Commissariamento di Bagnoli, siamo già al “salviamo il salvabile”?

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a numerose e trasversali manifestazioni di giubilo relative agli avanzamenti del processo di bonifica e rigenerazione dell’ex area industriale di Bagnoli. È bene sottolineare, però, che nonostante lo sfiancamento dovuto a trent’anni di interventi fatti male o non fatti, e a uno sperpero di denaro pubblico senza pari, sarebbe sbagliato considerare ognuno di questi avanzamenti, a scatola chiusa, una buona notizia.

Martedì 19 novembre i giornali hanno parlato di una transazione tra Invitalia e Basi 15 srl (gruppo Cementir): il lotto dell’ex area industriale di proprietà dell’azienda, l’ultimo facente capo a un soggetto privato, è stato acquisito da Invitalia a titolo gratuito, in modo da poter essere inglobato nel progetto di risanamento. La transazione è stata commentata in maniera entusiasta dal sindaco di Napoli e dal governo, come esempio di collaborazione virtuosa tra imprese e istituzioni. Gaetano Caltagirone, proprietario della Cementir, ha detto di aver voluto “rendere un omaggio a Napoli, alla sua storia e al suo futuro”. In realtà, ancora una volta, è il soggetto privato a guadagnare da questo accordo, dal momento che il ritiro dei contenziosi sgrava la Cementir dall’incombenza degli altissimi costi di bonifica e smantellamento degli impianti, di cui ora si dovrà occupare Invitalia (senza contare il ritorno di immagine frutto di una campagna di glorificazione fino a questo momento pienamente riuscita).

L’atmosfera che ha accompagnato la firma dell’accordo ricorda quella con cui, qualche mese fa, era stata accolta la notizia dell’arrivo di una nuova pioggia di soldi destinati alla bonifica (soldi che sono stati stanziati ma non versati, e che quindi arriveranno, se tutto va bene, in varie tranche) e persino della modifica della legge 582 che – con la scusa delle difficoltà presunte della rimozione della colmata a mare – eliminava l’obbligo di ripristino della morfologia naturale della linea di costa bagnolese.

Intanto, a fine ottobre, la Cortedi Appello di Napoli ha assolto tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste” nel processo-bis sul presunto disastro colposo ambientale causato da Bagnoli Futura, le cui indagini erano iniziate quasi vent’anni fa. Con la sentenza, per la quale la Procura di Napoli non farà neppure ricorso in Cassazione, il tribunale ha stabilito che il danno c’è, ma non sono stati gli imputati a provocarlo (e allora chi, non è chiarissimo…).

Ma veniamo al futuro. Il PRARU, il programma per la bonifica e la rigenerazione urbana approvato nel 2017, è un accordo tutto sommato accettabile, soprattutto se si considerano le proposte avanzate negli ultimi trent’anni sull’area e alcune balzane idee tipo quelle – sponsorizzate per più di un decennio dalle giunte comunali di “sinistra” – di utilizzare la colmata a mare per manifestazioni e mega-eventi sportivi, o le continue riletture al ribasso dei piani urbanistici elaborati negli anni Novanta. Ed è accettabile soprattutto perché recepisce due istanze che la comunità locale ha portato avanti con forza, quella per il parco urbano e per una grande spiaggia pubblica e gratuita tra Nisida e Pozzuoli (anche se la modifica della 582 la mette oggi pesantemente in discussione).

Lo stesso piano, però, si fonda su alcuni presupposti, pericolosamente confermati da quanto accaduto in questi mesi. Il primo riguarda il rapporto tra le opere fatte per produrre profitto e quelle che realmente vanno nell’interesse dei cittadini: se per le prime Invitalia ed ente commissariale stanno avanzando alacremente (per esempio i grossi parcheggi in costruzione al momento), o stanno preparando il terreno per avanzare, le seconde sono quotidianamente messe in discussione e rese incerte da una serie di fattori, a cominciare dalla precarietà dei fondi per realizzarle. Un altro punto è una caratterizzazione della condizione dei suoli che appare ancora superficiale e che rischia di collocarsi in continuità con gli scempi del passato per i quali la magistratura è stata costretta più volte a intervenire. In ultimo, e non certo per importanza, vi è la tendenza per cui si continua a chiedere e a spendere una quantità sproporzionata di soldi pubblici per la bonifica (scegliendo tecniche che molti esperti considerano inutilmente dispendiose) aprendo la strada agli interventi dei privati nel momento in cui ci sarà da capitalizzare, magari con la scusa che “non ci sono abbastanza soldi perché tutto quello che si è realizzato sia a gestione pubblica”.

Messi in relazione uno con l’altro, i fatti citati mostrano una pericolosa continuità con le pratiche politico-istituzionali che finora hanno causato il fallimento del progetto Bagnoli, in un quadro in cui l’opposizione sociale, che sempre ha rivestito un ruolo nell’arginare i tentativi speculativi sul territorio, vive un momento di difficoltà organizzativa (anche alla luce delle prescrizioni previste dal Ddl 1660 nei confronti delle lotte sociali, a cominciare da quelle che riguardano le cosiddette “grandi opere”).

Non sarà facile rilanciare, in questo contesto, i processi di monitoraggio e proposta politica, nonostante gli enormi sforzi da parte delle comunità del territorio, i cui intenti partecipativi sono disincentivati e spesso frustrati dalla chiusura su sé stesse delle istituzioni (qualche giorno fa il sub-commissario De Rossi, come fosse un dirigente d’azienda che interagisce coi suoi dipendenti, ha detto che “non intende dare risposte a cittadini e abitanti del territorio che sostengono di non aver fiducia nel suo lavoro”). La necessità di una nuova stagione di mobilitazione che coinvolga tutte le realtà sociali e che rompa l’isolamento di chi oggi lotta sul territorio è pressante, ed è forse l’unica strategia possibile per salvare il salvabile in un processo di sviluppo urbano che appare oggi, nel bene e nel male, finalmente in marcia. (riccardo rosa)

5/12/2024 https://napolimonitor.it

Immagine: disegno di marta fogliano

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