Continua la guerra alla scuola pubblica
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La scuola italiana ha attraversato la tempesta pandemica con grande sofferenza, riportandone ferite e danni notevoli,che si sono aggiunti a decenni di progressiva, sistematica e malevola distruzione ad opera di ministri e governi a colpi di decreti e leggi sciagurate. A proposito di leggi sciagurate, indimenticabile e purtroppo non del tutto cancellata, la l. 107 del “buon” Renzi, che negli ultimi anni ha trovato degni sostenitori al ministero dell’ istruzione (ex- pubblica). Questi ritorni di fiamma di ministri innamorati del renzismo scolastico, insieme alla smania di ricorrere a decreti, necessari in emergenza ma molto comodi anche per far passare di tutto senza discussioni e trattative, affliggono la scuola negli ultimi anni.
La pandemia per la scuola è stata una tragedia, sotto molti punti di vista. Sono emerse tutte le carenze strutturali e l’incuria, e la fondamentale importanza delle istituzioni educati per un paese, per i bambini e i giovani. Ma oltre alla retorica melensa e ipocrita sul “primo bene” e sugli effetti nefasti, traumi sociali e crollo culturale derivanti dalla chiusura delle scuole per studenti di ogni età, in concreto nulla è stato fatto di ciò che serve ala scuola per espletare il suo pregiatissimo ruolo. Niente interventi efficaci in tema di edilizia scolastica (d’altra parte, tutti gli sforzi edili sono stati concentrati su ristrutturazioni e facciate), nessun avanzamento nell’adeguamento degli organici del personale docente e non docente.
In compenso, sempre senza confronto con il mondo della scuola, ma al di sopra di esso, continuano a prodursi misure di notevole rilevanza che stravolgono l’istruzione pubblica. Per farne un elenco sommario, possiamo citare, tra i più recenti: le novità introdotte con ordinanza ministeriale (dicembre 2020) sulla valutazione nella scuola primaria, con il ritorno dei giudizi descrittivi in sostituzione dei voti numerici ; l’introduzione di un curricolo di educazione civica trasversale, a carico di tutti gli insegnanti; le annunciate riforme dei cicli scolastici, degli istituti tecnici e professionali. Si stanno ultimando le manovre attuative per il “sistema integrato zerosei “ che sposterà la scuola dell’infanzia nel “servizio educativo”; periodicamente il ministro invoca la fine delle discipline, con il mantra delle competenze e dell’interdisciplinarietà che finisce per svuotare di contenuti l’istruzione , restituendoci studenti sempre meno preparati.
Per le lavoratrici e i lavoratori della scuola non mancano le novità. Allenati da due anni di pandemia a ricevere alternativamente elogi retorici e accuse, in uno stillicidio di piccole privazioni di diritti, di continui peggioramenti delle condizioni di lavoro, ordini e contrordini, il tutto approfittando di una situazione emergenziale di caos non calmo, oggi i docenti vedono profilarsi all’orizzonte nuovi pericoli. A parte la scarsità di risorse destinate alla scuola, ulteriormente ridotte in favore delle spese militari, continuano a rientrare dalla finestra pezzi della legge 107 che era stata massicciamente e fermamente contestata dalla categoria dei lavoratori e lavoratrici della scuola.
Questa volta si tratta dell’incentivo salariale legato alla formazione iniziale e continua dei docenti, con un meccanismo farraginoso, che introduce divisioni, assegna potere premiale e selettivo a dirigenti e comitati di valutazione, attribuisce prerogative decisionali sulla formazione a un ente esterno, centrale (la Scuola di alta formazione). Gli aumenti di stipendio attesi e dovuti sono sempre più un miraggio, dal momento che pare evidente l’intenzione di legare gli eventuali incentivi al “ merito” e alla dedizione invocata dal ministro, per cui bisognerà dimostrare (a chi ? come? in che misura?) di essere proprio bravi insegnanti, per guadagnare qualcosa in più.
A questo ennesimo attacco, a un altro passo verso la completa trasformazione della scuola pubblica in scuola di classe, liberista nei contenuti, nelle forme, nelle condizioni di lavoro, si auspica la risposta compatta di sindacati, confederali e di base, dei partiti e di tutti quelli che pensano che la scuola in questo paese sia da troppo tempo strumento ed insieme bersaglio di un ‘ idea di società in cui tutto è al servizio del capitale, e la scuola un’azienda da amministrare e a cui far produrre ciò che serve al mercato.
Nessuno dei problemi “ storici” viene minimamente non solo risolto ma neppure preso in considerazione. L’edilizia scolastica, nonostante periodici annunci, non adegua le strutture e non garantisce sicurezza;gli studenti , destinatari di sempre nuove invenzioni, vengono in realtà privati della possibilità di costruirsi solide basi culturali, mentre si preferisce addestrarli al lavoro precario e flessibile al quale sono fatalmente destinati, quando non perdono la vita prima, nei Pcto.
I docenti sempre più precari, demotivati, devono affrontare percorsi ad ostacoli , labirinti concorsuali o di graduatorie e disposizioni sempre diverse per ottenere il tanto sospirato “ posto”, mal pagato, scarsamente riconosciuto nella società, burocratizzato, con sempre minori tutele e sempre maggiori richieste. Niente riduzioni del numero di alunni, nemmeno “approfittando” del calo demografico, per cui piuttosto si taglia il personale, docente e non. Se riconosciamo alla scuola pubblica il ruolo di istituzione della repubblica, non possiamo accettare che venga via via resa sempre meno pubblica, sempre più funzionale al mercato, sottratta a un dibattito culturale serio.
Loretta Deluca
Insegnante. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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