Climate social camp: la lotta per un ecologismo decoloniale

Con un lungo corteo per le vie di una Torino coperta da un cielo grigio si è concluso venerdì 29 novembre il Climate Social Camp. Il corteo ha percorso le strade dal Parco della Colletta, dove si è svolta l’iniziativa, fino a Piazza Castello, percorrendo un tratto di Lungo Po in cui si poteva cogliere in modo evidente la drammaticità della crisi idrica che sta attraversando il paese.

Il Climate Social Camp, organizzato da una coalizione di collettivi cittadini è durato quattro giorni, e ha incluso azioni, workshop, concerti, assemblee e dibattiti che hanno intersecato, appunto, la questione climatica e la questione sociale. La partecipazione è stata elevatissima, più di cinquecento persone, favorita dalla compresenza di un incontro europeo di Fridays For Future.

L’esperienza è stata centrale per il movimento ecologista italiano che aveva decisamente bisogno di incontri, confronti e riconoscimento reciproco tra le diverse anime. Non era il primo Climate Camp, ma forse il primo della fase post(?) pandemica organizzato senza essere finalizzato all’opposizione ad un vertice.

Emanuele di Fridays For Future Roma commenta: «É stato un momento fondamentale per rivedersi sia a livello nazionale che internazionale. Noi Fridays ci siamo anche misurati con alcune tipologie di azioni a cui non siamo ancora abituati, vedendone l’efficacia. La nostra capacità di diversificare il modo in cui si fanno le attività e con chi si fanno le azioni ha avuto qui una crescita importante». 

Nella giornata di mercoledì 27 infatti ci si è mossi dal campeggio con un corteo selvaggio per le vie della città per raggiungere la sede locale di Snam, azienda responsabile di progetti estrattivi ovunque nel mondo, sanzionandola con scritte sui muri e aprendo uno striscione “GAS? Not our Ecotransition!” A seguire il corteo spontaneo è continuato per il quartiere arrivando ad attuare un blocco all’ingresso dell’autostrada per Milano, mandando in tilt il traffico cittadino per alcune ore.

«Inoltre» continua Emanuele «ci sono stati contributi dal Sud del Mondo molto potenti che ci hanno messo in profonda discussione. Sono state fatte critiche importanti al movimento europeo che spero aprano una riflessione interna».

Nella plenaria sulle pratiche di lotta di martedì 26, infatti, numerosi contributi di attiviste dal Sud Globale hanno criticato l’approccio “bianco” rispetto al problema del cambiamento climatico, che si focalizza su obiettivi specifici eurocentrici, quali la limitazione ad 1,5 gradi della crescita della temperatura, senza tenere in considerazione la necessità sistemica di fermare il capitalismo estrattivista che minaccia, attacca e spesso uccide chi difende la terra nel Sud globale.

Federico di Ecologia Politica Torino, tra gli organizzatori dell’iniziativa commenta. «É stato un momento di rilancio delle lotte per le sinergie che si creano e le alleanze che si stringono, anche al di là della programmazione futura che si riesce a dare. Si è riusciti a portare una buona prospettiva intersezionale rispetto alla giustizia climatica. Verso l’autunno si deve provare a costruire mobilitazioni e campagne comuni, tenendo insieme una diversità che è in cammino ed è in movimento su questi temi».

A Torino si sono dati appuntamento tantissimi gruppi, collettivi e associazioni che attraversano fasi di resistenza e di lotta. Tra queste il neonato movimento No Base Coltano, che si oppone alla costruzione di una base militare nei pressi di Pisa, all’interno del Parco San Rossore. 

Rachele del movimento, racconta: «Per noi, movimento No Base, è stato molto importante stare qui, un passaggio fondamentale per costruire un grande movimento ecologista. La lotta antimilitarista è strettamente ecologista. Gli eserciti le guerre e le basi militari devastano i nostri territori, sono tra le prime cause di emissioni di Co2 e creano un baratro umano sociale e culturale in cui non possiamo cadere. A Coltano stiamo attraversando una fase di attesa vista la caduta del governo, ma il DPCM che istituisce la base è vigente. Stiamo lavorando per organizzare e far crescere il movimento anche attraversando momenti chiave quali lo sciopero del 23 settembre».

La data del prossimo Climate Strike internazionale è echeggiata spesso negli interventi durante le assemblee. Tra questi, Francesca della Laboratoria Ecologista Berta Cáceres dice «Lo sciopero non può più essere un momento simbolico di testimonianza ma deve essere uno spazio di attacco e di conflitto, attraverso la varietà delle pratiche e delle tematiche intersezionali da condividere in quel contesto».

Ovviamente la data entra in conflitto naturale con la contesa elettorale, anche se si è consapevoli della limitatezza di quello spazio decisionale e dell’estrema analogia tra le posizioni dei vari partiti rispetto alla questione climatica. Il movimento sembra orientato a costruirsi come spazio autonomo sempre più libero pure dal rimanere appeso alle decisioni della politica.

Giovedì sera al Camp vi è stato un confronto molto forte tra Silvia Federici, Federica Giardini e Andreas Malm. Tema del dibattito la possibilità concreta oggi di riuscire ad avviare un percorso rivoluzionario a partire dalla lotta climatica. Molto interessanti gli spunti emersi, che hanno visto il portato di riflessione del movimento transfemminista italiano intersecarsi con l’analisi radicale su pratiche di lotta da parte del teorico svedese.

Lo spazio di azione è pertanto aperto, la fase sicuramente non delle più facili, ma mentre il corteo si avvia verso la stazione Porta Nuova per spostarsi in Valsusa al Festival Alta Felicità si ha la sensazione che un pezzo importante di strada collettiva sia stato compiuto.

Riccardo Carraro

29/7/2022 https://www.dinamopress.it

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