Con Nicoletta, per liberare tutti e tutte!

E’ dal 30 dicembre che Nicoletta si trova in carcere, dal 18 Giorgio e Mattia. Qualche mese prima era toccato a Luca che dovrà usufruire del  regime di semilibertà con fortissime restrizioni.

Questa è solamente la fotografia ad oggi di una situazione che il Movimento No Tav continua a denunciare da anni: decine di processi, centinaia di indagati e condannati, anni di galera dati come se fossero noccioline, misure di prevenzione, fogli di via, sospensioni della patente per “mancanza dei requisiti morali” ecc… sono solo una parte delle azioni messe in campo dalla questura, dalla procura e dal tribunale di Torino per provare a sfiancare la lotta No Tav e le altre lotte sociali del territorio.

Condanne assurde con pene gonfiate a piacimento e senza i benefici di rito come la condizionale anche per chi è incensurato.

Da tempo sulla vicenda della Torino Lione la politica di qualsiasi colore ha perso, grazie alla nostra resistenza, e ha lasciato mano libera alla magistratura che lavora con metodo a colpirci individualmente per cercare di spaventare tutti e tutte.

E bene ricordare che nel caso di Nicoletta e di altri 11 notav, le condanne commutate sono pene altissime, senza benefici e nella maggior parte dei casi verso persone che reggevano uno striscione o parlavano ad un megafono.

Richieste esagerate fino ai 3 anni di reclusione, passate a 1 per Nicoletta e 2 per gli altri, come se fossimo ad un’asta.

A breve si potrebbero aprire le porte del carcere per gli altri No Tav ed è per questo che Nicoletta ha fatto questa scelta, dura, consapevole e coraggiosa per togliere il velo ad un sistema marcio, forte con i deboli e accondiscendente con i forti, dove la legalità non è giustizia.

Il Tav lo vogliono solo più la mafia e lo stato e non è un caso che le ultime inchieste svelino come le mafie, tramite la politica, dicano “di continuare con i lavori del Tav”, un sistema collaudato evidentemente per scambi di potere e favori.

Nicoletta con i suoi 73 anni, rappresenta bene il nostro movimento, che conta restrizioni della libertà di ogni genere per persone che vanno dai 16 agli oltre 80 anni di età, perché nessuno qui ha mai abbassato la testa, o si è mai arreso.

Al contrario, sappiamo di essere dalla parte della ragione e vogliamo portare alla fine questa vicenda che sempre più si configura come un vero e proprio ecocidio, un disastro per la nostra terra e un dolo per il denaro pubblico, sottratto alle vere priorità del Paese.

Il mondo a cui aspiriamo è ben diverso da quello voluto e difeso da chi ci incarcera e ne gioisce, sperando di zittirci: sappiamo che tutto questo non accadrà perché insieme a noi, uomini e donne in tutto il paese, che abbiamo incontrato nelle tante lotte dal nord al sud Italia, non rinunciano a lottare consapevoli che solo così sarà possibile un vero cambiamento.

E’ per questo che invitiamo ogni realtà singola o collettiva  a partecipare alla grande manifestazione No Tav che abbiamo deciso di organizzare sabato 11 gennaio a Torino.

Solo lottando sarà possibile liberare tutte e tutti!

Ci vediamo a Torino! Ore 13,30 Piazza Adriano

www.notav.info

—————————————

La sentenza Dosio non regge: ecco perché

Le parole sulla carcerazione di Nicoletta Dosio del Procuratore generale della Repubblica di Torino, che ha evidentemente ritenuto di dover replicare alle molte critiche e proteste contro questo provvedimento nei confronti di una ex professoressa, devono spingere a una riflessione.

In primo luogo, ciò che il Procuratore non pare voler cogliere è il significato profondo della scelta della prof. Dosio. Decidere di non chiedere nulla, affermare che non si è disponibili a essere carcerieri di se stessi, è la scelta consapevole di una donna che ha spiegato che non aveva nulla per cui doversi “riabilitare”. La Dosio è stata condannata a un anno per violenza privata e interruzione di pubblico servizio in concorso con altri perché aveva tenuto uno striscione, al bordo dell’autostrada, nel corso di una manifestazione No Tav. Una condotta che giustificava, secondo la Procura, una pena di ben tre anni (chiesti in primo grado dal pm), e che ha condotto alla condanna a un anno di carcere.

Non stupisce, dunque, che alcuni non vogliano cogliere il senso di estrema dignità e coerenza della decisione di non utilizzare quelle pur sacrosante misure alternative alla detenzione. Nulla ritiene di avere la Dosio per cui doversi rieducare, e nulla ritiene di aver fatto per aver “meritato” un anno di carcere. Nulla ha dunque da chiedere alla clemenza del sovrano, e altro non può fare che subire quello che le viene imposto. Quel che piuttosto con la sua scelta di coerenza e dignità la Dosio ha voluto scoprire e denunciare, facendo del suo corpo detenuto un’arma non violenta, è l’uso, anzi l’abuso, del sistema repressivo penale utilizzato contro il movimento No Tav in particolare, e contro tutti i movimenti che esprimono istanze di dissenso e conflitto sociale. Decine di processi, centinaia di indagati e condannati, misure di prevenzione, fogli di via sono l’unico modo che lo Stato ha trovato per rispondere alla protesta (a volte violenta certo, ma più spesso pacifica e non violenta) dei No Tav, e sono spesso l’unico modo che lo Stato trova per rispondere al conflitto sociale. Conflitto che, è bene precisare subito, non è antitetico alla democrazia, ma ne è anzi elemento essenziale di vitalità. E allora Nicoletta Dosio non aveva altra scelta che rifiutarsi di chiedere scusa e non fuggire dal carcere nel quale ingiustamente la si è voluta rinchiudere.

Risposta repressiva, si diceva, dello Stato: quando una manifestazione viene contrastata e repressa con lacrimogeni e manganelli, quando le persone vengono arrestate, processate e condannate per aver manifestato, è lo Stato che sta lanciando lacrimogeni, che sta manganellando, che sta arrestando, processando, condannando. E quando queste sono le uniche risposte che lo Stato è un grado di mettere in campo contro il conflitto sociale e il dissenso, come nel caso del movimento No Tav, allora a entrare in crisi è la tenuta del sistema democratico.

Certo, si può obiettare che un giudice ha valutato che quelle condotte costituiscono reato, e che quindi ha condannato i suoi autori seguendo una procedura garantita dalla legge. Formalmente tutto vero: il problema è che perseguire una determinata condotta è spesso frutto di una scelta di politica giudiziaria, frutto di attività interpretativa non sempre e non solo tecnica: si noti che per i reati per i quali la Dosio è stata condannata la legge prevede una pena minima di quindici giorni. Decidere di condannare a un anno ha quindi un preciso significato ed è solo l’ultima di una serie di valutazioni fondamentalmente politiche. Le sbarre che dal 30 dicembre circondano il corpo di Nicoletta Dosio ci impongono, quindi, di prendere atto che tutto ciò deve preoccuparci, interrogandoci su questa discrezionale giustizializzazione contro quello che si considera non coerente con l’“ordine costituito.

Gianluca Vitale

(avvocato presso il foro di Torino e co-presidente dell’ass. Legal Team)

da www.ilfattoquotidiano.it 03/01/2019

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *