Colf e badanti, l’immigrazione silenziosa
Chi si occupa dei non autosufficienti
L’Italia è uno dei paesi più anziani al mondo (insieme a Germania e Giappone) e di qui al 2050 il numero delle persone con più di 75 anni è destinato a salire da 7 a 12 milioni (+74 per cento), passando dall’11 per cento della popolazione al 21 per cento.
Negli ultimi anni (caratterizzati dalla crisi e dai suoi postumi) lo stato ha sempre più delegato alle famiglie la gestione del welfare. Secondo stime Istat, solo il 10 per cento degli oltre 2 milioni di persone non autosufficienti è assistito in strutture residenziali (Ra).
L’assistenza domiciliare si compone di assistenza domiciliare integrata, a cura delle Asl, e servizi di assistenza domiciliare, a cura dei comuni, che raggiungono rispettivamente 650 mila e 130 mila anziani, anche se quasi sempre per un tempo molto limitato.
La figura del “caregiver familiare” (una persona che si prende cura, a titolo gratuito, di un genitore o del coniuge non autosufficiente) è stata istituzionalizzata solo alla fine della scorsa legislatura, tramite l’istituzione di un fondo di sostegno, peraltro piuttosto modesto (60 milioni).
Per tutti questi motivi, nel tempo si è affermato il sostegno alle famiglie di colf e badanti. Sebbene sia un fenomeno presente anche in altri paesi, l’Italia ha registrato un vero e proprio boom tra gli anni Novanta e Duemila, per il contemporaneo verificarsi di diversi fattori: presenza di donne dell’Est disponibili a questa mansione anche in convivenza con l’assistito; alta incidenza di anziani proprietari dell’abitazione di residenza; vicinanza geografica dei figli; crescente partecipazione delle donne autoctone al mercato del lavoro fuori casa.
Non sorprende quindi, come sostiene una ricerca Domina (Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico), che le famiglie italiane spendano per i lavoratori domestici 7 miliardi ogni anno, facendone risparmiare 15 allo stato che, altrimenti, dovrebbe farsi carico di circa 800 mila anziani non autosufficienti.
Figura 1– Lavoratori domestici in Italia (confronto regolari/irregolari), serie storica 2008-2017*
* Lavoratori irregolari calcolati a partire dalle stime Istat per il settore “Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico”. Dati 2016 e 2017 calcolati utilizzando il tasso di irregolarità 2015.
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Inps e Istat
Numeri ufficiali e stime
Vista la crescita (silenziosa) degli ultimi anni, i lavoratori domestici sono oggi oltre 2 milioni, di cui quasi il 60 per cento non in regola (stime Istat).
Analizzando il dettaglio dei lavoratori domestici regolari, tra le badanti riscontriamo una prevalenza di lavoratori over 50 (54 per cento) e di donne (92 per cento). Gli stranieri rappresentano il 77 per cento.
Tra le colf, invece, abbiamo una prevalenza di lavoratori tra i 30 e i 50 anni (52 per cento). Le donne rimangono la maggioranza, anche che con una percentuale meno marcata (85 per cento). Gli italiani salgono al 31 per cento. Negli ultimi cinque anni italiani e stranieri hanno seguito tendenze opposte: in aumento gli italiani (+24,2 per cento) e in calo gli stranieri (-23,5 per cento).
Ciononostante, il lavoro domestico rimane il settore con la più alta incidenza di stranieri (73 per cento). Si tratta di un fenomeno che fino ad alcuni anni fa veniva gestito a posteriori attraverso provvedimenti di regolarizzazione (le cosiddette sanatorie) e che oggi, probabilmente, necessiterebbe di maggiore attenzione da parte dello stato. Osservando la serie storica, infatti, si nota come in occasione delle regolarizzazioni (le ultime nel 2009 e nel 2012) il numero ufficiale di lavoratori domestici si impennasse, per poi calare progressivamente negli anni successivi (tornando a fare spazio al nero).
Naturalmente non tutti i lavoratori “in nero” sono anche irregolari dal punto di vista del permesso di soggiorno, ovvero potenziali beneficiari di una regolarizzazione, ma le esperienze degli anni passati ci consentono di affermare che con ogni sanatoria si è registrato un aumento del numero complessivo di lavoratori domestici. Una nuova regolarizzazione avrebbe nell’immediato un effetto positivo per tutti gli attori coinvolti (lavoratori, famiglie, stato), ma non basterebbe a garantire benefici sostenibili a lungo termine.
La “sanatoria”, peraltro, non è l’unico strumento per regolamentare il settore: l’analisi di altre misure, alcune delle quali sperimentate in passato e frettolosamente accantonate, e delle esperienze di altri paesi, meriterebbero una attenta riflessione.
Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini, Chiara Tronchin
3/8/2018 www.lavoce.info
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!