Come l’informazione mainstream racconta il multipolarismo

Quando si affronta il tema dei nuovi equilibri mondiali, del multipolarismo e dei BRICS, l’informazione gioca un ruolo fondamentale nello stravolgere le dinamiche in corso. Queste distorsioni sono ovviamente funzionali a una narrazione predeterminata di cui i media e i gruppi che ne detengono le redini sono i feroci difensori. Sono i cantori delle liberaldemocrazie.

Informazione e multipolarismo*

Quando si parla di socialismo e capitalismo, la tendenza tra i vari interlocutori, è quella della moralizzazione: si scade nel giudizio, ma dobbiamo sempre ricordare che si tratta di dinamiche. Ugualmente, oggi, quando si parla di BRICS e multipolarismo, si ripete la stesso meccanismo. Perché questo accade?

Per rispondere dobbiamo andare alla radice del problema, ovvero: chi dovrebbe raccontare queste dinamiche, spiegarle, interpretarle? Il primo filtro con le opinioni pubbliche sono i grandi media. Stiamo parlando quindi dell’informazione, di tv e giornali. E qui si sente già il baratro che si apre sotto i nostri piedi e la vertigine ammonitrice. Rischiamo di inoltrarci in un ginepraio di verità lapalissiane, banalità, luoghi comuni. Tutte cose contenenti però una massiccia dose di verità.

Lo stato di degenerazione del giornalismo italiano non è argomento interpretativo ma di cronaca. Basti ricordare l’ormai famigerato report di RSF del 2022 che vedeva il ranking dell’Italia al cinquantottesimo posto. dietro alla Namibia.

Il giornalismo nostrano, così avverso alla complessità del conflitto, vive una serie di problemi strutturali, dalla spada di Damocle della criminalità organizzata a quella delle querele temerarie, intentate solo per intimorire giornalisti sgraditi, senza reali basi giuridiche.

Ma alla base c’è il gigantesco conflitto d’interessi che attanaglia l’intero comparto mediatico, estraneo all’editoria pura, ma relegata a branca di gruppi economici e dunque politici. Questo genera l’abitudine italiana ad “autocensurarsi”, per non esporsi eccessivamente o inimicarsi il proprio editore. Il quale spesso ha ben altri interessi.

Poi uno si domanda del perché, ad esempio, delle tirate antipacifiste di Stefano Cappellini, responsabile della redazione politica di Repubblica, giornale di proprietà della famiglia Agnelli, che, lo ricordo, produce armi, a marchio IVECO, che sono state vendute anche ai russi in un recentissimo passato.

Un giornalista che ha definito osceno il manifesto della marcia per la pace Perugia-Assisi, perchè non distingueva tra “aggressori e aggrediti”.; che ha definito “terrapiattisti” la filosofa Donatella Di Cesare, lo storico Angelo d’Orsi e chiunque non si sia limitato a commentare la tragica vicenda Ucraina con “Ha stato Putin”, e che ora vede amici di Hamas in chiunque esprima perplessità sulle azioni del governo israeliano. E che dire del potentissimo Enrico Mentana, che continua a vantarsi pubblicamente di non dare spazio alle posizioni contrarie all’invio di armi e all’incremento degli investimenti bellici?

Passiamo invece a considerare la mutata struttura dei giornali stessi dovuta alle nuove tecnologie e al mercato che vive di breaking news. I giornalisti sul campo oggi hanno la stessa funzione dei riders: corrono da un agenzia a un altra raccattando notizie locali, oppure setacciano i social, mentre le news dal mondo sono riciclate da internet, Telegram, traducendo articoli da altre lingue.

I corrispondenti dall’estero, sono sempre meno, come nel caso della RAI. Sono finiti i tempi del buon Giulietto Chiesa da Mosca che parlava il russo e comprendeva le sfumature, sapeva interpretare i silenzi, i non detti, avendo rapporti diretti con le fonti sul posto. Oggi gli inviati parlano solo l’inglese, stanno chiusi in stanze d’albergo a tradurre le news prese da internet o le veline dei ministeri locali, che poi leggeranno durante i collegamenti. Cosa che avrebbero fatto anche stando da casa ma l’effetto scenico ipnotico per il pubblico non avrebbe lo steso impatto.

Restano le grandi firme dei “giornaloni”, che non fanno più il “mestiere” – mi sia passata la dicitura grezza- ma difendono la linea editoriale, cioè dell’editore, occupando a rotazione tutti gli spazi pubblici. Sono una compagnia di giro, saranno una ventina, sempre gli stessi che vedete ovunque.

Cosa centra tutto questo? Oibò, siamo all’abc di un manuale sulla disinformazione, le cui conseguenze le vediamo plasticamente ogni giorno nell’arena dei social dove ogni discussione sull’attualità è trasformata in una corrida polarizzata che non tiene conto di alcuna prospettiva storica e analitica dei fatti, ma solo dell’immediatezza e dell’appartenenza.

Sono due i commenti in cui più volte mi sono imbattuto tutte le volte che qualcuno ha provato a far notare che la notizia del momento che si stava commentando, proveniente dal fronte di guerra ucraino, era risultata falsa, parzialmente falsa, o difficilmente verificabile: “Ma cosa cambia, che differenza fa?” Cosa cambia rispetto al fatto che c’è un aggressore e un aggredito? Che differenza fa se i morti sono 30 o 300?

Fa tutta la differenza di questo mondo ed è uno dei sintomi principali dell’arretramento civile e cognitivo del paese, che non capisce la deriva autolesionista di questo perchè proprio non ne coglie la portata. La correttezza e limpidezza dell’informazione è un elemento fondamentale di igiene democratica, di civiltà.

Perchè in base a quello molto spesso si formano idee, coscienze, scelte di vita, consapevolmente o meno. Perchè un giorno, in una differente situazione, potrebbe essere il nostro mondo, il nostro quotidiano, la nostra vita oggetto di una qualche mistificazione e noi non vorremmo esserne inconsapevoli.

Sapere che qualcuno ti sta mostrando “A” ma ti sta dicendo che è “B”, è essenziale per farti capire in quale contesto in realtà ti trovi tu. È lo stesso principio di civiltà e democrazia implicito nell’avere un processo equo nel sistema giudiziario anche e soprattutto se si è colpevoli. E non per buonismo, come blaterano i forcaioli da tastiera, ma perchè è una necessità di tutela che deve valere per tutti.

Perchè un giorno potrebbe esserci alla sbarra un innocente e sapere che sarà tutelato, che avrà un procedimento equo, è fondamentale. Forse molti ricorderanno la famosa prima pagina de La stampa di mercoledì 16 marzo 2022, in cui una strage compiuta dalle truppe governative di Kiev, ai danni dei civili di Donetsk, veniva messa in conto ai russi. “E cosa cambia? Che differenza c’è?”

Ora, partendo da questa lunga premessa, possiamo cominciare a capire le distorsioni che avvengono quando affrontiamo tematiche scomode come quella che si vanno delineando da qualche anno e che negli ultimi 18 mesi ha avuto un accelerazione impressionante.

Il mondo che cambia, il multipolarismo è visto come una minaccia dal nostro sistema informativo. Il multipolarismo, definiamolo sinteticamente, è un sistema di politica internazionale, fondato sull’esistenza di più blocchi o gruppi di potenza che va a contrapporsi e in prospettiva a sostituire l’attuale assetto unipolare a trazione statunitense.

Si tratta dunque di dinamiche come dicevamo in partenza. E queste portano a spostamenti, allineamenti di soggetti, nuove strutture politiche ed economiche come i BRICS, ma tutto ciò viene travisato nel racconto dei nostri media.

Quali sono le distorsioni più comuni?

1. Il discorso sul multipolarismo è sovrapposto di sana pianta ai BRICS o, ancor più subdolamente, alle autarchie. Ma se su quest’ultima invenzione semantica c’è poco da dire, siamo nel campo della patafisica, sul primo punto, il discorso è più sottile per i meno avvezzi a certe tematiche e dunque più facilmente manipolabili.

2. BRICS e multipolarismo non sono la stessa cosa, non coincidono affatto. I primi sono un ‘organizzazione che è interna alle dinamiche del secondo. Il multipolarismo prevede un ruolo paritario tra le entità del mondo, ciò implica che un ruolo viene riconosciuto anche a Usa e Europa per un diverso equilibrio che sia rispettoso delle realtà emergenti.

3. Il multipolarismo (e dunque anche i BRICS) viene contrapposto all’Occidente, cioè una dinamica politica ed economica viene messa a confronto con un ‘idea geografica. E non bastasse, tutto questo è rappresentato come l’asse dei buoni contro i cattivi.

Queste distorsioni sono ovviamente funzionali a una narrazione predeterminata di cui i media e i gruppi che ne detengono le redini sono i feroci difensori. Sono i cantori delle liberaldemocrazie.

Quando parliamo di liberalismo dovremmo distinguere molte cose, poiché attorno a questo termine si annodano prospettive differenziate. Quello che si sta affermando oggi (tra le elites, beninteso, che vivono nel mondo fatato del Corriere e di Repubblica) è un’idea intrisa di fanatismo, secondo cui tutto il mondo dovrebbe abbracciare i nostri valori.

Che tra l’altro non sono nemmeno così chiari a noi. Va detto che tra i grandi pensatori liberali per fortuna ce n’è qualcuno che bisognerebbe rivalutare, come ad esempio Isaiah Berlin, il quale aveva coscienza del fatto che vi sono diverse idee di libertà, che ciò che per te è libertà può essere per me oppressione, che ciò che è libertà per un pakistano non lo è per un Fedez.

E che bisogna tenere conto di questo per evitare il disastro. L’idea di trovare una formula al cui interno tutti i valori possano armonizzarsi, dunque l’idea di uno stato finale in cui le contraddizioni tra libertà, responsabilità e giustizia possano venire meno, produce la tentazione di costringere gli altri ad adeguarsi ad essa.

L’analisi storico-economica ( e qui mi rifaccio ai tanti scritti di Gabriele Germani sull’argomento) ci mostra che “esiste un ciclo di affermazione di una potenza egemone assieme a vari cicli (generazionale, economico, tecnologico, del debito), in questa fase il pendolo si sta spostando verso la Cina, riprendendo il pendolo euroasiatico.” Ma questo è assolutamente sconfortante per chi è a capo delle liberaldemocrazie.

E infatti, la cronaca di questi ultimi anni, ci dice che i funzionari dell’amministrazione Biden operano come se il momento unipolare esistesse ancora. Nel processo, hanno ampiamente sopravvalutato la capacità di Washington di imporre la propria volontà ad altri paesi. Il caso delle votazioni Onu di condanna all’invasione russa dell’Ucraina e quelle successive sull’imposizione di sanzioni a Mosca sono esplicative di tutto ciò.

La coalizione che gli Stati Uniti sono stati in grado di mettere insieme era composta quasi interamente dalla NATO e dagli alleati militari di lunga data dell’America nell’Asia orientale. Il resto della mappa globale ha confermato che praticamente nessun paese del Medio Oriente, dell’Asia centrale e meridionale, dell’Africa e nemmeno dell’America Latina ha risposto favorevolmente alle pressioni di Washington e ha imposto sanzioni economiche.

Il Direttore dell’ECFR (European Council for Foreign Relation) , Mark Leonard, sul nuovo mondo multipolare: “Il paradosso della guerra in Ucraina è che l’Occidente è tanto unito quanto ininfluente nel mondo”. L’opinione di Leonard combacia con quella di altri due partner nell’indagine.

Ivan Krastev (Center for Liberal Strategy) ha detto: “Lo studio rivela che mentre la maggior parte degli europei e degli americani vive nel mondo pre-Guerra Fredda, caratterizzato dal confronto tra democrazia e autoritarismo, molti al di fuori dell’Occidente vivono in un mondo postcoloniale incentrato sull’idea della sovranità nazionale”.

Timothy Garton Ash (Oxford, Hoover, Stanford) invece ha detto: “I risultati sono estremamente deludenti: l’’occidente transatlantico, incentrato su Europa e Stati Uniti, è oggi più unito, ma non è riuscito a convincere le restanti potenze principali come Cina, India e Turchia. La lezione per l’Europa e l’Occidente è chiara: abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa che risulti convincente per Paesi come l’India, la più grande democrazia del mondo”.

Dunque, ai grandi media, non resta raccontare le mirabilie delle nostre società con alle porte i barbari (il “giardino” secondo la dichiarazione di Borrell) e far scorrere tutto ciò attraverso quella che definiamo “informazione emozionale”, quel fiume di immagini e parole che riempie in ogni crisi internazionale i media mainstream, in cui gli inviati confezionano servizi incentrati sulle sofferenze dei civili in fuga nei campi di accoglienza, nelle stazioni, ai confini. Mentre per le notizie si affidano alle agenzie locali e ai breafing dei comandi militari.

Dunque tendono a stimolare reazioni emotive ma non a informare. Tutto questo si ripete con una regolarità impressionante in tutti i conflitti moderni, tanto che scavando nell’immenso archivio del web, è ormai possibile trovare le stesse identiche notizie, le stesse identiche modalità, riferite a luoghi diversi nello spazio e nel tempo. Come direbbe un Marlowe: “Ci sarebbe da ridere se non fosse una faccenda terribilmente seria e complicata”.

* Brano estratto dal terzo volume dei Quaderni di Risorgimento socialista edito da La Città del Sole: “L’Era multipolare: competizione o cooperazione?”, curato da Gabriele Germani.

Alexandro Sabetti

31/7/2024 https://www.kulturjam.it/

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