiamento climatico sulla salute pubblica. La Lancet Commission on Health and Climate Change nel 2015 ha delineato le risposte politiche necessarie per garantire i più elevati standard di salute per le popolazioni globali, riconoscendo gli effetti negativi del cambiamento climatico sui diritti umani. Pertanto, le considerazioni su questi diritti dovrebbero essere integrate nella progettazione e nell’attuazione delle misure sia di mitigazione che di adattamento. Le organizzazioni internazionali e i governi dovrebbero incorporare i principi dei diritti umani nello sviluppo e nell’attuazione delle politiche sul cambiamento climatico a vari livelli. Le organizzazioni non governative e umanitarie hanno un ruolo da svolgere nel ritenere i governi responsabili della protezione e della promozione dei diritti umani. I governi dovrebbero istituire sistemi di monitoraggio e rispondere alle violazioni di questi diritti, così da proteggere le popolazioni vulnerabili. È importante che i governi affrontino queste sfide immediate, sviluppando anche strategie e programmi a lungo termine. La protezione della salute richiederebbe sforzi di mitigazione che includano l’implementazione di politiche e tecnologie per stabilizzare o ridurre le emissioni di GHG. Settori come quelli dell’energia, dei trasporti e dell’agricoltura possono contribuire a questa mitigazione. La politica energetica può incoraggiare l’uso di fonti energetiche rinnovabili, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e ridurre la domanda di energia. Le politiche dei trasporti possono incoraggiare forme di trasporto attive, come camminare e andare in bicicletta, nonché l’utilizzo di veicoli a basso consumo di carburante. La politica agricola può anche aiutare a ridurre la produzione e il consumo di carne, sviluppare biocarburanti sostenibili e ridurre le emissioni di metano. Il contenimento delle emissioni di GHG attraverso le foreste e altri pozzi di assorbimento del carbonio, congiuntamente all’attuazione di politiche di utilizzo del suolo che supportano la gestione e l’espansione delle foreste, sono strategie di mitigazione alternative e la popolazione può svolgere un ruolo importante nella riduzione della domanda di energia e nella mitigazione del clima. Queste politiche non solo riducono le emissioni di GHG, ma promuovono anche un aumento dell’attività motoria, migliorano le condizioni generali di salute e aiutano a prevenire malattie cardiache, neurologiche e di altra natura.
Tuttavia, è importante riconoscere che alcune strategie di mitigazione possono avere conseguenze indesiderate che colpiscono in modo sproporzionato le popolazioni vulnerabili. Ad esempio, l’utilizzo di terreni agricoli per le colture di biocarburanti può ridurre la terra disponibile per la produzione di cibo, aumentare i prezzi dei prodotti e limitare la sicurezza alimentare. La produzione di biocarburanti porta a una maggiore insicurezza alimentare, soprattutto per le persone più povere che spendono gran parte del loro reddito per il cibo. Inoltre, molte famiglie in tutto il mondo affrontano il problema della “povertà energetica”, dovendo spendere più del 10% del proprio reddito in carburante. Questa dipendenza da fonti energetiche a basso costo, come il combustibile da biomassa, si traduce in inquinamento dell’aria, con effetti negativi sulla salute. Inoltre, il tempo speso a raccogliere fonti di combustibile come legna o rifiuti può limitare l’accesso all’educazione, soprattutto per le femmine. Le misure di mitigazione energetica possono inavvertitamente aumentare i prezzi dell’energia, costringendo le persone a utilizzare combustibili fortemente inquinati che incidono negativamente sulla loro salute. Per quanto riguarda l’accesso all’elettricità, vi è il problema delle frequenti interruzioni di corrente nei Paesi a basso reddito. Il consumo di elettricità nelle aree rurali dei Paesi meno sviluppati risulta limitato, mentre le tecniche di generazione, trasmissione e distribuzione tradizionali non sono usate per fornire elettricità a popolazioni che si trovano in aree poco urbanizzate. Invece, una rete elettrica “dal basso verso l’alto e ampiamente distribuita” che utilizzi tecnologie di microrete, come piccole dighe idroelettriche, turbine eoliche e pannelli solari, fornirebbe un’alternativa pratica e conveniente al fabbisogno energetico di queste aree rurali. Per quanto concerne i servizi urbani, i quartieri più ricchi hanno aliquote fiscali più elevate, che supportano e migliorano infrastrutture come piste ciclabili e marciapiedi. I residenti dei quartieri ad alto reddito godono di una migliore sicurezza del traffico, tassi di criminalità inferiori e più strutture ricreative rispetto ai residenti dei quartieri a basso reddito. Negli Stati Uniti, andare in bicicletta è un fattore inversamente proporzionale al reddito. Una bicicletta è un mezzo di trasporto economico e pratico, soprattutto per le persone che non possiedono molti veicoli. Tuttavia, nonostante i potenziali benefici per la salute per effetto di una maggiore attività fisica attraverso l’impiego della bici, la sicurezza stradale risulta bassa nelle comunità povere. Riguardo alla pianificazione, fronteggiare eventi meteorologici estremi migliora la preparazione e la risposta alle emergenze e riduce le conseguenze negative per la salute associate a questi eventi. La diagnosi precoce delle malattie endemiche e dei focolai attraverso la sorveglianza della sanità pubblica consente efficaci strategie di prevenzione e controllo delle malattie. Le popolazioni emarginate, compresi gli individui a basso reddito e altri gruppi vulnerabili, si sobbarcano un pesante fardello di conseguenze negative per la salute dovute ai cambiamenti climatici e hanno poche risorse per adattarsi. Spesso sono meno coinvolte nelle decisioni che riguardano la vita delle persone. Di conseguenza, il cambiamento climatico aggrava le disparità socioeconomiche e sanitarie esistenti all’interno e tra le comunità. Comunque, è importante che le eventuali strategie adattive al cambiamento climatico non rappresentino una minaccia per altri gruppi. Ad esempio, il calore disperso dall’aria condizionata può causare un aumento della temperatura esterna, intensificando l’esposizione al calore per le persone che non possono permettersi la climatizzazione. Piuttosto che affidarsi esclusivamente a soluzioni tecnologiche, l’approccio basato su soluzioni naturali spesso avvantaggia un gran numero di persone. In Vietnam, ad esempio, è molto più conveniente piantare mangrovie per sopportare le tempeste e proteggere le zone umide e gli ecosistemi marini, che sostengono la pesca locale.
Al contrario, la costruzione di dighe può minacciare il sostentamento dei pescatori. Determinare quanto l’attuale generazione dovrebbe spendere per la mitigazione dei cambiamenti climatici a beneficio delle generazioni future solleva importanti questioni etiche. Una vita salvata oggi ha più valore di una vita salvata in futuro? La salute e il benessere delle generazioni future dovrebbero essere compromessi? La pretesa di legittimazione della riduzione dei benefici per le generazioni future si basa su diversi argomenti. In primo luogo, le persone danno la priorità ai benefici attuali rispetto a quelli futuri. In secondo luogo, l’attuale generazione può sentirsi moralmente giustificata nel mettere al primo posto i propri interessi. Infine, si presume spesso che le persone in futuro godranno di una salute e di un benessere migliori rispetto alla generazione attuale. Queste considerazioni per garantire la salute e il benessere delle generazioni future hanno implicazioni importanti per le decisioni politiche sul cambiamento climatico. Ad esempio, l’economista Nicholas Stern raccomanda un taglio dell’1,4% della spesa che supporta l’assegnazione di maggiori risorse alla mitigazione del cambiamento climatico per proteggere le generazioni future, mentre l’economista della Yale University William Nordhaus supporta un taglio del 6%. Trattandosi di un compito eticamente impegnativo, è importante bilanciare l’urgenza di affrontare le attuali questioni climatiche con la responsabilità di proteggere il benessere delle generazioni future. In conclusione, il cambiamento climatico ha conseguenze ambientali e sanitarie che colpiscono in modo sproporzionato le persone povere, specie dei Paesi a basso reddito, con implicazioni significative sui diritti umani, sulla diversità e sulla giustizia sociale. I fattori ambientali includono l’aumento delle temperature, gli eventi meteorologici estremi, i cambiamenti nei modelli delle precipitazioni e l’innalzamento del livello del mare. Questi fattori influenzano negativamente la produzione agricola, l’accesso all’acqua pulita, la forza lavoro, possono portare a sfollamenti e creare rifugiati ambientali. Gli effetti sulla salute dovuti all’atmosfera includono ondate di calore, malattie trasmesse dall’aria e dall’acqua, problemi respiratori, malnutrizione, episodi di violenza della popolazione, problemi di salute mentale e minacce ai diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Ciò include il diritto alla vita, l’accesso a cibo e acqua sicuri, salute, sicurezza, riparo e protezione culturale. A livello nazionale o locale, le persone più vulnerabili a questi impatti negativi sono spesso individui già emarginati, come coloro che vivono in povertà, gruppi minoritari, donne, bambini, anziani, malati cronici, disabili e il personale con cui hanno interagito. Ci sono enormi differenze in tutto il mondo, con i Paesi a basso reddito che soffrono maggiormente delle conseguenze del cambiamento climatico rispetto ai Paesi ad alto reddito con emissioni di carbonio molto più elevate ma che non sempre subiscono un effetto immediato. È importante che le strategie di adattamento volte a mitigare i cambiamenti climatici proteggano i diritti umani, promuovano la giustizia sociale e prevengano in modo significativo il perpetuarsi dei problemi esistenti o quelli che possono causare ulteriori danni alle persone vulnerabili. Aggiungo io che i problemi legati agli eventi climatici estremi che hanno recentemente investito l’Italia potrebbero rappresentare un’avvisaglia sulle conseguenze che potremmo subire anche noi nel breve periodo e che stanno già da tempo subendo le comunità dei Paesi a basso reddito.
NOTE
[2] https://www.bresciatoday.it/cronaca/temporali-21-luglio-2023-stato-calamita.html
[8]https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_3541
[9]https://www.youtube.com/watch?v=4kZU3SMiQt8
Danilo Gullotto
31/7/2023 https://www.redongreen.it/
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