Contro i tagli del governo e l’economia di guerra. Una giornata di mobilitazioni a Napoli
Venerdì 29 novembre, sette del mattino. Un anziano in giallo fluo corre a ritmo sostenuto lungo via Felice Pirozzi, Pomigliano d’Arco, costeggiando un alto muro protetto dal filo spinato. Ha tutta l’aria, questo posto, di una zona militare, e infatti è lo stabilimento napoletano della Leonardo Spa, la multinazionale pubblica che opera nei settori dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza, non disdegnando di produrre neppure armi nucleari. È uno stabilimento chiave, quello di Pomigliano, per il settore “aerostrutture” dell’azienda, che pure, nonostante gli oltre centocinquanta milioni di euro di fondi pubblici drenati negli ultimi anni, è stato messo in discussione dallo stesso amministratore delegato Cingolani, che aveva paventato un possibile scorporo e addirittura la costruzione di “nuove alleanze” (tradotto vuol dire la dismissione del comparto, ritenuto evidentemente non abbastanza produttivo quanto la fabbricazione di armi).
Ai cancelli della Leonardo ci sono un centinaio di persone che, da un lato, portano solidarietà ai lavoratori dell’azienda, dall’altro denunciano il coinvolgimento dell’Italia e della sua industria pubblica nell’economia di guerra, l’unica risposta individuata a livello internazionale alla crisi economica strutturale. È un tema centrale, questo, nella giornata di sciopero che ha coinvolto tutto il paese, e che ha portato in piazza rivendicazioni eterogenee, così come differenti aree sindacali e politiche. A Napoli ci sono i lavoratori e i disoccupati, che rivendicano il diritto a un’esistenza dignitosa e alla difesa del proprio salario; i ricercatori precari universitari, attesi da un biennio, il prossimo, di tagli devastanti dopo l’orgia di contratti Pnrr; i solidali con il popolo palestinese, oggetto di un genocidio che va avanti da più di un anno a dispetto della carta straccia prodotta, in ammonimento a Israele, dalle istituzioni internazionali; attivisti e militanti che evidenziano l’abominio legislativo del Ddl 1660 in via di approvazione, che instaura una serie di misure repressive nei confronti di chiunque si appresti a rappresentare il proprio dissenso in pubblico, anche in maniera pacifica.
In Campania la giornata comincia presto, a Pomigliano, con le code di auto davanti allo stabilimento, le bandiere del sindacato SiCobas, dei Carc, del Fronte della gioventù comunista e del laboratorio politico Iskra, e soprattutto con due grossi striscioni che rallentano l’ingresso in azienda dei lavoratori, a cui la polizia garantisce un corridoio d’accesso protetto. Il primo recita: “Con gli operai della Leonardo. Contro le guerre della Leonardo”; il secondo: “Luigi libero! Liberi di lottare contro la guerra”. Il riferimento è ovviamente a Luigi Spera, il pompiere che insieme a un gruppo di persone aveva manifestato nel novembre del 2022 fuori la sede palermitana della Leonardo, finendo nel carcere di massima sicurezza di Alessandria con l’accusa di “attentato (un fumogeno, ndr) per finalità terroristiche”. Nonostante la Cassazione abbia fatto cadere l’ipotesi del fine eversivo, Spera si trova ancora in prigione, nell’attesa che i giudici riconfigurino le misure cautelari. Anche a Napoli, d’altronde, la Procura aveva emesso nel mese di luglio quattro misure cautelari per altrettanti attivisti che, tra le altre cose, avevano partecipato a un presidio davanti la Leonardo.
Una volta lasciata Pomigliano, intorno alle nove, il gruppo di manifestanti si sposta a Napoli, dove a piazza Mancini è in partenza il corteo convocato dai due sindacati confederali Cgil e Uil per protestare contro la manovra di bilancio proposta dal governo. Lavoratori del commercio, funzionari pubblici, insegnanti e metalmeccanici sfilano lungo corso Umberto I sulle note dei pezzi di Rino Gaetano. Tra i metalmeccanici ci sono gli operai della Ex-Irisbus di Avellino, quelli di Stellantis di Pomigliano e Pratola Serra e quelli della Leonardo di Nola e Pomigliano.
Lavoratori e organizzazioni sindacali chiedono un aumento dei salari agganciato all’inflazione, si oppongono ai tagli alla sanità, all’istruzione e ai servizi pubblici e rivendicano una politica industriale per una transizione socialmente sostenibile. A rischio sono soprattuto i posti di lavoro – quasi ventimila in Campania – negli stabilimenti di assemblaggio dell’ex gruppo Fiat e quelli nell’industria della componentistica automotive. I lavoratori denunciano il taglio di 4,6 miliardi al Fondo automotive previsto dalla legge di bilancio e chiedono che le risorse pubbliche erogate a favore dell’unico costruttore di automobili presente nel paese, la multinazionale a trazione francese guidata da Carlos Tavares, siano vincolate alla produzione di nuovi modelli negli stabilimenti italiani e alle garanzie occupazionali. «Il gruppo pubblicamente sostiene che si impegnerà a produrre in Italia nuovi modelli, ma di fatto continua a privilegiare gli stabilimenti di assemblaggio localizzati nell’Europa dell’est e i rapporti di fornitura con aziende situate in Nord Africa, alle quali l’ex gruppo PSA era storicamente legato», racconta un delegato sindacale della Fiom dello stabilimento di Pomigliano.
All’altezza della sede centrale della Federico II il corteo si imbatte in un presidio organizzato da varie realtà in lotta. I manifestanti accendono torce ed espongono striscioni sulla scalinata che affaccia sul corso. Altri distribuiscono volantini e intonano cori. Sono più o meno i lavoratori e gli studenti che erano dall’alba a Pomigliano, a cui si sono aggiunti i precari della ricerca, che scioperano – pur non avendo un contratto stabile – contro un altro disegno di legge, quello firmato dalla ministra Bernini (qui un resoconto dettagliato del provvedimento a cura dell’associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia). Dal corteo arriva qualche applauso di supporto, ma si intravede anche qualche espressione perplessa, soprattutto da parte dei dirigenti dei confederali, troppo spesso chiamati alla piazza invano dalle realtà più conflittuali, e che invece non convocano uno sciopero unitario (delle tre sigle principali è stata la Cisl, questa volta, a sfilarsi dalla mobilitazione) da quasi dodici anni. A piazza Borsa, nel frattempo, i lavoratori della Gls, protagonisti di una vertenza assai complicata, e organizzati dal sindacato Sol Cobas, dispiegano un lungo striscione per denunciare gli ingiusti licenziamenti subiti a causa delle rivendicazioni portate avanti negli ultimi mesi.
Dopo l’azione all’università, i due cortei tornano a separarsi. Il primo sfilerà fino a piazza Matteotti; il secondo si unirà a quello che nel frattempo è in partenza da piazza Municipio, dove sono radunati i lavoratori che fanno capo alle sigle del sindacalismo di base. «Siamo in sciopero – spiega al microfono un delegato dei Cobas – contro il genocidio in Palestina, ma anche contro le politiche di guerra in Italia, e la corsa agli armamenti direttamente collegata ai tagli di questa legge di bilancio. I sindacati confederali si sono ricordati che lo sciopero è un’arma per i lavoratori, ma tacciono sui diritti negati ai sindacati conflittuali e ai loro iscritti, come quello di svolgere assemblee sui luoghi di lavoro».
Gli interventi vanno avanti ancora per un po’, poi la pioggia allontana anche i più irriducibili tra i manifestanti. Molti di loro sono attesi da una nuova giornata di lotta domani, a Roma: il corteo nazionale contro il genocidio in Palestina e il massacro della popolazione libanese. Il concentramento è previsto per le 14 in piazza Vittorio. (giuseppe d’onofrio / riccardo rosa)
29/11/2024 https://napolimonitor.it/
Immagine: disegno di escif
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