Contratto metalmeccanici,

sciopero-fiom

Venerdi’ è stato siglato il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici, un successo per la Fiom, per noi l’ennesima  débâcle i cui effetti saranno compresi  nei prossimi anni

Partiamo da una considerazione elementare che sta a cuore a tutti i lavoratori: gli aumenti contrattuali, sono reali o fittizi?

L’indicatore IPCA al netto dell’energia importata non consente un calcolo preciso, a nostro avviso  possiamo calcolare 6 euro al mese x 1 anno + 9 euro al mese per il 2 anno + 14 euro al mese per il terzo anno = 29 euro di aumento nei tre anni di applicazione del contratto. Poi c’è la formazione 100 euro x anno : 12 = 8 euro al mese. Poi la sanità integrativa 13 euro al mese e la pensione integrativa che è il 2% = 24 euro al mese ma solo per gli aderenti. Insomma pensiamo che i veri aumenti nei contratti dovrebbero essere comprensivi degli arretrati senza quella miseria di indennità di vacanza contrattuale vigente in molti comparti, aumenti non barattati con benefit che poi servono a coprire lo smantellamento della sanità pubblica, del sistema sanitario i cui becchini sono anche i sindacati cgil cisl uil

Non siamo nostalgici del passato ma se una nostalgia l’abbiamo è per i tempi nei quali i lavoratori lottavano e c’era una distinzione netta tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei padroni, aumenti salariali  recupero di potere di acquisto e tutela degli spazi di contrattazione, aumento dei diritti, una esistenza dignitosa all’interno delle fabbriche. Oggi  avviene il contrario, i rinnovi contrattuali sono terra di conquista dei padroni che tolgono salario e diritti, ci sono gia diversi esempi di rinnovi nazionali aberranti per i lavoratori (vedi igiene ambientale), ora si aggiunge, all’elenco anche quello dei meccanici……

Nessuna riduzione dell’orario e dei carichi di lavoro. Ricordiamo che l’orario plurisettimanale consente ai padroni di non pagare gli straordinari e allungare o accorciare la settimana lavorativa a loro piacimento: Nessun vincolo viene poi  imposto ai padroni nemmeno per scongiurare i trasferimenti dei lavoratori in altri plessi industriali, l’operaio diventa flessibile in toto, nell’orario, nella mansione, nello stesso luogo produttivo. Del resto chi in questo paese ha mai contrastato le delocalizzazioni industriali? La strategia sindacale è la riduzione del danno, ottenere ammortizzatori sociali (ridotti nella durata e nella platea dei destinatari), le amministrazioni locali e il Governo non hanno contrastato i padroni e la loro instancabile ricerca di delocalizzare dove il costo del lavoro è ai minimi termini

Siamo basiti di fronte alla narrazione dei sindacati firmatari che parlano di un lungo braccio di ferro con i padroni con decine di ore di sciopero per rinnovare questo contratto, raccontano che i padroni non avevano interesse al rinnovo perché vogliono chiudere la contrattazione nazionale e spostare tutto verso il secondo livello. Noi nelle fabbriche ci siamo e vediamo un’altra realtà, pochi scioperi e spesso rituali, contrattazione di secondo livello in rimessa, a parole si criticano lo smart working e il jobs act ma nei fatti si concludono accordi che li ratificano e li sviluppano .

E che dire del testo unico sottoscritto a gennaio 2014? Questo accordo non è ancora applicato in toto probabilmente in attesa di una complessiva riforma del modello di contrattazione che sancirà la partecipazione alle rsu di ogni settore pubblico e privato solo dei sindacati che avranno sottoscritto questo accordo, In ogni caso,rimane un regolamento che disciplina il diritto di sciopero a tutto vantaggio delle aziende e con il consenso “complice” dei firmatari. I lavoratori si devono rendere conto che il diritto di sciopero è l’unico strumento che hanno per rivendicare i propri diritti e il testo unico del 2014 ha come obiettivo la contrazione delle agibilità sindacali per limitare al massimo lo stesso diritto di sciopero.

Nessuna deroga all’applicazione del Jobs act, nessun esonero o numero chiuso per le assunzioni con le nuove regole. I nuovi assunti potranno essere licenziati e avranno molti meno diritti di altri lavoratori più anziani, bastava un minimo sforzo per mettere dei vincoli alla applicazione del jobs act ma non si è voluto fare nulla.

Landini è un bravo oratore, un personaggio televisivo ma la sua combattività mediatica stride con l’arrendevolezza sindacale, gli scioperi sono stati pochi , il conflitto inesistente. Ma quale braccio di ferro poi ci sarebbe stato?  Federmeccanica deve tenere al suo interno le aziende , la crisi di rappresentatività riguarda anche i padroni ormai, il caso Fiat è emblematico . Se leggiamo oggi Il Sole 24 ore si capisce che il nuovo sistema contrattuale è alle porte, non a caso si ipotizza uno scambio tra salario e produttività, nessun rinnovo contrattuale sarà quindi possibile senza maggiore sfruttamento dei lavoratori. E per raggiungere questi obiettivi i padroni hanno già la ricetta pronta: zero conflittualità e un sistema di relazioni sindacali che veda i sindacati in subordine agli interessi padronali. Ebbene con la intesa dei meccanici e degli spazzini hanno dato una svolta indirizzandosi sulla strada giusta per il capitalismo made in italy

Pensate al diritto di cambio divisa in orario di lavoro , anni di lotte, di cause e sentenze spazzate via dall’ultimo contratto nazionale dell’igiene ambientale che obbliga i lavoratori a spogliarsi e rivestirsi fuori dall’orario di lavoro…. . Ci vogliono anni per vedersi riconosciuto un diritto, basta un contratto nazionale per vanificare ogni miglioramento.

Le premesse per un accordo peggiorativo c’erano tutte, ora ci ritroviamo con pochi e incerti aumenti , di reale purtroppo c’è solo la previdenza e la sanità integrativa. In questo modo non si tutelano contratto nazionale e welfare ma si contribuisce a smantellare il primo e a ridimensionare il secondo contrariamente a quanto dichiarato dai sindacati. Anche Confindustria era in attesa della chiusura del Contratto dei metalmeccanici per avviare un confronto sul nuovo modello industriale definito “Industria 4.0” dove si affronteranno i problemi “sociali” derivanti dall’impatto nell’industria delle nuove tecnologie, come la riduzione degli stipendi e dell’occupazione per accrescere unicamente i profitti padronali. Consigliamo la lettura del sito del quotidiano confindustriale, è illuminante perché senza giri di parole spiega quali siano gli obiettivi dei padroni. Purtroppo uguale chiarezza di intenti non è esigibile dai sindacati se no non avremmo certi contratti

Le dinamiche contrattuali….

Tutti i lavoratori metalmeccanici attendono da un anno aumenti ma a questo accordo paradossalmente si arriva per consentire ai padroni di recuperare le cifre indebitamente versate ai lavoratori nel biennio precedente, quando il meccanismo di rinnovo, basato sull’inflazione programmata dal governo, aveva costretto le aziende a sborsare una cifra più alta di quella poi definita con l’inflazione reale. Tutto vero a parte un piccolissimo dettaglio:  il meccanismo di calcolo dell’aumento economico basato sull’inflazione programmata per oltre vent’anni aveva consentito alle aziende di versare cifre di gran lunga inferiori rispetto all’inflazione reale. Il nuovo meccanismo di calcolo proposto dagli industriali è una sorta di sistematica autoriduzione del salariopoiché il riferimento all’inflazione programmata al netto dell’energia importata rappresenta una rimessa per gli operai italiani dato che incide su tutti i capitoli di spesa di ogni lavoratore. Ma al di là della perdita salariale e di un sistema di calcolo che non permette alcun recupero del potere di acquisto,  un contratto nazionale non è definibile come tale se baratta aumenti reali dei salari con i fondi integrativi e i buoni carrello.

Come detto sopra, i padroni dicono che i metalmeccanici hanno incassato, senza averne diritto molto di più del dovuto perché l’inflazione reale (stando ai dati Istat) era più bassa di quella programmata dal governo. Premettendo che l’inflazione ISTAT è sempre più bassa del reale costo della vita e il recupero inflazionistico è solo parziale e non garantisce la effettiva tenuta dei salari, ricordiamoci quanto accaduto negli ultimi 20 anni con l’inflazione programmata  più bassa perfino dei dati ISTAT con i lavoratori metalmeccanici  in rimessa di centinaia e centinaia di euro. E con l’aumento dell’iva poi come la mettiamo? E  il nostro paese che ha rinunciato a investire nelle energie alternative e a basso impatto ambientale importa energia, quindi se i costi della importazione debbono incidere sul calcolo contrattuale, cosa porteremo effettivamente a casa??

Federmeccanica, dato il vantaggioso metodo di calcolo imposto e ottenuto, è disponibile a riconoscere il 100% dell’inflazione programmata (51 euro in tre anni) ma Il recupero economico dovrebbe assorbire eventuali aumenti in essere privi dell’indicazione NON ASSORBIBILE (probabilmente anche gli scatti di anzianità già maturati). In pratica l’aumento  lo avrebbero solo i lavoratori che ora percepiscono una paga base senza aumenti di vario genere. Per il 2016, a copertura anche degli scioperi fatti, verranno elargiti ben 80 euro una tantum lordi omnicomprensivi. In questo modo i padroni rientrano, in pochi anni, di quei pochi euro che nel biennio precedente hanno versato in più ai lavoratori. Eppure poche ore prima della firma, fim uilm e fiom asserivano che il contratto avrebbe sancito il pieno recupero della inflazione e del potere di acquisto. A conti fatti si capisce che hanno mistificato la realtà

Le aziende dovranno dare ai lavoratori dei benefit (ESENTASSE) quantificati in 100 euro complessivi per il primo anno (8 euro al mese), 150 euro per il secondo anno e 200 euro per il terzo anno. Tali cifre saranno omnicomprensive di tutti gli istituti quindi non contribuiranno ad  aumentare il TFR o altri istituti della paga base. Vi rendete conto?  Questi benefit rischiano di essere un blando privilegio (viste le cifre) di pochi che ne usufruiscono e non, come dovrebbe essere, una possibilità di spesa (carrello) per tutti, tenendo ben presente che sostituiscono un aumento della retribuzione e che comunque per i padroni sono esentasse mentre chi li usa le tasse le deve pagare (IVA 23%).

Abbiamo letto interviste a leaders sindacali che parlano di contratto innovativo che investe nella formazione ma questa è a carico dei lavoratori , una parte dei mancati aumenti va proprio alla formazione per non parlare dei finanziamenti europei per la formazione professionale. Gli industriali  a parole ritengono la formazione un punto fondamentale per la crescita professionale dei lavoratori, sono disposti a pagare ben 24 ore in 3 anni (ben 8 ore all’anno = 70 euro) ma non per tutti, per le aziende che non hanno una formazione interna il diritto di formazione del lavoratori consente (obbliga) a formarsi all’esterno contribuendo di persona a pagare un terzo delle 24 ore previste dall’accordo. In pratica, 16 ore le paga il datore di lavoro ma le restanti 8 sono a carico del lavoratore. Noi siamo certi che i lavoratori si pagheranno la formazione mentre il Governo si inventerà qualcosa per detassare ulteriormente le aziende e raccogliere finanziamenti europei da girare alle imprese

Fondo Pensione Cometa ve lo ricordate?

Le spese di gestione del fondo Cometa sono circa 17 milioni di euro che, divisi per un reddito/anno medio di 20 mila euro, equivalgono ad assumere circa 850 lavoratori a tempo indeterminato..

Le aziende versano centinaia di euro  per ogni iscritto (1,25%) , soldi sottratti dal budget di ripartizione collettiva (per tutti) ad ogni rinnovo del CCNL: circa 90 milioni di euro ogni anno. Inoltre, anche i fondi pensione come COMETA, rappresentano una nuova tassa che pagano gli aderenti e che si aggiunge al 33% di contributi previdenziali che ogni lavoratore versa all’INPS per la pensione. Diciamo la verità, ai padroni conviene accrescere la quota da versare al fondo perché non riconoscono un aumento per tutti i lavoratori  e ,questa quota la versano solo a una piccola parte di aderenti al fondo. Vogliono nei fatti rendere obbligatoria l’adesione alla previdenza e alla sanità integrativa visto che gli operai sono sempre diffidenti verso queste forme di prelievo forzoso.

La sanità integrativa non garantisce il diritto alla salute ma incrementa il consumo sanitario e favorisce gli erogatori di prestazioni sanitarie, quindi diventa principalmente una fonte di profitto: Viene falsificato il concetto e la pratica della PREVENZIONE che vuol dire evitare che si producano malattie e disagi. Il suo obiettivo è quello andare alle cause che fanno perdere la salute. Ad esempio non essere esposti ad inquinamento ambientale o lavorativo; condurre uno stile di vita sano (alimentazione corretta, attività fisica, senza fumo, e stress Non saranno i chek up o gli screening non validati a garantire più salute. Viene nascosta la differenza fra i diversi sistemi sanitari: quelli fondati sulle assicurazioni sono molto più costosi e meno efficaci (USA, Svizzera, Olanda) di quelli universalistici (Italia, Inghilterra Spagna). I circa 300 erogatori di prestazioni sanitarie integrative o sostitutive portano ad adottare lunghe e complesse pratiche burocratiche piuttosto che dedicare tempo da parte degli operatori, medici e infermieri compresi, alle cure e alla relazione con i pazienti. Aumentano le diseguaglianze: Possono ottenere forme di sanità integrative coloro che hanno possibilità contrattuali (sono in aziende o luoghi di lavoro di una certa entità, o i professionisti con consistenti entrate), ma  da queste prestazioni restano fuori i precari, i disoccupati, i lavoratori di piccole aziende, ossia la maggioranza della popolazione. È una nuova tassa (sostituisce un aumento retributivo) che si aggiunge al 27 % di IRPEF nazionale, all’1.5 di quello regionale e allo 0.5 di quello comunale. Per ovviare alla scarsa adesione dei lavoratori, che pare sia di poche migliaia di unità, da ora in poi la sanità integrativa sarà obbligatoria per  tutti, il lavoratore potrà solo dare indicazione scritta di non aderire al fondo.

Anche sul piano dei diritti siamo in perdita, chiedere  permessi retribuiti per assistere qualche familiare disabile, come previsto dalla legge 104/92, impone al lavoratore l’obbligo di pianificare i permessi per tutto il mese, informare l’azienda almeno 10 giorni prima  e le poche deroghe saranno ammesse solo per situazioni della massima urgenza. I padroni per limitare i diritti sono perfino disposti a tagliare i permessi per l’assistenza a familiari ammalati vanificando quelle leggi che almeno sancirebbero il diritto alla assistenza.

È stato inserito, nell’accordo, il capitolo dall’accantonamento delle ore non utilizzate (TUTTE, anche le ferie che sono riposi obbligatori) e gli straordinari, per poterne usufruire in prossimità della pensione ed uscire prima del pensionamento dalla fabbrica. Una specie di prepensionamento a nostre spese, che si aggiunge ai fondi pensione che ricordiamo paghiamo noi e solo noi. Capitolo pericoloso visto che si perderà il controllo delle ferie accantonate oltre che altri istituti non utilizzati, tenendo ben presente che per poter avere un anticipo di pensione (speriamo volontario) sarà necessario accantonare migliaia di ore. In molte fabbriche non è consentito l’utilizzo delle ferie oltre le chiusure concordate con le OS e ora il rischio che I padroni non consentano l’utilizzo delle ferie, con questo accordo, è ancora più alto dato che le ferie sono un diritto ma vanno concordate con il padrone che le concede solo se non ci sono contraccolpi sulla produzione. Se volete un consiglio: pensateci bene e non fatene di nulla.  I lavoratori potranno “regalare” le proprie ferie a chi ne ha necessità per assistere figli con problemi. Strano capitolo questo, sembra un gesto di una bontà estrema se non fosse che a rimetterci sono sempre  e solo i lavoratori mentre le aziende si fanno grandi della proposta ma nulla di più. Sarà il caso di riflettere su questi meccanismi, alla legittima richiesta di solidarietà tra lavoratori si contrappone la assoluta rigidità dei padroni che ogni qual volta debbono concedere soldi e permessi adducono motivi superiori come la perdita di produttività.

Vogliamo chiudere sulla sicurezza, attenti che il coinvolgimento degli rls alle “politiche aziendali” suona come una resa del sindacato perché piega la sicurezza al profitto. Gli rls non hanno potere decisionale e di veto, per loro il diritto alla informazione e formazione significa ricoprire un ruolo formale dentro quella filiera della sicurezza che vede gli operai in subordine agli interessi padronali, impossibilitati ad opporsi all’intensificazione dei ritmi e dei tempi di lavoro, a processi tecnologici basati su moderne forme di sfruttamento intensivo. Gli Rls sono privi di una reale  agibilità sindacale nel senso che hanno solo poche ore di permesso e senza un potere effettivo.

Aumentano infortuni e morti sul lavoro, le malattie professionali non riconosciute sono migliaia, allora di cosa stiamo parlando?

Fiorenzo Campagnolo,  Federico Giusti

Associazione difesa dei lavoratori

delegati e lavoratori indipendenti

28/11/2016 http://popoffquotidiano.it

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