Condannate all’isolamento. La mancata accoglienza di donne, minori e famiglie in Sicilia
Nel report “Accolte?” l’Arci Porco Rosso di Palermo ricostruisce la condizione dei richiedenti asilo più “vulnerabili” nei Centri di accoglienza straordinaria di Palermo, Trapani e Agrigento. Le strutture sorgono in zone rurali, i servizi sono ridotti all’osso e spesso anche quelli previsti dai contratti con le prefetture non vengono garantiti. Una situazione allarmante che è frutto dello smantellamento del sistema d’accoglienza
“‘Oh God, let this bus be for me!’ mentre è a cavalcioni sul muretto dell’atrio del Centro d’accoglienza straordinaria che dà sulla statale, P. vede passare un grande bus e fa questa invocazione, ridendo.
Fa autoironia sul centro in cui è finita una volta arrivata in Europa, un ex ostello in disuso nell’aperta campagna della Sicilia occidentale, senza niente attorno, e si augura che quel bus stia arrivando per lei, perché hanno finalmente deciso di trasferirla ‘in a place with other human beings’”.
Questo “posto con altri esseri umani” invocato da P. racconta tragicamente la sua condizione di isolamento. La sua storia è una delle decine di testimonianze contenute nel report “Accolte?”, pubblicato a inizio dicembre dall’Arci Porco Rosso di Palermo, che analizza le condizioni delle persone richiedenti asilo nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) della parte Ovest della Regione.
Isolamento, mancato accesso all’assistenza sanitaria, scarsa informativa legale e servizi ridotti all’osso: sono solo alcuni dei profili problematici che emergono dallo studio realizzato dalle operatrici dello sportello Sans Papiers del Porco Rosso. Un documento frutto di un lungo lavoro che restituisce una fotografia preoccupante. “Vogliamo aumentare l’attenzione sugli effetti del processo di smantellamento dell’accoglienza partendo dalla condizione dei più vulnerabili: le donne e i nuclei familiari che subiscono una doppia discriminazione perché sono maggiormente esposti alla ricattabilità e alla marginalizzazione”, racconta Giulia Gianguzza, operatrice dello sportello mobile del Porco Rosso.
Una marginalizzazione che nasce da precise scelte delle istituzioni pubbliche. Dall’analisi della dislocazione geografica delle strutture emerge infatti “una preoccupante tendenza ad aprire Centri d’accoglienza straordinaria per donne e nuclei familiari soprattutto in piccoli centri urbani o in aperta campagna”.
I dati parlano chiaro. Nella provincia di Palermo due dei tre Cas destinati a donne, nuclei familiari e minori non accompagnati sono in zone rurali. Delle 14 strutture totali, solo tre si trovano nel polo comunale della città. Non va meglio a Trapani: i due centri per donne e nuclei familiari (su sei totali) sono situati in aree interne. Infine i dati su Agrigento non sono consolidati ma almeno un centro è ubicato in zone rurali, distante dai servizi minimi.
“Quello che abbiamo ricostruito attraverso l’osservazione diretta e il confronto con le persone restituisce un sistema che incastra le persone in condizioni di vita al limite dell’assurdo”, aggiunge Gianguzza. Le difficoltà che colpiscono gli abitanti delle zone rurali e delle aree interne siciliane sono ancor più aggravate per le persone richiedenti asilo: banalmente l’assenza di una rete di trasporti adeguati, che rende l’inclusione sociale e lavorativa un miraggio. Così come l’accesso alle cure di base.
Le autrici del report hanno deciso di non richiedere formalmente alla prefettura l’accesso ai Centri per evitare visite “preparate” ad hoc dagli enti gestori. La ricerca si basa così, oltre che sui dati ottenuti tramite accesso civico generalizzato, sulla testimonianza di decine di persone incontrate sia allo sportello mobile sia nei centri stessi visitati informalmente. Alcuni elementi accomunano questi racconti. “Le condizioni igienico-sanitarie degradanti e la mancanza di suddivisione degli spazi nei grandi centri porta a un generale stato di insicurezza e ansia -si legge nel report– e a un costante stato di timore per la propria incolumità e i propri beni”.
Emergono poi gravi lacune nell’assistenza. “Non risultano accompagnamenti sistematici presso i servizi territoriali dediti agli screening di prevenzione delle Malattie sessualmente trasmissibili, informative sui diritti sessuali e riproduttivi, orientamento presso consultori, già pochi in provincia, né a servizi rivolti alla salute mentale”.
Su tutte e tre le province analizzate, inoltre, le persone accolte danno conto della scarsità nella distribuzione di beni di prima necessità come assorbenti, pannolini, latte e omogeneizzati oltre che la carenza di frutta e verdura e i parassiti nel cibo.
Alle lacune nell’assistenza di base si aggiungono poi quelle relative all’informativa legale. “Anche quando formalmente è presente un operatore legale -spiega l’avvocata del foro di Palermo Elena Luda, coautrice del report- abbiamo più volte registrato una grave carenza informativa: la maggior parte delle persone non è consapevole dei propri diritti e di come funzioni la procedura d’asilo”. Nuovamente, questo aspetto rischia di colpire maggiormente alcune persone. “Penso alle vittime della tratta degli esseri umani, piuttosto che a chi è sfruttato lavorativamente: l’informativa sui diritti, in questi casi, è decisiva. Ma non avviene”.
Anche la mediazione è di fatto assente. Non solo non vi sono figure professionali assunte dall’ente gestore ma, spesso, alcuni ospiti assumono il doppio ruolo di accolto e interprete. “Questo rischia di generare un clima di tensione nelle strutture e generare pericolose dinamiche di potere -spiega la mediatrice interculturale Sirin Turki-. L’assenza di figure preparate professionalmente fa sì che le persone non si possano esprimere liberamente, far capire i loro bisogni, e questo genera sofferenza e frustrazione”.
Come già raccontato da Altreconomia, quanto emerge da “Accolte?” è una delle conseguenze dello smantellamento dell’accoglienza in corso nel nostro Paese che da anni predilige un approccio emergenziale. “In maniera totalmente arbitraria -aggiunge l’avvocata Luda- una persona richiedente asilo può ritrovarsi a essere ospitata in centri nel nulla e difficili da raggiungere -spesso strutture alberghiere in disuso in pizzi di montagna o ex agriturismi in aperta campagna che non portavano più profitti- in cui le garanzie dei diritti sono minime e la tensione e la paura alle stelle”. E sulla decisione di “chi” inviare in questi centri, come visto, non c’è alcuna attenzione. “A questo si aggiunge il tema dei capitolati d’appalto, sempre più scarni, che prevedono servizi ridotti all’osso e favoriscono la marginalizzazione ed esclusione delle persone accolte”, aggiunge Luda.
La mancanza dei servizi minimi è responsabilità delle cooperative titolari dei contratti d’appalto indetti dalle prefetture, che in diversi casi hanno anche ostacolato il lavoro delle operatrici. “Tramite le dichiarazioni delle persone ospiti dei centri emerge una grave discrepanza tra quanto previsto dal contratto e quanto effettivamente erogato”, si legge nel documento.
“Abbiamo deciso però, provocatoriamente, di intitolare il rapporto ‘Accolte’ con un punto di domanda finale -conclude Gianguzza-. Certo ci interessa la postura e il comportamento degli enti gestori ma questo documento è rivolto soprattutto alle istituzioni per chiedere loro, davanti alle evidenze emerse, un cambio di passo sul controllo e sulla programmazione dell’accoglienza. E un maggior controllo su quanto succede in questi centri”. Dove si svuota, da dentro, il concetto di accoglienza: “lontano dall’attenzione pubblica e dalla collettività doveri, diritti e garanzie vengono meno, mentre le persone sono costrette a condurre esistenze precarie e sospese”.
Luca Rondi
23/12/2024 https://altreconomia.it/
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